(Adnkronos) – L’Ucraina chiede almeno 800 milioni di euro, subito, per far fronte ai danni causati dai bombardamenti russi nel settore energetico. E, ovviamente, non ha più un’economia, letteralmente cancellata da dieci mesi di conflitto. L’Occidente continua a sostenere gli sforzi della resistenza di Volodymyr Zelensky e a pagarne il prezzo economico, soprattutto in Europa, meno negli Stati Uniti. La Russia arranca con un’economia in recessione, meno profonda di quanto si potesse pensare, ma di fatto sta compromettendo il suo futuro, anche quello più a breve termine.
Il dibattito sull’effetto delle sanzioni alla Russia non troverà mai un approdo completamente oggettivo, per la semplice ragione che i dati sull’economia russa non sono verificabili fino in fondo e perché quantificare i danni in un contesto in continua evoluzione diventa necessariamente un esercizio approssimativo.
Chiedersi chi sta peggio tra Mosca, Kiev e la Ue serve quindi soprattutto a mettere ordine nelle informazioni disponibili, astraendosi da una premessa imprescindibile, quella che separa nettamente chi sostiene la necessità di andare avanti nel conflitto e chi, al contrario, lo chiuderebbe comunque, anche se fosse l’Ucraina a dover pagare ancora un prezzo altissimo. Da una parte, c’è chi crede che portare avanti la guerra sia inevitabile fino al raggiungimento di una pace che non sarà mai giusta ma che almeno deve avvicinarsi a un passo indietro significativo di Mosca. Dall’altra, c’è chi contesta l’uso delle armi o chi, in ogni caso, non è più disponibile a sacrificarsi per qualcun altro.
In mezzo, c’è la realtà che scorre. Con le persone che continuano a morire, i danni che si continuano ad accumulare, e il conto economico di quello che accade che continua ad aggiornarsi inesorabilmente, per tutti.
Partendo da chi ha la guerra in casa, l’Ucraina. Alla devastazione, si aggiungono le conseguenze della nuova strategia militare russa, che ha preso di mira le infrastrutture, in particolare quelle energetiche, per rendere impossibile sostenere l’inverno. “Siamo uniti nel desiderio di vincere il terrorismo energetico. Faremo tutto per contrastarlo. La maggior parte delle nostre centrali elettriche sono state danneggiate o sono andate distrutte dai bombardamenti”, ha spiegato Zelensky, valutando che le riparazioni potrebbero costare 1,5 miliardi di euro. “Ogni giorno i nostri ingegneri devono staccare dalla rete milioni di ucraini per poter fare queste riparazioni. E ogni giorno ci aspettiamo nuovi bombardamenti russi. Per questo i generatori sono diventati importanti quanto i blindati per la difesa della popolazione”. L’altro elemento da considerare è che la ricostruzione, una volta finito il conflitto, avrà bisogno di finanziamenti per miliardi di dollari dalla comunità internazionale.
Quando si parla delle conseguenze della guerra, e delle sanzioni occidentali, sulla Russia non si può che partire dai dati. Quelli del Fmi dicono che quest’anno la Russia ha già perso il 6% del pil rispetto alle aspettative pre-crisi, ed entro il 2024 l’economia del Paese potrebbe essere ulteriormente ridimensionata (-11%). Numeri che suggeriscono come gli effetti maggiori di guerra e sanzioni si vedranno solo nei prossimi anni. Un’analisi del New York Times focalizza l’attenzione su tema strettamente legato all’andamento dei numeri: il futuro, anche quello più a breve termine, dell’economia russa. Vladislav Inozemtsev, direttore del Center for Post-Industrial Studies di Washington, sintetizza in maniera efficace: “Anche il governo ha smesso di scommettere sullo sviluppo nazionale”. Vuol dire che se i ricavi del gas e del petrolio hanno consentito finora a Putin di evitare la bancarotta, le sanzioni stanno avendo l’effetto di privare la Russia di qualsiasi possibilità di crescita futura, con evidenti ripercussioni sul tenore di vita dei russi.
E le conseguenze per l’Europa? Le stiamo vivendo e ne vivremo ancora. L’inflazione, i costi dell’energia, in prospettiva anche il rischio che manchi energia, la contrazione della crescita in un momento post pandemia che sarebbe stato di espansione. C’è però rispetto a quello che sta succedendo anche il tema della responsabilità politica. Le istituzioni europee, ora travolte anche dallo scandalo Qatargate che complica la situazione, non sono state capaci, anche e soprattutto per le resistenze dei singoli Stati membri, di muoversi con la stessa compattezza mostrata di fronte alla pandemia Covid. Il piano per l’energia, RepowerEu, non ha nulla a che vedere con il Next Generation Eu, che ha prodotto il Pnrr. L’Europa ha perso tempo, non ha scommesso su una risposta condivisa e realmente efficace, basta pensare al compromesso al ribasso trovato su un tetto al prezzo del gas che non scatterà mai, e il prezzo di queste scelte sarà pagato nei prossimi anni. (di Fabio Insenga)