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AGRICOLTURA NELLO SPAZIO | Space economy in forte espansione

di Alessandra Cori

 

Dalla Terra allo spazio e ritorno. Salad machines per la coltura di insalate in ambiente controllato, tappetini capillari per irrigare in assenza di gravità e di atmosfera, micro-orti per coltivare in modo autonomo nella galassia. Ma anche sensori a tecnologia satellitare e tanta robotica. È l’agricoltura spaziale che avanza.

 

La scienza offre oggi la concreta possibilità di creare un ecosistema artificiale per produrre cibo in luoghi ritenuti estremi e perciò impossibili, come lo spazio. Ma questi stessi prototipi, poi, dallo spazio tornano sulla Terra sotto forma di applicazioni commerciali per aiutare la nostra agricoltura, spiegano gli esperti dell’Università Federico II di Napoli, impegnati da anni in progetti di questo tipo.

 

La ricerca di soluzioni per il supporto alla vita dell’uomo nello spazio ha un vasto campo di applicazione proprio sulla madre Terra e sviluppa un business crescente e interessante, anche nel nostro Paese. Secondo i dati del Ministero delle imprese e del Made in Italy (Mimit), la Space economy nel 2018 aveva raggiunto il valore di circa 370 miliardi di euro a livello globale, che si stima diverranno oltre 500 entro il 2030. Un settore che a livello mondiale impiega 1 milione di persone e con un valore di ritorno sugli investimenti molto alto. Infatti, per ogni euro speso, 11 ne vengono creati. Non stupisce, con questi numeri, che la Space Economy sia oggi considerata come uno dei più promettenti motori per la crescita economica.

 

In Italia sono circa 200 le aziende nel settore, di cui l’80% Pmi, per un giro d’affari annuo di 2 miliardi di euro e 7mila addetti. Inoltre, l’Italia è uno dei pochi paesi al mondo che può vantare una filiera spaziale autonoma e completa, grazie a investimenti costanti da diversi decenni. Non solo alimentazione “spaziale” per portare il cibo terrestre pronto sulle navicelle orbitanti, ma sempre più prototipi per coltivare il cibo direttamente nello spazio con la prospettiva di allungare la durata delle missioni e la distanza percorribile.

 

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Il Dipartimento di Agraria dell’Università degli Studi di Napoli, in collaborazione con l’Agenzia Spaziale Italiana (Asi) ed Europea (Esa), è impegnata da oltre vent’anni nello studio di questi sistemi di coltivazione in orbita. Con “La Sapienza” di Roma ha sviluppato un orto a bordo di un microsatellite che è stato lanciato dalla base Kourou, nella Guyana francese. A oltre 6mila km dalla Terra, ha rappresentato l’orto più lontano dal nostro pianeta. Intanto, sulla stazione spaziale internazionale, a soli 400 km da noi, si trova già “Veggie”, orto spaziale con lo scopo di studiare la crescita delle piante in microgravità, aggiungendo al contempo cibo fresco alla dieta degli astronauti.

 

È evidente che per parlare di missioni più lunghe, spiegano gli esperti, occorrerà pensare a colture che hanno un valore nutrizionale più alto rispetto a quello delle insalate, le cosiddette colture di base sulla Terra, come le patate, la soia e il riso. Infatti l’Università degli Studi di Napoli insieme a Thales Alenia Space di Torino sta lavorando a un’unità modulare per la coltivazione di tuberi di patata in microgravità a bordo della stazione spaziale internazionale attraverso la ricerca della cultivar più adatta. Inoltre, con l’Asi e “La Sapienza” i ricercatori di Napoli stanno sviluppando anche piante di riso specificamente migliorate e adattate per l’ambiente spaziale. E che tornano utili sulla Terra. Cultivar per impieghi in zone poco adatte alla coltivazione, come i deserti, i poli o le megalopoli.

 

Infine, va ricordato il progetto “Melissa” (Micro-Ecological Life Support System Alternative) che impegna l’Esa da oltre trent’anni nello studio di sistemi di supporto vitale rigenerativi, che mirano al massimo grado di autonomia e quindi a produrre cibo, acqua e ossigeno dai rifiuti della missione. L’Italia è poi punto di riferimento per lo studio delle piante. L’obiettivo è portare l’uomo a produrre alimenti sulla Luna o meglio su Marte, visto che ormai da 25 anni almeno si sta indagando la possibilità della vita su quello che viene considerato un pianeta gemello.

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