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ANDREA AMATI, l’inventore del violino
Uno dei pochissimi esemplari dei violini di Andrea Amati nel Metropolitan Museum

 

Gli strumenti a corda sono sempre stati gli indispensabili accompagnatori della voce umana, che nella tradizione popolare celebrava le imprese degli eroi, la storia delle conquiste, le vittorie e le sconfitte, l’amore ed anche l’odio. Ricordiamo la lira, quella di Orfeo è la più celebre, i liuti e le chitarre costruite forse per un innato desiderio di abbellire il canto con suoni armoniosi.

 

Un posto particolare occupa il violino, discendente da strumenti rozzi che hanno ispirato i liutai a cimentarsi nel miglioramento dell’acustica, del volume e del tono. È proprio durante il Rinascimento che lo strumento che conosciamo oggi si sviluppò in una bottega di liutai fondata dalla famiglia Amati. Dai violini di Andrea Amati si sviluppò successivamente l’arte di Antonio Stradivari, i cui violini sono l’epitome della perfezione di questo strumento musicale.

 

Andrea Amati nacque nel 1505 e sviluppò la sua arte di liutaio dopo aver imparato la costruzione degli strumenti a pizzico a Cremona. Data la sua posizione sociale, non poteva permettersi di usare legni pregiati, eppure riuscì a costruire il prototipo del violino moderno che ebbe un successo straordinario nelle corti di tutta Europa. Pian piano perfezionò la cassa di risonanza con spessore di legno variabile, migliorò la vibrazione dello strumento usando superfici incollate al minimo, studiò la differenza tra i vari legni fino a raggiungere il suono desiderato.

 

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Il violino cominciò ad essere lo strumento più importante fin dal periodo barocco e oggi nessuna orchestra o ensemble musicale ne può fare a meno per la sua caratteristica di versatilità e virtuosismo difficile da ottenere con altri strumenti. Il suono creato dai grandi violinisti ha il potere di affascinare per la sua espressività paragonabile alla voce umana.

 

Ecco la mia impressione durante un concerto di violino e chitarra nella cattedrale di Reykjavik, in Islanda:

 

“La prima nota si diffuse nell’aria e sembrò originare tutte le altre, come se le sue vibrazioni si fossero allargate quali i cerchi nell’acqua di una pietra che cade in uno stagno, e si fosse trasformata nelle altre; il raggio di luce che attraversa un prisma e si scinde nei colori dell’arcobaleno. Aveva aspettato un tempo immemorabile per liberarsi e riempire lo spazio circostante. Il suono attraversò le pareti della cattedrale e si estese in tutto lo spazio fino a raggiungere i confini dell’universo. Le lunghe note che la seguirono crearono un’atmosfera di attesa solenne. Improvvisi acuti delle corde sottili del violino si unirono al suono cupo dei bassi della chitarra fino a sfumare nell’anonimato e a confondersi col grigio delle pareti. Mentre gli accordi in mi minore componevano una disperata domanda, le corde del violino cominciarono a vibrare in un ritmo sincopato e invece di una risposta formulavano altre domande, si innalzavano in scale veloci, poi sostavano sulla settima dell’accordo senza arrivare alla conclusione del giro armonico; riprendevano il filo della melodia in un’altra tonalità e si intrecciavano con il tamburellare del chitarrista, che aveva cominciato a battere la mano sulle corde, accelerando il ritmo. Un vortice di note usciva dallo strumento mentre la violinista si curvava sul suo violino quasi a fondersi con quello; sussurrava parole come se volesse aiutarlo ad esprimere la forza della vita. La strana melodia sembrava sorgere dalla terra, esplodeva nell’aria come un’eruzione e cadeva sul pavimento dopo aver sommerso la mia anima”.

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