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Non più malati di calcio. Il malato, ora, è il calcio

Quando il mio amico-direttore Vittorio Giordano mi ha chiesto questa settimana di scrivere qualcosa sulla coppa del mondo mi sono chiesto: ma cosa scrivo? Di solito Vittorio mi chiede un articolo e quando lo invio, ma non suggerisce un tema, insomma piena libertà da parte di un direttore competente e professionista. Questa volta, invece, c’è il suggerimento, peraltro giustificato, che potrebbe però anche generare qualche sospetto. Il sospetto è che con tutto quello che succede in casa Juventus (nessuno è perfetto e il direttore è uno juventino sfegatato) meglio evitare l’argomento e concentrarci su cose più importanti. Considerazione giustissima; infatti, cosa c’è nel mondo del calcio di più importante della coppa del mondo? Tra l’altro le cose juventine ora non appartengono più alle cronache calcistiche ma a quelle giudiziarie. E, caro direttore, ne riparleremo.

 

Parliamo quindi del Qatar. Già, perché nel Qatar? Anche in questo caso meglio evitare domande per evitare malintesi e lasciare quindi il tutto all’immaginario (ma non tanto) collettivo. Torniamo dunque al calcio giocato. Dico subito che tifo Marocco per due, anzi tre motivi. Il primo perché mi sembra la squadra tra le più tecnicamente e atleticamente dotate; secondo, lo faccio in omaggio a tanti marocchini e italiani di origine marocchina che vivono in Italia e che aiutano la Penisola col loro lavoro e la loro dedizione all’Italia; terzo, perché so che questo farà imbufalire parte dei tifosi del Verona calcio. Questi, come è noto, non perdono mai l’occasione per mostrare il lato più brutto di una bella città famosa invece per una delle più romantiche storie d’amore della letteratura mondiale (Giulietta e Romeo). Quindi Forza Marocco, avanti tutta.

 

Ma torniamo alla coppa in Qatar e alle sue anomalie difficili da spiegare, anche se facili da comprendere. Tra l’altro, le anomalie cominciano proprio col nome: dove è finita la ‘u’ dietro la ‘Q’ di Qatar? Niente di importante, è vero, ma noi di lingua italiana ci siamo ornai abituati e la ‘q’ non seguita dalla ‘u’ diventa anche una distrazione visiva. Ma vi sono anche altri interrogativi: per esempio, cosa ci fa Francesco Totti nel Qatar? Si sa che l’ex capitano della Roma è il mio idolo calcistico, e tale rimane. Ma se come tifoso non mi pongo domande, come giornalista mi piacerebbe sapere cosa fa a Doha. Non so cosa succede alla Roma dietro le porte di Trigoria e quali sono i suoi rapporti con Mourinho, ma mi piacerebbe che il nostro storico capitano rimanesse più vicino almeno a una delle cose cui ha voluto bene, appunto la Roma.

 

Infine, una considerazione generale sul calcio sempre più in crisi. Si tratta ovviamente di una crisi non tecnica, in quanto ci sarà sempre una squadra che vince e una che perde. La crisi riguarda invece due settori: prima quello economico, poi quello sociale. Ogni magnate che ha a disposizione milioni di dollari e non sa come imboscarli o trasferirli da un confine all’altro senza controlli governativi compera o sovvenziona squadre di calcio soprattutto in Europa. Abbiamo quindi squadre di calcio che si trovano coperte di miliardi senza una provenienza certa e controlli sicuri con tutte le conseguenze legali e sportive facilmente immaginabili. L’altro problema sono gli estremisti e l’uso del tifo per manifestazioni razziste. Sono due problemi molto seri che, se non affrontati decisamente e al più presto possibile possono causare danni allo sport più bello del mondo. Danni che, se non si agisce presto, potrebbero essere anche irreparabili. Ma ne riparleremo.

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