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Quando Bush volle incontrare Falcone, il ricordo del giudice Balsamo

(Adnkronos) – Giovanni Falcone sorridente, accanto a lui l’ex Presidente degli Stati Uniti George Bush. La location è quella di Villa Madama. E’ il 27 maggio del 1989, tre anni prima della strage che poi è costata la vita al magistrati, alla moglie Francesca Morvillo e ai tre agenti di scorta. Una foto che riemerge a distanza di 33 anni da quando venne scattata. “In quel periodo, Giovanni Falcone acquisì una straordinaria notorietà e autorevolezza a livello internazionale. Quando il presidente americano George Bush giunse a Roma il 26 maggio 1989 per effettuare la sua prima visita ufficiale nel nostro paese, chiese al governo italiano di conoscere e incontrare Giovanni Falcone, che in quel momento stava rientrando da Vienna, dove aveva preso parte a un incontro trilaterale presso l’United nations fund for drug abuse and control con rappresentanti parlamentari del Regno Unito e della Repubblica federale di Germania”. A raccontarlo, nel libro ‘Mafia, fare memoria per combatterla’ è il Presidente del Tribunale di Palermo, Antonio Balsamo, che ripercorre quei momenti.  

“Quindi, il giorno successivo, Giovanni Falcone si recò presso la residenza dell’ambasciatore statunitense a Villa Taverna, dove il presidente americano chiese di potergli parlare in privato – ricorda Balsamo – Nella sera del 27 maggio 1992, al ricevimento a Villa Madama, offerto dal Ministro degli Esteri italiano in onore del Presidente degli Usa, era presente anche il magistrato palermitano”.  

“La reazione di un intero sistema di potere criminale alle prospettive di un deciso potenziamento della cooperazione internazionale, e delle strategie globali di contrasto, aperte dall’incontro di Giovanni Falcone con il Presidente degli Usa, non si fece attendere: meno di un mese dopo, le forze dell’ordine sventarono un attentato contro il giudice siciliano – racconta ancora Balsamo – Precisamente, il 21 giugno 1989, sulla scogliera dell’Addaura, uno dei più noti litorali della città di Palermo, la polizia rinvenne, a pochi metri dalla riva, una borsa sportiva, collocata lungo il percorso che necessariamente il giudice Falcone avrebbe dovuto seguire per raggiungere il mare dalla villa che aveva preso in locazione per il periodo estivo”. 

“All’interno della borsa era stato collocato, nella tarda mattinata del giorno precedente, un ordigno esplosivo di oltre undici chili, insieme ad alcuni detonatori, collegati ad un’apparecchiatura elettrica azionabile con comando a distanza- ricorda Antonio Balsamo -L’attentato era stato organizzato proprio mentre si trovava a Palermo una delegazione di magistrati e di funzionari di polizia svizzeri, guidati da Carla Del Ponte, per effettuare una rogatoria nell’ambito di indagini sul riciclaggio internazionale di denaro proveniente dal traffico di stupefacenti. Per questa ragione la delegazione si era incontrata con Falcone, che stava conducendo indagini collegate nell’inchiesta ‘Pizza Connection'”.  

“Dopo il rinvenimento della borsa contenente l’esplosivo, Cosa Nostra mise in moto una vera e propria “macchina del fango” a proposito del fallito attentato dell’Addaura, insinuando l’idea che si fosse trattato di una misera simulazione allestita dallo stesso Falcone per accrescere la propria notorietà e il proprio potere – dice ancora il Presidente del Tribunale di Palermo Balsamo – Questa falsa versione venne diffusa in modo capillare non solo tra gli “uomini d’onore”, ma anche presso i referenti politici dell’organizzazione mafiosa e, in generale, presso l’opinione pubblica”. 

“Chiunque è vissuto a Palermo in quegli anni ricorda benissimo come una simile ricostruzione, palesemente assurda, venisse sostenuta con una incredibile sicurezza da alcuni dei più insospettabili rappresentanti della società civile: la frase “se la mise lui la bomba” era ripetuta da moltissimi palermitani come un dogma indiscutibile – racconta ancora il magistrato -Questa manovra di “Cosa Nostra” era finalizzata, da un lato, a realizzare un depistaggio delle indagini sull’attentato, e, dall’altro, a far attaccare Giovanni Falcone da alcuni esponenti politici. Con il vulnus alla credibilità e alla autorevolezza che ne sarebbe seguito, Giovanni Falcone, secondo le previsioni dell’associazione mafiosa, avrebbe visto ridursi il proprio potere contrattuale in merito alle iniziative di contrasto alla criminalità organizzata”. 

“Mentre gli ambienti più diversi stavano conducendo o condividendo, a vario titolo, una pesantissima opera di delegittimazione del giudice Falcone, quest’ultimo, conversando con il giornalista Saverio Lodato, ruppe la sua abituale riservatezza e tracciò una prospettiva tanto vera quanto inquietante: “ci troviamo di fronte a menti raffinatissime che tentano di orientare certe azioni della mafia. Esistono forse punti di collegamento tra i vertici di Cosa nostra e centri occulti di potere che hanno altri interessi -ricorda ancora il Presidente del Tribunale Antonio Balsamo – Ho l’impressione che sia questo lo scenario più attendibile se si vogliono capire davvero le ragioni che hanno spinto qualcuno ad assassinarmi” . E aggiunse: “si tratta anche di riciclaggio”. 

“Parlando con un altro giornalista esperto in materia di mafia, Francesco La Licata, Giovanni Falcone si lasciò sfuggire altre confidenze coerenti con l’idea che la sua presenza – unico magistrato italiano – all’incontro con Bush fosse stata percepita come un pericolo per gli interessi di poteri criminali di altissimo livello, ai quali era riconducibile l’attentato dell’Addaura – dice -In effetti, l’autorevolezza da cui era circondato Giovanni Falcone nel contesto internazionale per il suo rapporto privilegiato con il Presidente americano, spesso poco conosciuta o comunque sottovalutata dai magistrati italiani, aveva formato oggetto di una inquietante attenzione da parte di ambienti stranieri entrati in rapporto con Cosa Nostra”’. Due anni dopo, la circostanza che Bush avesse voluto il giudice istruttore Falcone accanto a sé sarebbe stata posta in risalto da alcuni soggetti appartenenti ai servizi segreti di uno Stato mediorientale al boss mafioso Francesco Di Carlo, in un incontro riservato avvenuto nel 1991 all’interno di un carcere inglese”. 

“Nello scenario che inquadrava l’attentato dell’Addaura come il risultato di una convergenza di interessi tra il sodalizio mafioso e “menti raffinatissime”, collocate al suo esterno, una forte rilevanza poteva senz’altro essere attribuita all’enorme dimensione economica del riciclaggio internazionale dei proventi del narcotraffico, il cui giro di affari era stato stimato in circa 300 miliardi di dollari all’anno dalle Nazioni Unite nel 1987: una cifra che superava di gran lunga il PIL di parecchi Paesi, e che poteva essere utilizzata per comprare intere classi dirigenti, condizionando il destino di svariate aree del mondo”, conclude. La foto originale è della Fondazione Falcone. (di Elvira Terranova) 

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