In un mondo in cui la prepotenza e la forza guidano l’operato degli uomini e degli Stati, fino a commettere atti deprecabili cui stiamo assistendo grazie alle immagini che ci arrivano da tutto il pianeta, il trattato di Cesare Beccaria diviene sorprendentemente attuale e dovrebbe essere letto da tutti coloro che usano la violenza invece della ragione.
Il suo “Dei delitti e delle pene” è uno studio sul Diritto Penale pubblicato nel 1764, quando aveva appena ventisei anni, ed ebbe un successo fenomenale in Francia, dove fu ristampato per ben sette volte in sei mesi. Seguirono le traduzioni in inglese, tedesco, polacco, spagnolo e olandese. La sua apparizione ebbe una risonanza notevole anche negli Stati Uniti, dove Thomas Jefferson e i padri fondatori, che lo lessero nella versione originale italiana, lo presero come esempio per scrivere le leggi costituzionali americane.
Il trattato è basato sul alcuni principi: la politica di un governo deve prendere in considerazione il bene della maggioranza dei cittadini, la punizione deve essere commensurata al reato, la tortura per estorcere una confessione è un atto barbarico, la pena di morte per punire un delitto è un altro delitto compiuto dallo stato, non una punizione.
L’obiettivo del sistema penale dovrebbe essere quello di impartire punizioni adeguate a garantire la sicurezza dei cittadini e scoraggiare i crimini, non con la severità della pena, ma con la certezza della sua applicazione.
È interessante notare che Voltaire, il filosofo più importante della Francia del XVIII secolo, scrisse nel 1766 che “Dei delitti e delle pene” era una conquista morale importante quanto la scoperta dei rimedi per curare una malattia. In quell’anno una madre diciottenne era stata impiccata per aver abbandonato il neonato e nascondere così la gravidanza ai genitori. “È davvero assolutamente necessario uccidere la madre? Non è questa una legge ingiusta, inumana e pericolosa?”, scriveva Voltaire.
Beccaria denunciò anche la corruzione dei magistrati, si oppose alle domande tendenziose in tribunale e auspicò che la testimonianza delle donne fosse valida quanto quella degli uomini; inoltre concluse che la prevenzione di un crimine è migliore della pena. Trascrivo un paragrafo significativo del trattato:
“Un uomo non può chiamarsi reo prima della sentenza del giudice, né la società può toglierli la pubblica protezione, se non quando sia deciso ch’egli abbia violati i patti col quale fu accordata. Quale è dunque quel diritto, se non quello della forza, che dia la potestà ad un giudice di dare una pena ad un cittadino, mentre si dubita se sia reo o innocente? Non è nuovo questo dilemma: o il delitto è certo o incerto; se certo, non gli conviene altra pena che la stabilita dalle leggi, ed inutili sono i tormenti, perché inutile è la confessione del reo; se è incerto, è non devesi tormentare un innocente, perché tale è secondo le leggi un uomo i di cui delitti non sono provati”.
Il trattato “Dei delitti e delle pene” è il più importante manuale che sia stato scritto sulla giustizia criminale ed è consultato ancora oggi, dopo più di due secoli. (Traduzione Dal sito web “Britannica”). Faccio notare che Cesare Beccaria era il nonno di Alessandro Manzoni, autore del romanzo più importante della lingua italiana: “I Promessi Sposi”.