(Adnkronos) – Dopo i casi in Cambogia, gli esperti di salute del Regno Unito condividono i dettagli di piani in stile Covid contro l’influenza aviaria. Piani che contemplano ogni evenienza, anche un modello per lo scenario a oggi ritenuto improbabile che il virus muti e diventi capace di causare una pandemia nell’uomo. “Occorre essere preparati al peggio”: il motivo di questa attività preparatoria è stato illustrato così da uno degli esperti alla ‘Bbc’, in questi giorni in cui i riflettori delle autorità sanitarie internazionali sono stati accesi sul virus H5N1, che ha portato alla morte di una 11enne cambogiana e a un secondo caso accertato di positività, quello del padre della ragazza. La linea è, dunque, restare vigili.
La UK Health Security Agency (Ukhsa) puntualizza che non ci sono evidenze che il virus H5N1 sia una minaccia imminente per l’uomo, nonostante alcune persone si ammalino dopo il contatto con uccelli infetti. Ma la stessa Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha sollecitato a una maggiore sorveglianza da parte di tutti i Paesi.
In preparazione per uno scenario peggiore di diffusione da uomo a uomo, l’Ukhsa sta elaborando modelli previsionali di quanti potrebbero essere infettati e ammalarsi gravemente, sta valutando se sarebbero utili test ed esami del sangue e quali mutazioni genetiche potrebbero segnalare un aumento del rischio per la salute umana. Quanto ai vaccini, per l’influenza aviaria ci sono già diversi candidati che potrebbero aiutare. E, come è stato evidenziato durante un incontro nei giorni scorsi, i laboratori affiliati all’Oms detengono già due ceppi di virus influenzali strettamente correlati al virus circolante H5N1, che i produttori possono utilizzare per sviluppare nuovi vaccini se necessario.
Minelli
“Senza voler agitare lo spettro di nuovi rischi pandemici, peraltro impossibili da escludere a priori a prescindere dal fatto che le entità patogene siano già note o eventualmente sconosciute, le autorità sanitarie hanno il dovere di preoccuparsi degli scenari che potrebbero aprirsi da una diffusione incontrollata della cosiddetta influenza aviaria. Le vicende a tutti note del 2006 ci riportano alla mente le misure di sicurezza già allora ipotizzate per il contenimento dell’aviaria che in quella stagione fu tenuta assolutamente sotto controllo. Oggi, invece, alla luce del patrimonio di conoscenze scientifiche e di metodologie sanitarie acquisito dal 2019, potremmo ipotizzare un argine al rischio pandemia di influenza aviaria con il ricorso al vaccino, che resta l’unico strumento veramente indicato sul fronte della prevenzione”. Così all’Adnkronos Salute l’immunologo Mauro Minelli, coordinatore per il Sud Italia della Fondazione per la Medicina personalizzata, commentando la scelta degli esperti di salute del Regno Unito.
“E’ il momento quindi di affinare questi meccanismi e consentire a breve di mettere a fattor comune gli eventuali vaccini in preparazione, a cominciare da quei territori dove potrebbe scatenarsi una tempesta virale, per le solite, mille dinamiche socio-sanitarie più e più volte ribadite nelle fasi convulse dei mesi trascorsi, che tuttavia – precisa Minelli – farà bene a tutti evitare di evocare a spauracchio, come il pastorello di Esopo con il lupo”.
Remuzzi
“Adesso il rischio per l’uomo sembra essere basso. Ma in linea di principio potrebbe essere. Nel senso che questi virus possono mutare” e acquisire la capacità di “infettare l’uomo più facilmente di come non stia succedendo per ora”. E in un caso simile, “con queste caratteristiche, si potrebbe anche diffondere da persona a persona”, sottolinea all’Adnkronos Salute Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri Irccs, che spiega cosa sappiamo del virus e cosa possiamo prevedere.
Se sulla carta non si può escludere che l’aviaria diventi una minaccia più concreta per l’uomo, “d’altra parte va ricordato – osserva Remuzzi – che il virus è in circolazione da 25 anni e non è così facile” che ci sia una svolta di questo tipo, “anche se” in questo periodo “sono stati rilevati diversi casi nei mammiferi” e anche se “possono esserci delle mutazioni che in questo momento non riusciamo a prevedere”. A proposito di svolte impreviste, lo scienziato italiano ricorda “quello che è successo nel 2009”. Il virus A/H1N1, che quell’anno divenne pandemico, di fatto era frutto di un riassortimento genico, un sottotipo di virus di influenza umana che era il risultato di una combinazione di due virus dell’influenza suina che contenevano geni di origine aviaria e umana. “Questi scambi di geni sono dei fenomeni che occorrono e che capitano a caso. E’ difficile dunque dire se questo potrà causare la prossima pandemia”. E la minaccia potrebbe venire “anche da un altro virus”, puntualizza.
Per l’aviaria, “la possibilità che passi all’uomo c’è già e si è già vista. Ma la persona deve venire in contatto molto ravvicinato con un volatile infetto, vivo o morto, o con delle superfici contaminate da” liquidi o materiale biologico di “animali infetti”. E infatti, fa notare Remuzzi, “nei Paesi dove ci sono più facilmente questi passaggi dell’animale all’uomo le persone vivono con i polli in casa o comunque a stretto contatto con pollame”.