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Canzoni alpine indimenticabili nella storia d’Italia: “Il Testamento del Capitano”

Le canzoni di guerra costituiscono elementi fondamentali che cristallizzano la memoria su vicende belliche. Ogni canto di guerra ha aiutato il combattente a sopportare fatiche, privazioni e dolori che, coadiuvate analogamente da sforzi, sacrifici, virtù e doti militari legate al senso del dovere, completavano e determinavano l’immagine ideale dei nostri combattenti. Grazie ai canti delle trincee e delle postazioni, dopo più di un secolo, nel nostro immaginario collettivo, il Corpo degli Alpini e l’idea del fante in trincea ricorre immancabilmente al ricordo e alle atmosfere della Grande Guerra. Ecco la forza di un canto, nato spesso durante una trepidante vigilia di un assalto o dopo un cruento scontro, che forse meglio di un saggio, un diario e persino di una fredda e tagliente statistica ufficiale riesce a superare le barriere del tempo ed a testimoniare ad imperitura memoria ciò che accadde quasi un secolo fa. 

Foto originale di un coro di Alpini durante la Prima Guerra Mondiale, con il fatidico Monte Nero alle loro spalle

Il mito degli Alpini si concretizza, dunque, anche attraverso queste canzoni. Grazie alle voci di oggi, noi possiamo viaggiare nel tempo e rivivere in modo estremamente toccante le stesse emozioni e gli stessi battiti del cuore di semplici uomini arditi, che diedero così tanto per gli ideali della Patria. Son queste tutte melodie memorabili, stupende, belle e apprezzabili anche se cantate senza l’ausilio di elaborati arrangiamenti, poiché solo le parole che le compongono sono significative e di profonda portata.

È quel che farà dire allo scrittore e reduce Paolo Monelli: “In queste canzoni si sente un odor di paese, di castagne arrosto bevute col vino nuovo, di ragazze branciate dietro le siepi autunnali con oneste intenzioni matrimoniali; perché l’alpino incantona sì spesso la ragazza; ma poi la sposa; e vuole una sposa che sappia fare il pane e i biciolan; e attacchi per bene i bottoni al marito, “ca li taca in na maniera, ca li taca par dabon”. Tra i canti alpini indimenticabili, merita menzione particolare “Il testamento del Capitano”.

È uno dei canti più celebri e commemorativi del Corpo degli Alpini, ma non nasce come canto alpino. Il canto risale ad una ballata cantata dalle lavandaie napoletane. Siamo nel XVI secolo, la morte del Marchese Michele Antonio di Saluzzo, avvenuta ad Aversa, in Campania, nel 1528, durante le sanguinose guerre di Carlo V in Italia, getta le basi per una versione embrionale della canzone che oggi conosciamo. Il titolo con cui si presentava all’epoca la nuova versione era: “La Ballata del Marchese di Saluzzo”, il quale, prossimo alla morte sul campo di battaglia, chiede ai suoi figli d’arme che il suo corpo sia ripartito in quattro parti e nel seguente ordine: la testa alla madre, il cuore alla promessa sposa, Margherita, le due parti restanti, invece, ordina che vadano consegnate rispettivamente alla Francia e al Monferrato. Della ballata, inizialmente tramandata oralmente, troviamo le prime tracce del testo originale nei versi raccolti dal filologo piemontese Costantino Nigra nel XIX secolo. Il testo, più volte rielaborato nei secoli, è stato adottato dai nostri Alpini ed è divenuto poi famoso con la Prima Guerra Mondiale.

La melodia è rimasta la stessa, sono cambiate solo le parole. Memorabile pure la famosa “Sul ponte di Bassano”. L’opera prende il nome dalla città ai piedi del Grappa, importante centro logistico durante il conflitto, ma anche luogo dove è eretto il famoso ponte sul fiume Brenta, detto “ponte degli Alpini”. E poi avanti ancora con altri celebri titoli storici: “La Montanara”, “Valore Alpino” (anche detta “Trentatre”), “Inno degli alpini sciatori”,  “Va l’alpin su l’alte cime”, “Sul cappello che noi portiamo”,  “Monte Nero”, “Monte Canino”….ecc.

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