Generalmente la materia e il contenuto dei miei articoli trattano di folclore, celebrazioni e ricorrenze, scavando sulle loro origini. Son convinto che, al fine di carpire appieno il significato intrinseco della materia trattata, occorre risalire all’origine del soggetto, dell’ambiente, del tempo e della società che l’ha espressa. Ogni mio riferimento all’antichità precristiana, a cui risalgono molti simboli e ricorrenze da noi celebrate, non va inteso quale confronto volto a sminuire un principio o una fede a vantaggio di un’altra. L’accostamento parallelo di molte nostre ricorrenze religiose a idee di fondo tramandate dall’antichità va inteso quale approfondimento e complemento necessario, al fine di carpire l’immanenza della materia trattata. Dunque, un arricchimento del soggetto. Spero che queste righe affrettate servano a dissipare ogni fraintendimento sull’intenzione e la portata dei miei riferimenti. La ragione dietro l’uso di strumenti di comunicazione quali il simbolismo e l’archetipo risiede nel fatto di poter meglio comunicare, se non appieno, ma almeno in parte, il significato originario intrinseco di ricorrenze ignorate o quasi del tutto dimenticate, come nel caso del simbolismo dei Cicli, dei Solstizi e degli Equinozi. Questa la condizione per far sì che alcune nostre ricorrenze annuali tra cui Natale, Capodanno, Pasqua, ecc… trascendano il contesto storico del nostro calendario e vengano concepite quali “segni” di un percorso ciclico, immanente, sottraendole ad un’interpretazione e ad una visione sempre più profana e materialista; moto oggi sempre più accentuato di allontanamento dal principio originario. La società attuale, non curante dell’ineffabilità della legge ciclica, si crogiola nel suo piccolo microcosmo di storia universale a misura dell’uomo. La visione antica antropocentrica, tanto derisa dai “razionalisti” moderni e inconsciamente di regola oggi, è all’insegna dell’arroganza umana al cospetto della Natura e dell’Universo. Lo scorrere del tempo è un moto ciclico ineluttabile: ascendente o discendente. Ad esempio, i simboli religiosi della romanità riflettevano un particolare tipo umano di società; una società, nel tempo, più vicina alla “primavera di un ciclo”. In quest’ottica il tempo non va considerato “lineare, quantitativo”, ma ciclico e “qualitativo”, governato da una fine ed un eterno ritorno all’origine. Questo vuol dire che una società assume ed esprime i suoi valori religiosi e morali a seconda del contesto ciclico e storico in cui si manifesta nel tempo. Ecco perché le civiltà fioriscono, crescono, decadono e muoiono. E oggi noi viviamo un moto di decadenza determinato dall’allontanamento da una “Fonte originaria”, a cui tutto è destinato a ritornare. A seguito del declino e morte del mondo classico antico, il “segno dei tempi” chiamò l’umanità a reinterpretare sincreticamente e più “umanamente” archetipi e simboli eterni, alla luce di un nuovo Credo (il Cristianesimo). Ecco il manifestarsi di una nuova Verità, una nuova Via, una nuova Parola. Ma il “Nuovo tempo” non fu che il subentrare di un “tempo rinnovato”, una parentesi spirituale nell’ambito di un più grande ciclo in fase di allontanamento dal principio immutabile e immanente della Fonte Tradizionale originaria. La necessità di ricorrere a particolari aspetti spirituali della Tradizione antica è dettata dalla presenza degli stessi simboli e archetipi, i quali, come fari, guidano e richiamano ad una stessa Fonte.
È impossibile non ricorrere all’archetipo, strumento di comunicazione e di evocazione essenziale, quando la materia diventa metastoria, cioè quando un principio o una verità, seppur sovrastante la storia, rimane però costante nel percorso di questa. Perciò, il simbolo e l’archetipo costituiscono degli elementi di comunicazione essenziali per definire o confrontare dei principii e delle idee. Il simbolo va oltre il discorso e la sfera del sensibile; evoca dimensioni che abbracciano sfere inaccessibili alla parola o allo scritto. Non è possibile con la parola evocare appieno quel che avviene nella fatidica notte del Solstizio d’inverno, senza l’ausilio del simbolo: Natività, trionfo della Luce sulle ombre, ecc. Insomma, il simbolo interviene là dove la parola o lo scritto non bastano ad inquadrare e rendere totalmente intelligibile un soggetto o un pensiero, al di sopra di ciò che è puramente sensibile. Trattando del simbolo e delle sue accezioni, Oswald Wirth, nel suo raro e pregiato: “Il potere del serpente”, afferma: “Il simbolo è una finestra aperta sull’infinito”. Quest’affermazione risulta tanto veritiera quando, ad esempio, ricorriamo all’idea di Macrocosmo e microcosmo. In questo caso, ciò che l’umano vive e sente in sé (Microcosmo), lo raffigura nell’immagine del simbolo astrale delle costellazioni dei pianeti (Macrocosmo), attribuendo loro regole, leggi e funzioni con valenze ontologiche. L’archetipo, invece, è un simbolo di tutt’altra portata. Il termine letteralmente significa “forma originaria” (archè-typos), è un’immagine, un’idea mutevole che si riferisce a contenuti fissi, come, ad esempio, le varie figure della Grande Madre (simboli): tutte intendono rappresentare lo stesso principio (l’archetipo). Non è possibile sintetizzare oltremodo la materia, considerando la sede e lo spazio. Mi rendo conto della superficialità su un così vasto e profondo soggetto, ma è il minimo dovuto ai miei lettori.