Quando l’editore Gallimard pubblicò, nel 1972, “Le matin des magiciens” di Louis Pawels e Jacques Bergier, nella presentazione avvertiva il lettore che la pubblicazione non costituiva un romanzo, seppur lo fosse nelle intenzioni degli autori. Quel che sarà un best-seller fu presentato come non appartenente neanche al filone della fantascienza, anche se il suo contenuto ne sfiorasse miti e dominii; infine, non era neppure da considerare una collezione del bizzarro, anche se la raccolta sembrasse fosse ispirata da un angelo del bizzarro.
E, naturalmente, non costituiva neppure un contributo scientifico, un insegnamento, una testimonianza o un documentario. Si tratta di un racconto a volta leggenda, a volta realtà, di un viaggio nel dominio di conoscenze appena sfiorate. Curioso il fatto che, in pieno XX secolo, ove sovrano regnava lo spirito cartesiano, siano apparse opere come “Il mattino dei maghi”, che, come “Il codice da Vinci” di Umberto Eco, costituì un fenomeno sociologico. Si direbbe che, in pieno clima cartesiano e di abbandono di valori millenari, una buona fetta della società restasse legata al concetto di “una verità perduta”; verità che avrebbe dato risposta alle loro coscienze, al di là della logica scientista e materialista, universalmente dominante e in reazione alla delusione dovuta alle varie riforme religiose (vedi Vaticano Secondo).
Nel “Mattino dei maghi”, gli autori affrontano differenti temi, all’ombra della parapsicologia, delle civilizzazioni scomparse e anche delle radici occulte che animarono e determinarono il nazismo (mi soffermerò su questo aspetto) e l’occultismo del XIX secolo. Riferendosi continuamente a criteri scientifici, filosofici e religiosi, l’opera, nel contesto dell’epoca, mirava ad interpretare il risultato delle conoscenze contemporanee, sostenendo l’esistenza di universi paralleli al nostro, tra l’universo visibile e quello invisibile. Era l’epoca delle ricerche e delle sperimentazioni parapsicologiche da parte della Russia e degli Stati Uniti. Il soffio dell’originalità, di quel che verrà definito il “realismo fantastico” degli anni ‘60, fornì a molti osservatori gli ingredienti classici necessari a dar corso alle più svariate teorie della storia, del mito e delle religioni.
Si direbbe che, ad un certo punto del pensiero e della ricerca, i criteri scientifici, alla base di tante teorie cangianti, risultano insufficienti all’inconscio più profondo dell’essere umano. Allora, in assenza di una certezza, l’Uomo cerca una risposta alle sue interrogazioni, alla magia, alla religione e alla metafisica. Ecco perché “Le matin des magiciens” risulta il frutto di un incontro di due uomini diametralmente differenti. Uno, Lousis Pawels (1920-1997), era uno scrittore e giornalista progressista, l’altro, Jacques Bergier (1912-1978), era una personalità enigmatica, ma profondo osservatore e studioso delle scienze occulte e dell’esoterismo.
Quest’ultimo non mancava, con accesa convinzione, di raccontare di aver incontrato il misterioso Fulcanelli, personalità leggendaria, il quale sembra essere riuscito a trovare l’altrettanto misteriosa e leggendaria “Pietra filosofale”. D’altronde, anche il suo nome risulta essere lo pseudonimo di un alchimista francese; abbinamento del nome del dio del fuoco Vulcano, con El cananita per la parola Dio, con significato di “Fuoco sacro”, ossia: Fulcanelli (Vulcan-el). È degno di nota che il Fulcanelli sostenne, con un certo successo, negli anni trenta, che i capolavori dell’arte gotica devono essere interpretati essenzialmente quale espressione della “Via alchemica” e di una “Geometria sacra”, di cui alcune misteriose Società segrete detengono il mistero (vedi la sua opera magistrale: “Il mistero delle Cattedrali”).
Leggendo quest’opera del Fulcanelli, non si può che restare stupefatti di fronte all’immensa fonte sapienziale dell’autore e, allo stesso tempo, sapere che era considerato il rappresentante di una scienza occulta, considerata residuo oscurantista dal pensiero moderno e dalla logica scientista razionale. L’umanità, lungi da una certezza assoluta sulla complessa natura dell’universo e dell’uomo, ad intervalli, osserva una pausa, si sofferma e riflette valutando il cammino percorso chiedendosi: e se……?!
Su questa linea di pensiero, un grande scrittore dello stesso filone, Umberto Eco, considerando le conoscenze moderne, e paragonandole alla saggezza e alla sapienza antica, su quest’ultima ebbe a scrivere: “…..È un sapere diffuso, scucito, vecchio come il mondo, che risale a Pitagora, ai bramini, ai gimnosofisti, e anche ai barbari dell’estremo nord, ai druidi delle Gallie e delle isole britaniche. Il mondo era saturo di corrispondenze meravigliose, di sottili somiglianze; bastava penetrarle, lasciarsi invadere, attraverso l’oraclo, il sogno, la magia, che permette di agire sulla natura e sulle forze che movevano il simile al simile.
La sapienza è inafferrabile, volatile, essa sfugge a qualsiasi parametro” (“Il pendolo di Foucault”, p. 231-232). Sembra che questi brevi accenni sul “Mattino dei Maghi”, Fulcanelli e Umberto Eco mi allontanano dal soggetto in questione, la Luna. Alcune credenze, tra cui quelle sugli influssi lunari sulla natura, sugli animali e sugli esseri umani, vengono in genere giudicate come superstizioni di gente “semplice”. In realtà, questi fenomeni, se considerati seriamente e onestamente nel loro contesto, risultano essere certezze di antiche convinzioni religiose, che si riallacciano ad una tradizione e un mondo, i cui concetti e parametri di conoscenza sono agli antipodi dei nostri.
(Segue)