(Adnkronos) – A base di cannabis esistono farmaci approvati dalle autorità regolatorie, prodotti non approvati dalle agenzie del farmaco e altri contenenti Cbd (cannabidiolo). Sono tre categorie ben distinte, utilizzate per scopi differenti e non tutte in ambito terapeutico. Con l’obiettivo di fare luce su un tema che registra un interesse crescente, e per un impiego appropriato anche in campo medico, è stato organizzato oggi a Milano l’incontro ‘Cannabis e sanità. Ripartire dalla scienza’, promosso da Adnkronos Comunicazione con il supporto non condizionato di Jazz Pharmaceuticals. Tre le parole su cui si è articolato l’evento: chiarezza, differenziazione e appropriatezza.
A fare ‘chiarezza’, spiegando cos’è la cannabis, è Giorgio Racagni, past president della Società italiana farmacologia (Sif). “E’ una pianta – afferma – che, tra gli altri, contiene prevalentemente due principi attivi: il cannabidiolo (Cbd) e il tetraidrocannabinolo (Thc). Quest’ultimo è in grado di interagire con il sistema endocannabinoide del nostro organismo che contribuisce all’omeostasi, ossia alla stabilità dell’ambiente interno del corpo. Al momento gli endocannabinoidi riconosciuti e studiati a livello scientifico sono due, l’anandamide e il 2-Ag (2-arachidonoilglicerolo) e si legano a due recettori: i Cb1, che si trovano prevalentemente nel sistema nervoso centrale, e i Cb2, che si trovano invece principalmente a livello periferico e, in particolare, nelle cellule immunitarie”. Questo sistema endocannabinoide, prosegue il farmacologo, “si attiva anche in presenza del Thc che va ad agire come agonista sul recettore Cb1, manifestando la sua azione come antiemetico, antinfiammatorio e analgesico, così come stimolante ed euforizzante. Il Cbd, a differenza del Thc, non ha effetto euforizzante in quanto non agisce direttamente sui recettori Cb1. Il Cbd svolge la sua azione antiepilettica attraverso meccanismi diversi non ancora del tutto noti, ovvero blocco dei recettori Gpr55, desensibilizzazione dei canali Trpv1 e inibizione del re-uptake dell’adenosina”.
Passando alla parola ‘differenziazione’ – è stato ricordato nel corso dell’evento – esistono farmaci a base di cannabis approvati dalle autorità regolatorie, sottoposti a programmi di sperimentazioni cliniche come qualunque altro farmaco. I prodotti non approvati dalle agenzie del farmaco sono utilizzati a scopo terapeutico su prescrizione del medico (ricetta non ripetibile) e spesso indicati con il nome di cannabis ‘medica’ o ‘terapeutica’. Sono utilizzati principalmente nel dolore cronico, quello associato a sclerosi multipla e a lesioni del midollo spinale. La mancanza di sufficienti evidenze scientifiche a sostegno del loro utilizzo nelle patologie per cui sono prescritti differenzia questi prodotti dai farmaci. Il ministero della Salute considera questi prodotti non come una terapia, ma come un trattamento sintomatico di supporto. Infine, esistono i prodotti di consumo contenenti cannabidiolo, venduti direttamente al pubblico in negozi specializzati o online, che includono oli e altri prodotti a base di Cbd, dispositivi per il vaping e ingredienti per cosmetici che non rientrano nelle due categorie precedenti e non sono autorizzati per finalità mediche.
Sulla terza e ultima parola chiave al centro dell’incontro, ‘appropriatezza’, Marco Pistis, professore ordinario di Farmacologia presso l’Università degli Studi di Cagliari, rimarca che “quando parliamo di appropriatezza prescrittiva generalmente ci riferiamo ai farmaci. Tra questi rientrano ovviamente anche quelli derivati dalla cannabis approvati dalle autorità regolatorie, che possono avere – come tutti i farmaci – effetti collaterali o interazioni farmacologiche. Ma si tratta di interazioni ben note, studiate e osservate durante gli studi registrativi. Sono monitorati anche nel post marketing dal sistema di farmacovigilanza. Per cui si possono apportare modifiche alle schede tecniche e inserire ulteriori informazioni, limitazioni, controindicazioni, ecc.”.
L’appropriatezza garantita dell’impiego di farmaci a base di cannabis non è garantita per i prodotti non approvati o quelli a base di cannabidiolo. “Quando parliamo di prodotti a base di cannabis non approvati dalle autorità regolatorie, ossia la cannabis medica – precisa Emilio Russo, professore ordinario di Farmacologia presso l’Università Magna Grecia di Catanzaro – la comunità medico-scientifica riconosce delle potenzialità alla pianta e ad alcuni dei principi attivi presenti; è consapevole, in alcuni casi, dell’efficacia, ma questa non è stata confermata da studi clinici e, per alcune formulazioni o estratti, non si conosce esattamente il profilo di tollerabilità, soprattutto in relazione ad alcuni contesti patologici. Questo implica che, nel momento in cui andiamo a utilizzare queste sostanze, ci stiamo caricando di una responsabilità medica, esponendo il paziente a un rischio che non è perfettamente noto”.
Tornando ai farmaci, “considerate le patologie in cui viene più utilizzata – sottolinea Laura Tassi, presidente della Lega italiana contro l’epilessia (Lice) – la cannabis non viene mai prescritta da sola, ma in ‘add on’ con altri farmaci, e solo lo specialista è in grado di valutare l’interazione tra i farmaci ed eventuali effetti collaterali, che esistono e possono essere molto gravi”.
L’appropriatezza prescrittiva “è ovviamente centrale per il regolatore – evidenzia Marcella Marletta, esperta di sanità pubblica e già direttore generale della Direzione dei Farmaci, Dispositivi medici e della Sicurezza delle cure del ministero della Salute – Una prescrizione farmacologica può essere considerata appropriata se effettuata all’interno delle indicazioni cliniche per le quali il farmaco si è dimostrato efficace e all’interno delle sue indicazioni d’uso (dose e durata del trattamento). Appropriatezza è ovviamente un tema centrale anche quando si parla di cannabis medica”.
Formazione e corretta informazione anche del medico “rappresentano capisaldi in ogni ambito – riflette Marletta – ma risultano imprescindibili in quello medico e scientifico, dove la tutela della salute dei pazienti deve rimanere la stella polare”. A tale proposito, nel dibattito è emersa la necessità di sradicare la convinzione errata da parte della maggioranza della popolazione, che ‘tutto quello che è naturale non fa male’. “E’ l’affermazione più falsa che ci sia – avverte Russo – Tra i veleni più pericolosi ci sono quelli che vengono dalla natura. Bisogna evitare il ‘fai da te’, ma avere sempre alle spalle un medico specialista”.