Premiato al Sundance per il film “Rumble:
The Indians Who Rocked The World”
di Vittorio Giordano
Montréal – Insieme Insieme a Catherine Bainbridge, si è aggiudicato il prestigioso “Premio speciale della giuria per la narrativa magistrale” (Special Jury Award for Masterful Storytelling) al Sundance Film Festival (Park City, Utah, dal 19 al 29 gennaio scorso) con il film-documentario “Rumble: The Indians Who Rocked The World”. Lui è Alfonso Maiorana, 51 anni, regista e direttore della fotografia italo-canadese (mamma di Montemarano e papà di Cassano Irpino, prov. di Avellino, in Canada dagli anni ’50), che ha avuto l’idea geniale di spiegarci come i popoli autoctoni abbiano avuto un’influenza fondamentale nello sviluppo della musica popolare americana. Utilizzando storie poco conosciute, aneddoti inediti, spezzoni audio e video e interviste con leggende viventi, il suo docu-film ci dimostra come alcuni dei più celebri cantanti statunitensi siano stati ispirati dalle antiche melodie degli Indiani d’America. Per oltre 30 anni Alfonso ha girato video musicali, cortometraggi indipendenti, documentari e serie tv tra Londra, New York, Miami, Città del Capo, Baltimore, New Orleans, Los Angeles, Washington, Mississippi, Toronto, Vancouver, Winnipeg e Montreal. Fino al meritato premio ricevuto al Sundance. “Sono cresciuto a Pointe-aux-Trembles e a Rivière des Prairies, prima di andare via per studiare e fare un mestiere in cui la mia stessa famiglia ha sempre creduto poco”. Sono le parole di Alfonso Maiorana, dal 1995 sposato con Cristina, padre di Massimiliano, 18 anni, e Celeste, 15. Tutto è nato durante il suo primo viaggio in Italia, nel 1977: “Avevo 11 anni: papà era occupato a salutare parenti e amici, mamma scattava foto, mentre io filmavo le feste di paese con la telecamera: è così che mi sono innamorato del cinema”. Dopo essersi laureato all’Università Concordia in ‘Communications Studies’, nel ’91 Alfonso si è iscritto alla Vancouver film school, dove ha incontrato maestri come Richard Walter, professore, tra gli altri, di Francis Ford Coppola. Nel 1993 è uscito il suo primo film: ANNABELLE, cortometraggio di 30 minuti, seguito, nel 1996, da THE BIG WORLD, un altro corto di 24 minuti. Poi, nel 2012, il videoogioco di avventura per la playstation: PAPO & YO. Prima di RUMBLE: THE INDIANS WHO ROCKED THE WORLD, nel 2017, lungometraggio di 1h e 45 minuti. “È la storia del rock and roll attraverso gli occhi degli indigeni americani. Negli anni ‘40 e ‘50, i grandi del blues, come Muddy Waters, Howlin’ Wolf e Charley Patton, erano afro-americani o nativi americani. Si pensa, erroneamente, che il blues sia afro-americano e che il jazz sia bianco, quando invece tutta la musica popolare americana affonda le radici nelle armonie dei nativi. Ed è quello che cerchiamo di dimostrare con questo film”. Che si apre con gli accordi di Rumble, brano strumentale composto nel 1958 da Link Wray, un indigeno di origine Shawnee, nato nella Carolina del Nord: “All’epoca la canzone fu bandita negli Usa, ma il disco arrivò a Londra, influenzando Jimmy Page dei Led Zeppelin. Anche nel jazz, Tony Bennett, oggi 90enne, ha più volte dichiarato di aver imparato a cantare da una ragazza di nome Mildred Bailey che ha influenzato altri artisti come Bin Crosby, Tony Bennet e Frank Sinatra”. Quattro i film preferiti di Alfonso Maiorana: ‘Les 400 coups’ di Francois Truffaut, “perché l’innocenza di un bambino è preziosa”; ‘La Dolce Vita’ di Federico Fellini, “con il suo stile unico tra realtà e fantasia”; “RUMBLE FISH and The OUTSIDERS” di Francis Ford Coppola, “che ha risvegliato la mia coscienza sociale” e “DO THE RIGHT THING” di Spike Lee, “che mi ha fatto capire come i film rivestino un importante ruolo contro le ingiustizie sociali”. Alfonso non ha mai dimenticato le sue origini: “Torno spesso in Italia, ho giocato a calcio e mi sono appassionato a campioni come Giancarlo Antonioni e Roberto Baggio. Ma il mio cuore batte sempre per il Napoli e l’Avellino. Il cinema italiano adesso sta soffrendo, anche se ultimamente Paolo Sorrentino e Matteo Garrone stanno facendo dei bei film. È possibile che il mio ultimo film partecipi al “BIOGRA Film Festival” di Bologna il prossimo giugno. Sono molto orgoglioso di essere italiano: i miei genitori mi hanno sempre insegnato a lavorare forte e a non mollare mai. L’unico modo che conosco per dimostrare il mio orgoglio tricolore non è comprando un’autovettura o una macchinetta del caffè, ma diffondendo l’arte italiana attraverso la recitazione. Purtroppo molta gente ci crede poco, mentre invece dovremmo essere fieri del cinema italiano nel mondo. Mi piace raccontare storie di persone che lasciano il paesino e fanno qualcosa di grande. Lo stile? Preferisco la camera in movimento con la storia raccontata da diverse prospettive che si evolve in maniera plastica e imprevedibile. Ho sempre avuto un debole per le scene espressive. A Pointe-aux-Trembles sono cresciuto vicino ad una raffineria: non la vedevo solo come una cosa brutta che puzzava e inquinava, perché significava comunque qualcosa, ed è questo che mi ha sempre motivato. Il mio prossimo film, quello che ho sempre voluto fare – ci preannuncia Alfonso Maiorana – racconta la storia di un giovane musicista che vuole andare via dal suo quartiere: pur amandolo, perchè è lì che ha imparato l’arte e la musica, andare fuori è l’unico modo possibile per poterlo raccontare”.