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Chiara Gualzetti, giudici: “Omicidio senza movente”

(Adnkronos) – “La motivazione del gesto rimane ancora incomprensibile”. E’ quanto si legge nelle motivazioni con cui il Tribunale per i Minorenni di Bologna ha condannato lo scorso luglio, con rito abbreviato, a 16 anni e quattro mesi un ragazzo, oggi 17enne, per l’omicidio dell’amica Chiara Gualzetti, uccisa il 27 giugno 2021 sulle colline di Monteveglio, alle porte della città emiliana. L’assassino “ha più volte riferito che la ragazza gli ‘urtava i nervi’, (…) di aver avvertito una rabbia repressa, di essere stato spinto dalla ‘voce’, di aver agito per placare la sua rabbia. Incalzato dalla domande dell’autorità inquirente e del giudice, di motivare il terribile gesto e nonostante le varie spiegazioni fornite riguardo ‘il demone’, ‘la voce’ che lo avrebbe ‘costretto’ ad agire, non è stato possibile comprendere perché abbia scelto proprio la povera Chiara Gualzetti”. In base ai suoi racconti, la 15enne “avrebbe avuto solo la colpa di essersi confidata con lui, narrando il suo disagio giovanile”.  

In sostanza “una vera e propria motivazione non esiste se non quella riconducibile alla personalità di lui fortemente disturbata, come ben analizzato e descritto nella perizia psichiatrica, personalità disturbata, ma lucida e pienamente capace di intendere e di volere”. Mente che progetta il delitto già qualche giorno prima: “Già il venerdì precedente, mentre stava facendo un giro nei pressi di una casa abbandonata, era stato assalito dalla irrefrenabile desiderio di ucciderla, ma si era trattenuto per la presenza del cugino e di un’altra ragazza”. Un omicidio brutale: Chiara viene prima sorpresa alle spalle, poi colpita con numerosi colpi di coltello inflitti “con una furia inaudita”, sul collo e sull’addome, quindi colpita con calci e pugni alla testa. 

Nelle 23 pagine di motivazioni, i giudici sottolineano come il 17enne “non ha mai speso un pensiero di rammarico per la povera vittima, né ha ma manifestato dispiacere per quello che è successo, ma invece ha espresso dispiacere per se stesso tendendo a semplificare e giustificare l’accaduto asserendo che ‘non è colpa sua’ che il suo errore è stato quello di cedere ai condizionamenti del demone”. 

In cella inscena un finto omicidio, sporcandosi con il kechup, simulando “‘di essere impazzito di nuovo'” e di recente pubblica video su Instagram (dal carcere del Pratello) in cui “si riprende con le dita in segno di vittoria e con la scritta ‘killer’ in primo piano. Comportamenti che denotano la totale assenza della benché minima considerazione per la vittima e per la tragedia causata e dimostrano ancora una volta il ‘compiacimento narcisistico’” per un omicidio che non nasce da “un impulso repentino e non controllabile”, ma da “una progettazione”, sottolineano i giudici. Una pianificazione che emerge dalle sue scelte: decide il momento “più opportuno per uccidere (non certo il venerdì alla presenza di altri, ma domenica in seguito a un invito capzioso e ingannante)”, mostra “capacità simulatoria e depistante subito dopo il fatto allorquando spudoratamente mente”, fornendo ipotesi alternative sulla scomparsa di Chiara. 

Gesti da cui “non può che desumersi piena lucidità e determinazione, elementi questi indubbiamente significativi non solo della loro capacità di autodeterminazione, ma altresì di un grado di maturità tale da indicare piena capacità di intendere il disvalore morale e sociale della propria condotta nonché di prefigurarsi le conseguenze delle proprie azioni”. L’amico, oggi 17enne, “ha progettato il delitto e le modalità per non farsi ‘notare’, ha ideato strategie difensive finalizzate a sviare indagini e sospetti nei suoi confronti, ha occultato possibili prove, ha cancellato la chat Instagram intrattenuta con Chiara, ha cancellato le foto del cadavere, ha distrutto il cellulare di Chiara ed ha conservato la cover perché gli serviva per la sua collezione”. Per lui “è ampiamente accertata la capacità di intendere e di volere” a ha agito pur “pienamente consapevole del disvalore sociale dell’atto”. 

 

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