Quando si pensa alla Russia viene subito in mente la ricchezza delle materie prime e quindi il pensiero corre a gas e petrolio. Ma c’è anche la filiera agroalimentare in agitazione per l’escalation sul fronte ucraino, sfociata ormai in guerra aperta.
Sono due gli ordini di problemi che si pongono davanti ai produttori agricoli e ad agroalimentari italiani. Da una parte, il tema delle sanzioni che significa blocco dei canali di commercio e aumento generalizzato dei prezzi. Dall’altra, quel che l’Italia importa dai Paesi di quell’aera geografica e che potrebbe venire a mancare nel prossimo futuro.
Infatti, osservando il problema dal lato del rapporto con la Russia, l’export agroalimentare italiano è con le ossa rotte dopo otto anni di sanzioni già in essere. Le carni bovine e suine, il pollame, il pesce, i formaggi e i latticini sono state le vittime principali dell’embargo russo che in otto anni è costato circa 1,4 miliardi di euro.
Il settore ortofrutticolo è però quello più colpito, con l’export che valeva 56 milioni di euro nel 2013 e si è attestato a poco più di 40mila euro nel gennaio-novembre 2020.
Il timore, ora è che l’escalation militare comporti il coinvol- gimento di altri prodotti, e qui i rischi li percepisce soprattutto il comparto del vino che, negli ultimi otto anni, ha visto una crescita del 35%. Basti pensare che il vino made in Italy in Russia è arrivato a valere 135 milioni di euro nel 2021, dai circa 100 del 2013. I vini di gamma alta, pasta e dolciumi, e i prodotti da forno del Bel Paese potrebbero dunque subire un duro colpo da una spirale di sanzioni e contromosse russe. Il segnale di speranza viene dal fatto che, almeno per il momento, l’Unione Europea è intenzionata ad agire su finanza e tecnologia. Infatti, la Russia rimane per i produttori italiani un grande mercato e il momento è sufficientemente difficile da non aggiungere complicazioni.
Il rincaro dei prezzi energetici sta già facendo lavorare molte imprese con livelli di costi superiori al valore dei prodotti stessi.
Per quanto riguarda le importazioni, tutte le filiere agroalimentari sono in allarme per il tema energia che ha ripercussioni ramificate su tutte le produzioni. Un tasto particolarmente sensibile è quello dei fertilizzanti, di cui la Russia è tra i maggiori produttori. Dal gas liquefatto si ottengono, infatti, fertilizzanti importantissimi per l’agricoltura. L’urea, fondamentale nella fase post-semina, è passata da 350 euro a 1.000 euro a tonnellata. Sono soprattutto i fertilizzanti a base di azoto, di provenienza russa, ad essere fortemente rincarati.
L’attacco di Putin in Ucraina ha avuto poi conseguenze dirette sui prezzi delle materie prime. D’altra parte, Russia e Ucraina rappresentano circa il 29% delle esportazioni globali di grano, il 19% delle forniture mondiali di mais, e l’80% delle esportazioni mondiali di olio di girasole. Mosca da sola è la principale esportatrice a livello mondiale di grano. Un mercato nel quale anche l’Ucraina svolge un ruolo importante (settima al mondo per il grano tenero).
Ma il vero problema è per le conseguenze che il conflitto russo-ucraino potrebbe portare sulle forniture di mais. Infatti, se il mais non è così presente sulle nostre tavole, il suo ruolo e quello di Kiev nella filiera agroalimentare è però determinante per altre ragioni, più nascoste agli occhi del grande pubblico perché sta nel mezzo della catena produttiva.
L’Ucraina produce 36 milioni di tonnellate di mais per l’alimentazione animale (quinta al mondo) e ne spedisce 700mila in Italia. L’Ucraina ne è il secondo fornitore per l’Italia dopo l’Ungheria, con una quota di poco superiore al 20% sia in volume che in valore. Il mais è il principale ingrediente delle diete per gli animali (47%) ed è strategico nelle filiere nazionali dei prodotti zootecnici e Bio-industriali. La conseguenza è che i rialzi sul mais rendono decisamente poco remunerativa la produzione di carne di qualità controllata con rischi di vedere aumentare i prezzi direttamente al consumatore.
Ad attenuare questi timori c’è però la forte capacità di resilienza dell’intero settore agroalimentare italiano, assolutamente capace di far fronte nel breve e medio periodo al fabbisogno di cibo nel Paese e di quello da esportare nel mondo come immagine del Made in Italy.