(Adnkronos) – Dopo l’accelerazione, ecco la frenata. Attorno al tavolo dei ministri delle Finanze dei Paesi Ue, ha detto a Lussemburgo il vicepresidente esecutivo della Commissione Europea Valdis Dombrovskis, ci sono “opinioni diverse” sulla proposta di creare uno strumento europeo modellato sul programma Sure per affrontare i continui rincari dell’energia, avanzata ieri dai commissari Paolo Gentiloni e Thierry Breton. E’ una cosa che richiederà “ulteriori discussioni”, ha aggiunto il politico del Ppe. E il portavoce capo della Commissione Eric Mamer ha ricordato che gli op-ed, gli interventi scritti, sono iniziative “personali” dei commissari e che quindi, come tali, “non impegnano la Commissione”.
Gentiloni e Breton sono due commissari importanti e di peso: rappresentano Italia e Francia, la seconda e la terza economia dell’Ue, e le loro posizioni non sono affatto isolate. Ma la Commissione è prudente, sapendo che sulla risposta da dare alla crisi energetica gli Stati sono tuttora divisi e soprattutto che nel campo dei riluttanti c’è la Germania. Per combattere la crisi energetica che colpisce tutta Europa, ha detto il ministro delle Finanze tedesco Christian Lindner, “ulteriori proposte che siano basate sul programma Sure non sono giustificate in questo momento”.
“La Germania – ha continuato Lindner – è pronta a discutere” altri strumenti, ma “questa crisi è diversa” dalle precedenti, perché “abbiamo a che fare con uno choc sul lato dell’offerta”, al quale si reagisce “espandendo l’offerta e agendo insieme”. Gentiloni ha spiegato che non intende “biasimare i Paesi membri perché sostengono le loro economie”, cosa che è “inevitabile. Chiediamo che le misure siano temporanee e mirate. Il punto non è criticare gli Stati membri, ma avere la possibilità di fare passi ulteriori”.
“Perché se vogliamo evitare la frammentazione, se vogliamo affrontare questa crisi – ha proseguito Gentiloni – serve un livello più alto di solidarietà e dobbiamo mettere in campo ulteriori strumenti comuni. Per esempio Sure era una proposta interessante: era basato su prestiti ed è realistico. La nostra intenzione è evitare i rischi di frammentazione, non criticare questo o quello Stato membro”. Rischi di frammentazione che sono reali, ha ricordato il ministro francese dell’Economia Bruno Le Maire, senza citare esplicitamente il piano approvato dalla Germania, che ha messo sul piatto 200 mld di euro per aiutare le famiglie, e soprattutto le imprese, tedesche, alle prese con la carenza di gas imposta dalla Russia di Vladimir Putin.
Un piano che ha provocato più di qualche alzata di sopracciglio: la ministra spagnola Teresa Ribera, al Consiglio Energia di venerdì scorso, ha ricordato che spetta alla Commissione verificare se è in linea con le regole sugli aiuti di Stato. Con la potenza di fuoco dello Stato tedesco (e dei suoi Bund, che sono tuttora il primo safe asset europeo) dietro le imprese, le aziende degli altri Paesi, con meno spazi di bilancio, faranno molta fatica a competere. E addio “level playing field”. La Commissione è stata molto prudente, davanti al piano germanico, e finora non si registrano prese di posizione della danese Margrethe Vestager, che ha la delega alla Concorrenza. I portavoce si sono limitati a ricordare che spetta allo Stato membro notificare eventuali aiuti di Stato e che la Commissione tutelerà il mercato unico.
Lindner ha difeso oggi il piano del governo a ‘semaforo’, sostenendo che “c’è stato un malinteso”, perché i 200 mld sono spalmati su “tre anni”, fino al 2024, e sono “commisurati” alle dimensioni dell’economia tedesca. Diversi osservatori ritengono che Berlino potrebbe diventare meno coriacea dopo le elezioni del 9 ottobre in Bassa Sassonia: i Liberali dell’Fdp rischiano di rimanere fuori dal Parlamentino del Land, quindi fino ad allora è improbabile che Lindner, che è leader del partito, possa cedere su proposte invise agli elettori liberali tedeschi, come il tetto al prezzo del gas o, peggio ancora, un programma Ue finanziato con debito comune. Dombrovskis ha invitato a non farne un dramma: nell’Ue composta da 27 democrazie, ha detto, “le elezioni ci sono sempre” e l’Unione è abituata a funzionare tenendo conto dei cicli elettorali.