(Adnkronos) – Vaiolo delle scimmie e trasmissione per via sessuale, dopo le parole dell’Ecdc sul tema – casi “sono stati diagnosticati principalmente tra gli uomini che hanno rapporti sessuali con uomini, il che suggerisce che la trasmissione potrebbe aver luogo durante le relazioni intime” – si apre il dibattito sulla possibilità che si tratti di una malattia sessualmente trasmissibile, ma anche sul pericolo di una nuova ‘ghettizzazione’ della comunità omosessuale. Ecco il parere di Andreoni, Pregliasco, Iardino e Gismondo.
“E’ un errore considerare il vaiolo delle scimmie una malattia sessualmente trasmessa. Noi consideriamo questo genere di patologie quando il contagio avviene prevalentemente attraverso la via sessuale e questo non è il caso del vaiolo delle scimmie che si trasmette per contatti stretti tra persone o per via aerea con le goccioline di saliva. E’ ovvio che qualsiasi patologia che si trasmette con un contatto stretto vede nel rapporto sessuale un possibilità che aumenta il contagio, ma dobbiamo fare attenzione, altrimenti dovremmo considerare la varicella o il morbillo o anche il Covid come malattie sessualmente trasmissibili”. A parlare all’Adnkronos Salute è Massimo Andreoni, primario di infettivologia al Policlinico Tor Vergata di Roma e direttore scientifico della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit).
“Il recente focolaio, partito da una festa alle Canarie dove c’erano maschi che fanno sesso con altri maschi – precisa – non deve essere il pretesto per additare una intera comunità, altrimenti c’è il rischio di creare uno stigma come avvenuto in passato con l’Hiv”. “Stiamo registrando un aumento di persone che si recano in ambulatorio o al pronto soccorso sospettando di avere il vaiolo delle scimmie. Al momento non ci sono nuovi casi, ma questo è un fenomeno atteso quando si parla di malattie emergenziali, e le persone si suggestionano”, continua Andreoni.
“Ma direi che è più pericoloso l’effetto contrario, ovvero che chi ha un sospetto non ne parla con il proprio medico e non chiede informazioni perché teme di essere additato e isolato. L’abbiamo già visto con l’Hiv quando era associato con la tossicodipendenza o la comunità omosessuale”, conclude Andreoni.
“Evidenziare le caratteristiche oggettive della casistica attuale” del focolaio di vaiolo delle scimmie che sta crescendo in particolare in Europa “non autorizza, né giustifica, atteggiamenti di stigma o toni discriminatori nei confronti di nessuno”. Lo precisa all’Adnkronos Salute il virologo dell’università Statale di Milano, Fabrizio Pregliasco. Quando si rimarca una casistica di “tutti uomini tranne una donna, ad oggi – sottolinea l’esperto – significa riportare appunto “un dato oggettivo” e da parte delle autorità sanitarie “non è che si può fare altrimenti”. Per Pregliasco va certamente puntualizzato che “il rischio riguarda il contatto sessuale in genere”, in quanto contatto molto stretto per definizione. “Il fatto poi che in una quota di maschi che fanno sesso con maschi ci possa essere una maggiore promiscuità aumenta questo rischio”, aggiunge il medico.
Sempre attenendosi all'”oggettività” senza voler offrire alcun alibi a “stigma ingiustificabili”, e ricordando che “la trasmissione avviene in modo dimostrato anche attraverso droplets” ossia goccioline emesse attraverso il respiro, Pregliasco osserva che “l’atto sessuale per via anale facilita la possibilità di trasmissione di queste infezioni perché ci sono maggiori probabilità di contatto con il sangue e di lacerazioni. Nel vaiolo delle scimmie – fa notare il virologo – sappiamo che le bolle iniziano dal viso e coinvolgono classicamente il palmo delle mani, a differenza che in altre infezioni, ma interessano anche i genitali. E ovviamente in qualsiasi contatto sessuale queste vescicole possono rompersi più facilmente”.
I casi di vaiolo delle scimmie “rischiano di tornare a ghettizzare le persone per il loro orientamento sessuale. E non ha senso. Si parte dall’assunto che la sessualità omosessuale sia differente rispetto alla sessualità del resto della popolazione. Ma alcune pratiche, in cui si identifica una fragilità, possono essere adottate in tutte le coppie, etero e non etero. Il grande pericolo è che si torni a ghettizzare una fascia di popolazione che non ha nulla anche vedere con la trasmissione della malattia”. Lo spiega all’Adnkronos Salute Rosaria Iardino, presidente della Fondazione The Bridge, che cominciò, da sieropositiva all’Aids, la sua battaglia contro le discriminazioni con il famoso bacio all’immunologo Ferdinando Aiuti. “Sono dell’idea che come è avvenuto per altre patologie a trasmissione sessuale, non solo l’Aids – continua Iardino – se andiamo a vedere bene i dati, troviamo una maggior frequenza nella comunità omosessuale perché è quella che si reca di più in ospedale, e i cui casi vengono quindi segnalati. Ma ce ne sono tantissimi di malattie sessualmente trasmesse nella popolazione eterosessuale che vengono gestiti dal medico di famiglia senza che ci siano segnalazioni”, aggiunge Iardino.
“Quello che possiamo dire – continua – perché è scientificamente provato, che alcune pratiche sessuali sono più a rischio. Non sono le persone ad essere imputabili. L’orientamento sessuale non determina malattia, bisogna essere chiari. Anche in questo caso il preservativo è un importante strumento di protezione. Serve fare prevenzione in tutti quei luoghi dove c’è promiscuità”, conclude.
“Ribadisco che in questo momento per il vaiolo delle scimmie il rischio è bassissimo” anche per la natura autolimitante dell’infezione, “i casi sono sparuti” se dimensionalmente rapportati alla popolazione e “dobbiamo stare tranquilli”. Ma soprattutto, “dobbiamo assolutamente evitare certi errori di comunicazione commessi all’inizio dell’epidemia di Hiv”. Lo sottolinea all’Adnkronos Salute Maria Rita Gismondo, direttrice del Laboratorio di microbiologia clinica, virologia e diagnostica delle bioemergenze dell’ospedale Sacco di Milano.
“L’aver comunicato a livello nazionale e internazionale l’attivazione della rete delle infezioni sessualmente trasmesse”, secondo l’esperta “ha diffuso l’idea di una trasmissione solo sessuale” del ‘monkeypox’. Il vaiolo delle scimmie “è certamente un’infezione che si trasmette attraverso stretto contatto e, ovviamente, quello sessuale è uno dei contatti stretti che possono facilitarla. Ma non bisogna assolutamente stigmatizzare questo aspetto – insiste la microbiologa – ed è necessario fare molta attenzione ai messaggi che si danno e a come potrebbero essere interpretati”.