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Cida a politica, 8 proposte per invertire tendenza a favore ceto medio

(Adnkronos) – Il presidente di Cida, Stefano Cuzzilla, oggi in occasione della presentazione del Rapporto Cida-Censis ‘Il valore del ceto medio per l’economia e la società’, ha illustrato le otto proposte della Confederazione rivolte alla politica. “Bisogna invertire la tendenza – ha affermato – che finora ha costantemente privilegiato misure volte all’assistenzialismo attingendo risorse dal ceto medio, principalmente pensionati e lavoratori dipendenti. Si tratta di una sfida strutturale, la stessa funzione del fisco andrebbe capovolta, trasformando la leva fiscale: invece che ostacolo, dovrebbe incentivare chi investe, chi crea lavoro, chi eroga servizi, chi ha talento e si impegna. E’ quello che emerge anche dalla ricerca. Ben l’80,6% degli italiani ritiene che il sistema fiscale dovrebbe premiare chi crea impresa, lavoro, opportunità”.  

1) Revisione delle aliquote Irpef e del sistema di detrazioni/deduzioni: è urgente una revisione del sistema Irpef che vada nella direzione della riduzione della pressione fiscale per le fasce di reddito medio-alte, passando gradualmente da tre a due aliquote. Infatti, il reddito non determina solo le imposte da pagare ma anche la possibilità di accedere a detrazioni, deduzioni e altri servizi. Deduzioni e detrazioni oltre una certa soglia di reddito (a partire dai 50mila euro in su) si azzerano. Quindi il saldo fiscale del ceto medio non è dato solo dall’ammontare dell’Irpef, ma anche da tutti i benefici potenziali che vanno persi. Il ceto medio quindi ‘ci rimette’ due volte: prima perché sostiene le maggiori imposte e poi perché ha minori o mancati sconti e trasferimenti monetari che si traducono in maggiori esborsi (spese sanitarie, bonus asili, università, bollette, ecc.).  

2) Incentivi al merito: Sarebbe equo che le forme di decontribuzione e di defiscalizzazione collegate a premi di produzione o ad altre forme di riconoscimento della produttività e del merito vengano applicate alla generalità dei lavoratori, compresi quindi i dirigenti. Se si vuole riconoscere, com’è giusto, ai lavoratori una parte del merito nel conseguimento della performance, non si dovrebbe porre dunque alcun tetto retributivo all’applicazione degli incentivi fiscali e/o contributivi, l’applicazione dei quali dovrà risultare generalizzata, ovvero elevare l’attuale limite di 80 mila euro di reddito da lavoro ad almeno 120 mila euro per dare una significatività anche per la nostra categoria. 

3) Lotta all’evasione: puntare su misure rivolte alla crescita del sistema piuttosto che alla mera assistenza. Introdurre il contrasto di interessi. Connettere tutte le presenti banche dati pubbliche per attestare l’omissione o la veridicità dei redditi dichiarati. Favorire forme di pagamento elettronico rispetto al contante.  

4) Supporto all’innovazione e alla competitività: le imprese italiane si sono rivelate spesso incapaci nel rispondere alle sfide imposte dalla crisi economica; tra le cause di tale fenomeno vi è la cronica carenza di competenze manageriali nel tessuto imprenditoriale. Si potrebbero introdurre degli incentivi fiscali a favore delle figure manageriali che investono in start-up o in partecipazioni nel capitale sociale delle piccole e medie imprese, a valere sull’imposta lorda sul reddito delle persone fisiche (Irpef), anche al fine di favorire l’avvio di progetti di innovazione o internazionalizzazione dei mercati. 

5) Tutela delle pensioni. Non bisogna trascurare che i pensionati compongono una buona fetta del nostro ceto medio: il 65,2% dei pensionati sente di appartenervi. Il potere d’acquisto delle pensioni è stato falcidiato dall’inflazione e dal mancato pieno adeguamento degli assegni dei pensionati del ceto medio. Applicare la perequazione per scaglioni, invece che per fasce, potrebbe essere un primo modo per ristabilire equità. A chi obietta richiamando la presunta insostenibilità del sistema, ricordiamo che per consentire una reale sostenibilità finanziaria sarebbe meglio separare in maniera contabile la previdenza dall’assistenza. 

6) Rafforzamento della previdenza complementare e degli investimenti: Calo demografico e discontinuità lavorativa daranno vita, nel tempo, a pensionati poveri. Il Secondo pilastro diventa quindi fondamentale. Per non parlare del ruolo strategico che i fondi pensione possono giocare a sostegno dell’economia reale nel ruolo di investitori a lungo termine, non ancora adeguatamente incentivato. Per incentivare l’adesione alle forme di previdenza complementare occorrerebbe, quantomeno: incrementare il sotto limite in cifra fissa di deducibilità fiscale dei contributi fermo dal 2000; riportare l’aliquota di tassazione sui rendimenti in fase di accumulo a quella iniziale dell’11% o comunque non superando l’aliquota di tassazione delle rivalutazioni degli accantonamenti al Tfr (17%); dare la possibilità ai datori di lavoro e ai lavoratori di versare i contributi eccedenti il massimale Inps (attualmente 119.650 euro annui) alla previdenza di secondo pilastro per i ‘contributivi puri’ aumentando per costoro ulteriormente il limite di deducibilità fiscale dei contributi o prevedendo una specifica e separata misura agevolativa.  

7) Miglioramento dell’accesso e della qualità della sanità: il miglioramento dell’accesso e della qualità delle cure sanitarie, finora garantiti esclusivamente dalle capacità e abnegazione del personale medico e ospedaliero, che ad oggi non è adeguatamente riconosciuto, non può che passare attraverso una più forte connessione fra sistema pubblico e fondi sanitari integrativi. Questo collegamento diretto tra il benessere del ceto medio e la qualità dei servizi sanitari dovrebbe essere visto come il normale corrispettivo di quanto versato. Il ceto medio non può essere visto come tax player e mai come beneficiario di trasferimenti sociali. Anche perché quando capita, come capita, di dover affrontare un evento invalidante e avverso, senza un’adeguata copertura il rischio di impoverimento colpisce anche chi ha un reddito superiore a 50mila euro all’anno. Inoltre, dal 1997 i contributi di assistenza sanitaria integrativa (versati dal datore di lavoro e dal lavoratore ad enti o casse aventi fini assistenziali sulla base di norme contrattuali o di regolamento aziendale) sono deducibili per un importo massimo di 3.615,20 euro che negli anni non è stato mai rivalutato. La soluzione non può che diffondere il welfare integrativo nell’ottica di una efficiente collaborazione tra pubblico e privato e riconoscere un ruolo fondamentale ai fondi integrativi, ai fini della verifica dell’appropriatezza della prestazione, del controllo della spesa e della sua relativa emersione. 

8) Nuove generazioni: per favorire l’occupazione dei giovani riteniamo opportuno mettere in piedi un dialogo costruttivo e costante tra il mondo del lavoro e quello della scuola, non solo con riferimento all’istruzione di tipo secondario, ma, altresì, per quella universitaria e post-universitaria. La ricetta risiede nella co-progettazione tra tutti gli attori coinvolti (scuola, impresa e giovani) in cui un ruolo chiave svolge la figura del tutor che può essere efficacemente ricoperta da figure manageriali. Necessaria poi una formazione qualificata che sia continuamente allineata alle caratteristiche mutevoli del mondo del lavoro. In tale ottica, è fondamentale il potenziamento delle opportunità di formazione in contesto lavorativo mediante stage e tirocini professionalizzanti e percorsi di apprendistato. Infine, gli incentivi per la nuova imprenditoria rappresentano una parte importante delle misure per sostenere i progetti d’impresa e favorire la partecipazione dei giovani alla sfida dell’innovazione e della crescita economica.  

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