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Tumore colon retto, speranza immunoterapia contro metastasi al fegato

(Adnkronos) – Una nuova strategia immunoterapeutica a base di interferone alfa potrebbe prevenire le metastasi al fegato nei pazienti con tumore del colon retto. La speranza arriva da uno studio condotto da un team dell’Irccs Ospedale San Raffaele di Milano, coordinato da Giovanni Sitia, responsabile dell’Unità di ricerca in Epatologia sperimentale, in collaborazione con Luca Guidotti, vicedirettore scientifico dell’istituto e ordinario all’Università Vita-Salute San Raffaele. Il lavoro è pubblicato su ‘eLife’ ed è stato possibile anche grazie al contributo di Fondazione Airc per la ricerca sul cancro. 

L’interferone alfa è una molecola prodotta normalmente dal nostro organismo e ha una potente attività anticancro, sottolineano dal San Raffaele. I ricercatori lo hanno somministrato in basse dosi a modelli murini, nel periodo appena prima e durante l’intervento chirurgico per la rimozione del tumore al colon retto. Utilizzato in questo modo, il farmaco è stato in grado di stimolare le cellule endoteliali del fegato a costruire una barriera vascolare. Un ‘muro’ capace di limitare l’ingresso delle cellule tumorali nell’organo, prevenendo così la formazione di metastasi epatiche. L’azione è riconducibile “a molteplici meccanismi mediati dall’interferone alfa: inizialmente – spiega Sitia – il farmaco agisce costruendo delle vere e proprie barriere fisiche sulle cellule endoteliali che rivestono l’interno dei vasi sanguigni, impedendo preventivamente la colonizzazione e la crescita metastatica; in seguito favorisce la risposta immunitaria contro le metastasi da colon retto, conferendo protezione a lungo termine senza causare apparenti effetti collaterali”. 

“I nostri risultati – afferma lo specialista – forniscono a livello preclinico una prova incoraggiante dell’efficacia e della sicurezza della strategia” sperimentata. Ma “è ora necessario valutare con ulteriori studi – precisa – quali pazienti con tumori primitivi del colon retto potrebbero meglio beneficiare di questa terapia peri-operatoria e preparare la sperimentazione clinica che potrebbe cominciare tra qualche anno”. 

Il tumore del colon retto – ricorda una nota del San Raffaele – è una delle neoplasie a più elevata incidenza nel mondo, e solo in Italia è al secondo posto nella popolazione maschile e femminile per incidenza e mortalità. Le campagne di screening e i progressi in chirurgia, radioterapia e oncologia ne hanno ridotto l’incidenza e migliorato le possibilità di cura. Tuttavia il tasso di mortalità è ancora elevato e spesso associato alla diffusione delle cellule tumorali maligne in altri siti, con il fegato come sede più comune di colonizzazione metastatica. 

Gli scienziati del San Raffaele hanno provato dunque a scongiurare questo rischio metastasi con una nuova modalità di somministrazione dell’interferone alfa. Se è vero infatti che le proprietà antitumorali del farmaco sono ormai riconosciute in campo medico, la sua somministrazione per via sistemica a dosi relativamente elevate ha mostrato un’efficacia limitata, specie a causa di gravi effetti collaterali in tutto l’organismo. Per migliorare il profilo farmacocinetico dell’interferone alfa, rendendolo più efficace e tollerabile, i ricercatori del San Raffaele hanno quindi ideato una strategia innovativa: da un lato il farmaco viene utilizzato a basse dosi, dall’altro è somministrato nella fase peri-operatoria, considerata un momento critico nella disseminazione metastatica delle cellule tumorali. 

“In questo modo – evidenzia Sitia – l’interferone, rilasciato in maniera continua, prima e dopo l’intervento, è in grado di stimolare le cellule endoteliali del fegato e orchestrare le sue molteplici funzioni antitumorali, evitando al tempo stesso gli effetti tossici della somministrazione ad alte dosi”. La speranza dei ricercatori è che l’interferone alfa a lento rilascio, già approvato per uso clinico, possa essere utilizzato come immunoterapia prima e durante l’intervento chirurgico di rimozione di tumori primari al colon retto, soprattutto nei pazienti più a rischio di sviluppare metastasi epatiche. 

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