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Hong Hong

Prima di lasciare l’Asia, vorrei soffermarmi a parlare di Hong Kong, una città dall’aspetto futuristico ma fortemente ancorata alle antiche tradizioni. Oggi fa parte della Cina, ma ha un’amministrazione speciale con autonomia limitata. Quando la visitai la prima volta, nel 1988, era ancora un protettorato britannico e godeva di una florida economia che la faceva una delle metropoli più ricche del continente asiatico. Ha una popolazione di 7.5 milioni di abitanti che occupano parte della terraferma, Kowloon, dove si trovano i negozi di lusso; l’isola di Hong Kong è un distretto finanziario conosciuto per la sede di uno dei più un’importanti centri commerciali e di stock market del mondo. I suoi grattacieli sono la caratteristica essenziale del paesaggio urbano e si trovano nella parte nord dell’isola. Sopra di essi veglia il monte Victoria con i suoi 550 m. A sud si trovano piccoli villaggi di pescatori e le spiagge per i turisti. 

 

Il viaggio turistico che avevo scelto comprendeva un soggiorno di due giorni con visite guidate e due giorni liberi. Viaggiavo con un amico che era in relazione con una cinese che aveva studiato a Montreal e che era poi tornata a Hong Kong. Era l’anno del Dragone e Chao ci accolse con piccoli regali per festeggiare l’inizio dell’anno nuovo: cioccolatini a forma di cuore, biscotti con predizioni per il futuro, nastri colorati. Con il suo inglese impeccabile ci guidò nei posti inaccessibili ai turisti: mercatini all’aperto, luoghi di rinfresco e piccoli ristoranti dove si poteva assaggiare la cucina popolare. Fu una bella esperienza e quando arrivammo davanti ad una grande statua di Budda ci consigliò di accendere una candela come offerta di buon augurio. Non potevamo risparmiarci di offrirle una cena in uno dei tanti ristoranti che arricchiscono la città. In uno slancio di entusiasmo, le chiesi di scegliere quello che avesse come piatto principale “Duck à l’orange”, la famosa pietanza cinese di anatra all’arancia. Lei ci pensò un momento, poi, senza esitazione telefonò e prenotò tre posti per la cena.

 

Già l’ingresso era una promessa. “John, abbiamo abbastanza soldi per permetterci questo lusso?” chiesi al mio compagno. Mi guardò senza scomporsi, poi rispose: “Ho notato che la tua carta di credito è ORO. Credo che fino a diecimila dollari possiamo permetterceli”. Notai un sorriso malizioso negli occhi di Chao che aveva ascoltato. “Se non hai abbastanza soldi ti metteranno in cucina a lavare i piatti per un paio di giorni” disse ridendo. Tutto era di un bianco immacolato con qualche tocco di blu nei fiorellini ricamati sulle tovaglie e sulle serviette. Camerieri silenziosi e sempre sorridenti aspettavano un segno per servirci. Un cartoncino piegato davanti ai piatti descriveva il ristorante e dichiarava che era il migliore di Hong Kong: aveva appena ricevuto il primo premio per servizio e eccellenza culinaria.

 

Dimenticai il pericolo di essere costretto a lavorare in cucina quando assaggiai il famoso piatto; era davvero eccellente. Quello che più mi sbalordì fu la nota che mi fu presentata. Non superava i duecento dollari!  Da allora ho cercato e sto ancora cercando di cucinare qualcosa di simile, ma non ci sono riuscito. Mi consolo dicendomi che per il “Duck à l’orange” ci vuole l’atmosfera di Hong Kong.

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