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Aviaria e rischio pandemia, Usa al lavoro per strategie e vaccini

(Adnkronos) – Quanto sono preparati gli Usa per una eventuale pandemia di influenza aviaria? “I Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie (Cdc) e l’intero governo degli Stati Uniti stanno prendendo molto sul serio questa situazione”, ha assicurato in un’intervista la direttrice dei Cdc, Mandy Cohen. “Non avevamo riscontrato l’influenza aviaria nei bovini prima della scorsa settimana. Questa è una novità. È un serbatoio in cui il virus può circolare e potenzialmente cambiare”, ha osservato. Dopo che nei giorni scorsi è stata rilevata la positività al ceppo H5N1 dell’influenza aviaria ad alta patogenicità di un lavoratore del settore lattiero-caseario in Texas, entrato in contatto con bovini infetti, i funzionari federali si stanno dunque preparando alla possibilità di ulteriori casi umani. E stanno testando componenti per creare un vaccino. Due candidati sembrano ben abbinati per proteggere contro il ceppo H5N1 che circola tra i bovini da latte e gli uccelli.  

Probabilmente passeranno da settimane a mesi prima che quelle iniezioni scudo possano essere rese disponibili, se necessario, secondo un funzionario degli Health and Human Services. E alti funzionari dei Cdc hanno assicurato che l’agenzia è ben preparata a rilevare se una persona ha l’H5N1 attraverso la sorveglianza regolare dell’agenzia per l’influenza stagionale in più di 100 laboratori di sanità pubblica in tutti gli Stati Usa, nonché attraverso il monitoraggio rafforzato messo in campo nel 2022 per chiunque sia stato esposto ad uccelli infettati da quel ceppo. Il dibattito è aperto su quanto siano pronti Oltreoceano per gestire un’epidemia di influenza dopo che la pandemia di Covid, e la conseguente peggiore crisi sanitaria mondiale dell’ultimo secolo, hanno messo in luce le debolezze delle infrastrutture sanitarie pubbliche. Alcuni funzionari federali precisano che il loro compito è prepararsi al peggio, ma che il rischio per le persone al momento rimane in generale basso.  

“Ritengo che possiamo dire che il rischio di influenza aviaria rimane basso per il pubblico perché il virus che osserviamo nei bovini e in questo caso umano è lo stesso virus a livello genetico che abbiamo riscontrato nel pollame”, ha affermato Cohen. Poiché l’influenza aviaria non è un virus nuovo, alcuni esperti ritengono che il Paese sia più preparato ad affrontare un’epidemia di questo tipo rispetto al Covid, ma gli stessi esperti mettono in guardia da un atteggiamento di eccessiva sicurezza. Altri, invece, hanno sottolineato il drastico taglio nei fondi per la preparazione a pandemie future. 

Se si dovesse verificasse un’epidemia nell’uomo, aumentare rapidamente la vaccinazione sarebbe fondamentale, è stato evidenziato da più parti. E nel Paese il piano decennale per modernizzare la vaccinazione antinfluenzale fissa l’obiettivo di fornire le prime dosi entro 12 settimane dalla dichiarazione di una eventuale pandemia influenzale. I funzionari federali evidenziano alcune buone notizie: produrre un vaccino che corrisponda a questo ceppo specifico del virus e poi produrlo in serie, assicurano, è più semplice dello sforzo visto per sviluppare un vaccino contro il coronavirus. Questo perché esistono già vaccini per l’influenza aviaria e possono essere modificati, dicono gli esperti, per proteggersi meglio da questo ceppo specifico. Ovviamente l’operazione andrebbe conciliata con limiti ed esigenze a livello produttivo. Questo scenario in ogni caso, precisano gli esperti, probabilmente si verificherebbe solo se ci fosse una trasmissione da uomo a uomo abbastanza diffusa. Ci sono infine i farmaci antivirali approvati dalla Fda, per chi dovesse risultare contagiato dall’influenza aviaria e, secondo gli esperti, non ci sono segni che il ceppo virale attuale sia resistente a queste terapie.  

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