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Emilia Liana Falcone: non sottovalutate i sintomi, stiamo studiando una cura

MONTRÉAL – Non c’è solo il Covid, c’è anche il Long Covid: un’infezione ancora sottovalutata ma che colpisce sempre più pazienti con sintomi fastidiosi e persistenti che possono durare anche anni.

Ad occuparsene a tempo pieno è una ricercatrice Italo-Montrealese, specialista in Malattie infettive presso il CHUM, il Centro Ospedaliero dell’Università di Montréal, e titolare della Cattedra di ricerca del Canada sul ruolo del microbioma nell’immunodeficienza primaria: la Dott.ssa Emilia Liana Falcone, che dal 12 febbraio dirige la prima, e per ora unica, clinica di ricerca sul Long Covid presso l’Institut de Recherches Cliniques de Montréal (IRCM).

Padre di Cleto (Cosenza) e madre San Pietro Infine (Caserta), cresciuta ad Ahuntsic-Cartierville, ora residente a Laval, sposata con un Italo-Americano di origini siciliane, madre di 2 bambine, Emilia Liana Falcone parla 4 lingue: francese, inglese, spagnolo e naturalmente italiano (“Soprattutto il dialetto casertano”), che ha imparato grazie ai nonni e frequentando la scuola del Picai.

La Dott. ssa Falcone vanta un formidabile curriculum scientifico. Dopo aver conseguito Laurea e Master in Medicina Interna all’Università McGill, ha compiuto il tirocinio al Tufts Medical Center di Boston, per poi specializzarsi in Malattie infettive al National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID), che fa parte del National Institute of Health (NIH), a Bethesda (Maryland), diretto da Anthony Fauci, tra i più grandi esperti al mondo di malattie infettive, trascorrendo ben 9 anni nel laboratorio di Steven Holland, direttore scientifico del NIAID. Allo stesso tempo, ha ottenuto un PhD presso l’Università di Cambridge, in Inghilterra.

Dopo quasi 12 anni negli Usa, nel novembre 2018 è tornata a casa, assunta dall’Institut de Recherches Cliniques de Montréal (IRCM) per studiare l’impatto del microbiota, una comunità di batteri che vive dell’intestino, nelle complicazioni infiammatorie dei pazienti immunodepressi. Allo stesso tempo, è medico specialista al CHUM, il Centro Ospedaliero dell’Università di Montréal, ed insegna all’Université de Montréal. “Quello della clinica di ricerca sul Long Covid – ci ha raccontato – è un progetto innovativo unico nel suo genere in Québec, che studia i sintomi combinando la valutazione clinica al protocollo di ricerca”. Dalla sua apertura, i pazienti sono sempre più numerosi: “Fin dai primi casi di Covid, ho subito avuto il forte sospetto che ci sarebbero state complicazioni a lungo termine”.

La pandemia non è ancora finita, anzi c’è una recrudescenza. “Non siamo ancora arrivati al punto di poter dire che il virus è endemico, ma stiamo andando in quella direzione. Il virus farà sempre più parte della nostra quotidianità. In questo contesto, ammalarsi di Long Covid è un rischio per tutti, anche per chi ha avuto un’infezione lieve. Naturalmente, i rischi aumentano per chi ha avuto un’infezione severa. Per fortuna, con l’incremento dei vaccinati, sembrano diminuire anche le chances di ammalrsi di Long Covid”.

Ma cos’è il Long Covid? “Qualsiasi sintomo in relazione ad una infezione da Covid, che dura da almeno 2 mesi e che il paziente rileva anche a distanza di 3 mesi dall’infezione”.

Chi sono i soggetti più a rischio? “Ad oggi, si ammalano soprattutto persone di mezza età, donne, affette dal diabete di tipo 2, che hanno sofferto di un’infezione severa o hanno sviluppato almeno 5 sintomi. Risultano più esposte anche le persone obese, con malattie croniche, con problemi di pressione alta ed asma, ma in generale tutti possono soffrire di Long Covid. Purtroppo si ammalano anche giovani di 30/40 anni che godono di ottima salute, che fanno sport e che ora non riescono a fare più nulla”.

Quali sono i sintomi più comuni? “Possono essere vari e durare diversi mesi. Ho visitato pazienti che ne sono afflitti da oltre 2 anni. Uno studio ne ha segnalato addirittura circa 200, tra cui spossatezza, mancanza di energia, scarsa concentrazione, fiato corto, dolori muscolari, disturbi cognitivi, insonnia, perdita di gusto e olfatto, depressione e ansia. C’è chi non riesce ad alzarsi dal letto, deve fare diversi riposini, limitare le attività quotidiane; c’è chi dimentica dove sta andando in macchina, o perché sta salendo le scale di casa”.

Quanti ammalati di Covid poi si ammalano di Long Covid? “Le ultime stime parlano di una forbice che va dal 10% al 50%. È probabilmente una stima in eccesso, visto che diversi sintomi possono essere legati ad altre patologie. Uno studio dell’OMS parla del 25% dei casi dopo un mese e del 10% dopo 3, ma secondo uno studio recente dell’Istituto Nazionale di Salute Pubblica del Québec (INSPQ), realizzato sugli operatori sanitari, il 40% ha sintomi a 3 mesi dall’infezione”.

Cosa fate in concreto in clinica? “Chi viene da noi deve risultare idoneo alla ricerca. Per prima cosa deve riempire un questionario già a casa. Da noi viene visitato e sottoposto a vari esami. I campioni prelevati vengono subito analizzati in laboratorio. Il primo obiettivo è escludere altre patologie. Poi proviamo a curare i sintomi con diverse terapie. C’è chi necessita di riabilitazione dal fisioterapista, dal neuropsicologo, o dal nutrizionista. Abbiamo avviato anche una collaborazione con l’Opera de Montréal, che ha messo a punto il programma terapeutico “RESPIRER”: 12 sessioni in tutto, 2 alla settimana per 6 settimane, via zoom, con una cantante lirica che insegna tecniche di respirazione per combattere l’ansia e lo stress”.

Quanto manca per una cura? “Stiamo cercando di capire perché il Long Covid colpisce alcuni pazienti piuttosto che altri. Presto pubblicheremo i primi risultati di alcune osservazioni”.

Cosa consiglia di fare ai nostri lettori? “Magari c’è chi convive con il Long Covid e pensa che nessuno li prenda sul serio, sia in famiglia che al lavoro: se non vi sentite bene, se avvertite qualcosa di anormale, parlatene con un dottore. In attesa di nuovi centri e risorse, che il governo provinciale ha promesso di realizzare nell’ultimo budget, stanziando 25.5 milioni $, se non riuscite a farvi visitare da uno specialista, magari proprio della nostra clinica, rivolgetevi subito al vostro medico di famiglia, per cercare di curare almeno i sintomi che oggi siamo in grado di diagnosticare”.

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