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L’attrice Stefania Sandrelli tra Giovanni Soldati (a sinistra) e Sandro Bottega (a destra)
Stefania Sandrelli tra cinema, Italia e vino

Acino d’Oro è il Chianti DOCG firmato da Stefania Sandrelli, Giovanni Soldati e Sandro Bottega. Dalla passione di tre amici, un Chianti di razza

L’attrice Stefania Sandrelli tra Giovanni Soldati (a sinistra) e Sandro Bottega (a destra)

INTERVISTE DI VITTORIO GIORDANO

Stefania Sandrelli: “Il cinema è magico, l’Italia ha perso la sua anima. Potrei fare la madre di un figlio che emigra”

“L’Italia di oggi è decadente, viviamo in una società ‘trumpiana’… Il vino è poesia della terra… Ho un’ammirazione profonda per le persone che hanno il coraggio di emigrare”

Invitatemi pure, che io in Canada ci torno di corsa”. Dopo più di 110 film e quasi 60 anni di carriera sempre sulla cresta dell’onda, al fianco di personaggi che hanno fatto la storia del cinema italiano – come Bertolucci, Comencini, Monicelli, Germi, Scola, Montaldo e Benigni, oltre a celebri attori come Robert De Niro e Gerard Depardieu, con in bacheca 3 David di Donatello, 6 Nastri d’argento ed un Leone d’oro alla carriera ottenuto alla 62ª Mostra del Cinema a Venezia, Stefania Sandrelli – toscana di Viareggio, papà fiorentino e mamma pistoiese – non si smentisce mai. Anzi, come il vino, migliora invecchiando: talentuosa e anticonformista, ma soprattutto umile, sorprendente e mai banale. Con ricordi sempre nitidi e vivi. Come l’abbraccio caloroso di Montréal, che nel 2010 l’ha incoronata con l’ennesimo premio alla carriera dopo la proiezione di “Christine, Cristina”, sua prima e unica pellicola come regista (con la figlia Amanda nel ruolo di protagonista), in occasione del Festival des Films du monde, categoria ‘Opere prime’. “In Canada – ci ha detto per telefono – la gente è stata molto affettuosa con me. Un’amica di mia figlia ci ha portati in giro per Montréal, una città che conoscevo solo in cartolina. Il Festival di Montreal, poi, è bellissimo, con una grandissima qualità. Mi hanno colpito molto gli spazi aperti, la natura bella e incontaminata, le persone libere. Purtroppo, però, mi hanno raccontato che d’inverno fa freddo e io sono freddolosa. Altrimenti sarebbe la mia città ideale”.

Il 3 agosto scorso l’ennesimo premio alla carriera, all’8ª Edizione del Social World Film Festival.

“Una cosa molto bella, che non mi fa sentire vecchia: la gente si ricorda tutto, mi riconosce, mi segue, mi ama. A questo festival ho tenuto una Masterclass con dei giovanissimi in prima prima fila: potevano avere massimo 13 anni. E anche loro hanno alzato la mano quando ho chiesto chi avesse visto i miei film. È come se, con la mia carriera, vivessi in un mondo magico che mi fa sentire sempreverde. Quando rivedo i miei film, mi accorgo che non sono passati di moda, che non sono scaduti dal punto di vista qualitativo, che sono ancora attuali”.

Nella tua carriera, hai lavorato con registi e attori celeberrimi. Hai cominciato nel 1961 con “Gioventù di notte”. In quale film ti identifichi di più?

“In tutti i film ho messo qualcosa di me stessa. Un film che mi vede protagonista a tutto tondo è ‘Io la conoscevo bene’, con la protagonista, Adriana, che come me era arrivata dalla provincia per fare cinema. Racconta una storia molto bella, ma estremamente dolorosa, con la sceneggiatura di Ettore Scola e la regia di Antonio Pietrangeli. Adriana non mi somiglia, ma le ho dato il mio cuore, il mio vissuto, il mio modo di fare e di pensare”.

Il tema delle donne e lo scandalo di Hollywood. La donna si è riscattata nel cinema negli ultimi 60 anni?

“Purtroppo gli scandali esistono e le donne sono bistrattate un po’ in tutti gli ambienti. È brutto che un uomo uccida così i sogni di una donna. Negli anni, comunque, le cose sono migliorate. In tutti i settori, e non solo in quello cinematografico di cui si è parlato molto e giustamente. Perché è giusto difendersi”.

L’età che avanza ti ha mai condizionato o ‘pesato’ nelle scelte?

“In America ci sono delle attrici che alla mia età lavorano tantissimo. Anche io lavoro e non mi lamento, ma non interpreto più ruoli da protagonista. Forse è giusto così: ogni cosa nella vita ha i suoi tempi e a me non piace ringiovanirmi, se non per qualche flashback. Non ho nessuna intenzione di rincorrere la mia bellezza e la mia giovinezza”.

Italia protagonista nel cinema del dopoguerra con il neorealismo, il cinema d’autore, la commedia all’italiana. Un cinema spesso impegnato, di denuncia. Un ruolo che oggi sembra non voler più svolgere…

“L’Italia di oggi è decadente, è in mano a gente non meglio identificata o identificabile. Attraversa un momento molto particolare, sicuramente non dei migliori. Il cinema segue la società e si adegua. Però vedo anche film molto belli, attuali e validi, con autori e attori molti bravi”.

Chi è la Stefania Sandrelli del 2018?

“Credo che questa sia un’operazione difficile. Senza volermi incensare, la mia è stata una carriera particolare, abbastanza irripetibile. Comunque, un’attrice che mi piace molto è Micaela Ramazzotti, che tra l’altro ha interpretato me da giovane in un bellissimo film di Paolo Virzì, (‘La prima cosa bella’, 2010). Come modo di lavorare, spontaneità e generosità, devo dire che Micaela mi assomiglia parecchio”.

Viviamo in una società con l’ossessione del divertimento, dove anche la morte diventa spettacolo. Il cinema riflette questa superficialità?

“Non riesco proprio a criticare il cinema. Probabilmente non c’è più quel cinema impegnato che parla in prima persona della società. È il risultato dei tempi che cambiano. Per fortuna: non si può rimanere, nel bene e nel male, sempre uguali. Io non sono e non sarò mai una nostalgica”.

Eppure, il cinema non potrebbe contribuire a migliorare la società proiettandola nel futuro?

“Penso che l’italiano, in fondo, sia un buontempone, un po’ menefreghista, pensa prima di tutto a se stesso, da buon individualista, mentre la gente consapevole è una minoranza. E c’è chi se ne approfitta. Bisognerebbe combattere un po’ di più, ma gli italiani hanno poca voglia. Ho sempre fatto quello che ho potuto, mi sono sempre occupata di società. Con ‘Divorzio all’italiana’ non era ancora stata approvata la legge sul divorzio, mentre con ‘Sedotta e abbandonata’ il delitto d’onore non era ancora stato abrogato. Qualche volta, proprio grazie ai film, abbiamo contribuito a cambiare la società. Ci vorrebbe un po’ più di coraggio. Ci vorrebbe un’idea, magari partendo da lontano, da un’altra ottica, per arrivare a parlare della società attuale e di tutti i malanni che la caratterizzano. Prima di tutto l’ignoranza e chi cerca di cavalcarla, invece di risolverla”.

E così la fa da padrone il cinema americano con la violenza  e gli effetti speciali. Che alla fine, però, forse è proprio quello che la gente cerca, per evadere….

“Purtroppo viviamo in una società ‘trumpiana’. E finché funziona, la gente si butta da quella parte, senza pensare ai pericoli ed ai disastri che ne possono conseguire”.

L’Italia è storia, tradizione, ha l’anima del Paese antico. Mentre il Canada è giovane e business-oriented….

“L’anima e la storia che tu dici di non sentire in Canada, l’Italia di oggi te la frigge in padella. Adesso gli italiani vogliono avere soldi, la bella macchina, sono diventati dei provinciali. Credo che il cammino sia abbastanza lungo, prima che viri in una cosa meno retriva, che possa nutrire quell’anima che esiste, in effetti, ma che è stata messa da parte. È come se gli italiani avessero detto: facciamo i ‘trumpiani’ anche noi. E vanno dietro ai pifferai. È pieno di gente con il naso lungo come Pinocchio. Che mentono, sapendo di mentire”.

C’è un film che dedicheresti agli italiani nel mondo, che vivono perennemente in uno stato di alienazione?

“Ho fatto dei film molto belli e molto diversi tra di loro, ho parlato di società, però ho cercato di farlo prevalentemente dal punto di vista femminile. Non saprei scegliere un film in particolare. Forse sarebbe un film da fare, su chi oggi è costretto a partire per la brutta aria che tira in Italia”.

Forse ti ho dato l’idea di un film sul fenomeno dell’emigrazione giovanile, ostaggio per sempre della nostalgia…
“Ho sempre pensato che gli emigranti fossero delle persone estremamente forti. Non so se ce l’avrei mai fatta a dover dire addio all’Italia. Ho un’ammirazione profonda per le persone che hanno avuto il coraggio di farlo, un coraggio inestimabile”.

Insieme a Giovanni Soldati e a Sandro Bottega hai firmato l’Acino d’oro, un Chianti DOC. Come coniughi la tua carriera  di attrice con il vino?

“Ho conosciuto Sandro Bottega che era un ragazzo, adesso ha un impero. Io e Giovanni (il compagno, ndr) lo abbiamo conosciuto in occasione dell’Antenna Festival’. E non ci siamo più persi. Un giorno, in una serata di luna piena, ci siamo incontrati per una cena in Toscana. E lui mi ha fatto la proposta indecente di fare un rosso. Così ci è venuto in mente di fare un Chianti, in omaggio alla Toscana, un vino rosso nato dall’amore, dall’amicizia, oltre che dal gusto della buona tavola. Per me il vino è un dono della natura, è poesia della terra”.

Se questo Acino d’oro fosse un tuo film, quale sarebbe?

“Probabilmente sarebbe un film di Scola. Sono indecisa tra ‘La Famiglia’ e ‘C’eravamo tanto amati’. Forse più quest’ultimo, un film eccezionale sull’amicizia e sulla sofferenza. Recentemente ho fatto un film di grande successo, un film di Gabriele Muccino che parla della nevrosi di oggi: ‘A casa tutti bene’. Però la passione, l’amore, l’amicizia di ‘C’eravamo tanto amati’ credo sia abbastanza irripetibile”.

Allora farai film sull’emigrazione magari interpretando la parte di una madre che soffre per il figlio che emigra?

“Nel film di Muccino che parla della nevrosi che c’è in ogni rapporto, anche familiare, ho fatto una mamma. L’ho fatta tante volte e quindi credo di poter essere una mamma autorevole. Dà un bacio al Canada da parte mia e salutami tua madre Teresa!”.

 

Sandro Bottega: “Insegniamo a bere e a mangiare bene. Mi piace Trudeau. Quello canadese è un consumatore europeo”

“Eravamo a Gaiole, in una serata di autunno, e ci siamo detti: perché non facciamo un vino rosso? Così è nato tutto. Acino per la selezione accurata, d’oro per la preziosità”.

Fondata nel 1977 a Pianzano di Godega (TV) da Aldo e Rosina Bottega, oggi rappresenta una solida realtà del panorama enologico, con una precisa identità in Italia e nel mondo. L’assortimento completo di spumanti, vini rossi, vini bianchi, grappe, distillati e liquori copre l’intero panorama del ‘beverage’. Stiamo parlando di Bottega spa (bottegaspa.com) che, in più di 40 anni di storia, ha ottenuto 300 premi e riconoscimenti, ed oggi esporta in 143 paesi del mondo, nei più importanti duty free e nelle migliori compagnie aeree. Tanto che IWSR, il magazine di ‘Drinks market analysis’, ha classificato Bottega Gold come lo spumante più venduto nel travel retail. L’azienda, che oggi fattura quasi 60 milioni di euro e ogni anno produce quasi 14 milioni di bottiglie, dal 1983 è diretta da Sandro Bottega, un imprenditore trevigiano giovane e tenace, che lavora 13 ore al giorno, parla 4 lingue ed è spesso in viaggio a setacciare nuovi mercati per promuovere i suoi prodotti d’eccellenza. Come l’Acino d’Oro, il Chianti DOCG firmato insieme agli amici Stefania Sandrelli e Giovanni Soldati. “Sono innamorato dell’Italia – ci ha raccontato per telefono – e, anche se ho trascorso più della metà della mia vita all’estero, mi rendo conto che la nostra cultura ed i nostri prodotti, dall’agroalimentare all’ingegneristica, sono di una qualità straordinaria. Purtroppo, però, non sappiamo valorizzarli adeguatamente. Dobbiamo imparare a farci valere”.

Come nasce l’idea di dare vita ad un Chianti con Stefania Sandrelli?

“L’idea nacque 25/26 anni fa, l’amicizia con Giovanni e Stefania è antecedente grazie al padre di Giovanni, il regista Mario Soldati, che ho avuto la fortuna di conoscere quando era ormai anziano, ma lucidissimo. Dall’amicizia con questi carissimi artisti, abbiamo deciso di intraprendere insieme un percorso imprenditoriale. Fare un vino con la storia di Giovanni e Stefania poteva rilanciare un prodotto, il Chianti, percepito come vino troppo popolare, che faticava ad uscire da una crisi profonda. Eravamo a Gaiole, davanti ad un caminetto, in una serata di autunno, e ci siamo detti: perché non facciamo un vino rosso? È così che è nato tutto.  La società di produzione si chiama ‘Colline del Sole’, anche se poi la distribuzione avviene all’interno del gruppo Bottega. Stefania è una grande intenditrice di vini, oltre che una attendibilissima buongustaia”.

Da dove deriva il nome ‘Acino d’oro’?

“Il nome ‘Acino d’oro’ nasce dall’attenta selezione del chicco d’uva: per fare un buon Chianti ci vuole una terra buona, un clima asciutto ed un vitigno eccellente, ma soprattutto una selezione accurata dei granelli di uva. Acino, dunque, per la selezione accurata, d’oro per la sua preziosità”.

Secondo brand nel mondo spumanti nel retail dopo il Moet & Chandon, oltre 300 premi, 60 milioni di fatturato. Qual è il segreto di questo successo planetario?

“Non c’è mai un segreto, ma solo una serie di attenzioni e fattori. Bisogna partire da un prodotto molto buono e curato in tutta la filiera, compresi il trasporto e la conservazione. Siamo noi a raccomandare ai clienti come mantenere e servire il nostro prodotto. Poi è necessario un packaging esplicativo. In questo siamo fortunati, perché l’Italia è la patria del design: la mia compagna, Monica Lisetto, che ha studiato all’Accademia delle Belle Arti di Venezia, ha portato il design dell’azienda ai massimi livelli, tanto che abbiamo vinto 5 oscar del packaging. Infine, bisogna avere una distribuzione organizzata ed insegnare la qualità, cioè insegnare a riconoscere il prodotto buono”.

Da qualche parte ho letto che lei vorrebbe essere il Leonardo da Vinci del vino…

“Non pretendo di essere come il geniale Leonardo. Ma lui aveva una qualità nella quale mi riconosco, cioè la versatilità. Io, nel mio piccolo, cerco di ricalcarne la poliedricità, producendo molti prodotti, tutti realizzati in  piccole quantità. In questo modo garantisco un livello qualitativo molto elevato, perché ho il tempo ed il modo di selezionare una materia prima eccezionale”.

Il prodotto di punta è il BOTTEGA GOLD?

“Ci sono 5/6 prodotti di eccellenza superiore. Il Bottega Gold è sicuramente il prodotto di punta. Però abbiamo una grandissima fama anche grazie al Prosecco Doc Vino dei Poeti e al Moscato dei Colli Euganei Petacolo, il Vino dell’amore, che, con un suolo vulcanico ed un’impollinazione naturale, combina il profumo di rose, mele e miele. La grappa che porta il mio nome è una grappa di prosecco che assomiglia ad un distillato di frutta, per il suo profumo di mele lunghissimo. Poi il Limoncino, che facciamo con i limoni di Sicilia: acquistiamo le bucce congelate in zona di produzione, ne facciamo un infuso naturale, lo mescoliamo col zucchero di canna e lo mettiamo in bottiglia. Quindi il Brunello, uno dei 5 migliori nell’annata  2010, l’Acino, che si è aggiudicato tantissime medaglie, e l’Amarone, per ‘Decanter’ uno dei 3 migliori Amaroni in riserva”.

Hai aperto anche 14 Bottega Prosecco bar, dall’idea delle vecchie osterie veneziane.

“La nostra idea di qualità è quella di insegnare non solo a bere, ma anche a mangiare bene. Vogliamo che il consumatore sia in grado di accompagnare un buon bicchiere di vino con un cibo eccellente. A Venezia abbiamo inventato l’aperitivo, quando il primo bicchiere di vino è il più buono. Abbiamo cercato di riprodurre questi locali dove portiamo una la cucina veneziana, che non è mai stata una cucina italiana al 100%, ma una miscela di culture italiane con influenze americane, turche, francesi e arabe”.

La maggior parte dei tuoi prodotti sono esportati…..

“È chiaro che il mercato mondiale è molto più importante di quello nazionale, per ovvi motivi: in Italia ci sono 50 milioni di consumatori, all’estero almeno 2 miliardi. Siamo obbligati ad esportare. Però anche in Italia ci difendiamo bene, soprattutto nelle grandi città d’arte, dove c’è un potenziale economico maggiore”.

Come vedi il mercato canadese e nordamericano?

“Il primo Paese di esportazione rimane la Germania, poi l’Inghilterra e l’Europa in generale. Ma il primo paese per esportazione extra UE è proprio il Canada. Prima di tutto ci sono tantissimi italiani che sanno riconoscere la qualità. Dopodiché il mercato nord americano è ricco, ed il consumatore può permettersi di accedere ad una qualità superiore. È uno dei mercati del futuro, insieme al mercato giapponese e a quello europeo. Quello cinese necessita ancora di un periodo di maturazione”.

Sei mai stato a Montréal, presidio francofono in un territorio prevalentemente anglosassone?

“Ci vengo regolarmente da oltre 20 anni, c’è una grande Comunità italiana in una Provincia francofona, che per noi rappresenta un grande aiuto grazie alla spiccata cultura eno-gastronomica. Con i prodotti francesi è una bella sfida”.

Qual è il prodotto della tua azienda a cui non rinuncerebbe mai?

“Ogni giorno bevo 3 cose: un bicchiere di Prosecco, uno di Chianti ed un altro di Grappa. Devo dire che c’è un liquore che in Québec va molto bene, la Gianduia, un simbolo dell’Italia che mi piace parecchio, anche se lo bevo solo nei giorni di festa”.

Quanto incide il buon cibo italiano sul successo dei tuoi prodotti?

“Conduco una battaglia da sempre, perché ci sia la cultura del mangiare bene. Ho scritto 7 libri di cucina: siamo convinti che vendere prodotti di qualità non si esaurisca col buon vino, ma nella combinazione perfetta col buon cibo”.

Tra il protezionismo di Trump ed il globalismo di Trudeau, cosa preferisci?

“Trudeau. L’accordo fatto dal Canada con l’Europa, il CETA, è un buon accordo, anche se sarebbe potuto essere migliore: è un accordo che permette di ampliare gli scambi commerciali. Una politica protezionistica è sempre e comunque da non appoggiare, perché limita il mercato e le culture. E noi sappiamo che le migliori culture sono quelle che si intersecano”.

Speriamo che il governo ratifichi il Ceta, allora?

“Sì, speriamo. E mi auguro che il governo italiano approfondisca la propria conoscenza in materia tecnica, economica e normativa perché altrimenti saranno dei guai per l’Italia”.

Sempre più giovani emigrano….

“Potrei risponderti in maniera positiva, dicendo che in questo modo rendiamo il mondo un po’ più italiano. Purtroppo, però, è una perdita. È un peccato, perché abbiamo delle intelligenze straordinarie che non sono incentivate a fare impresa. In Italia ci sono troppe norme, troppi momenti in cui un imprenditore si trova in difficoltà e quindi, quando deve assumere o investire, si pone tante domande. Io continuerò ad investire in Italia, ma mi auguro che la politica capisca le nostre difficoltà”.

Un saluto ai canadesi…

“Devo dire grazie a tutti i canadesi e a tutti gli italo-canadesi, perché grazie a loro abbiamo un mercato floridissimo, siamo il secondo spumante più venduto in Canada, più di qualsiasi altro champagne. Quello canadese è il più europeo ed evoluto dei consumatori nordamericani. Cercate di continuare in questa crescita culturale, pensando sempre più al biologico e al naturale, perché questa è la prima regola che potrà permettere a tutto il mondo di migliorarsi e di guardare al futuro con fiducia”.

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