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Fino a quando è lecito chiamarlo vino

VINO SENZA ALCOOL

 

di Alessandra Cori

“Per i vini dealcolati va autorizzato l’uso del termine ‘vino’ come previsto dalla normativa comunitaria in materia. L’uso del termine ‘vino’ va quindi esteso anche ai dealcolati”. A sostenerlo è l’Unione Italiana Vini (UIV), all’indomani della dichiarazione del Ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida che, aveva detto che “una norma per regolamentare i dealcolati ci sarà e sarà messa a punto dal ministero dell’Agricoltura perché lo chiede il settore, ma mi batterò fino all’ultimo per evitare che queste bevande si possano chiamare ‘vino’”.

 

La dichiarazione del Ministro Lollobrigida, oltre la questione terminologica, ha toccato anche un altro punto che aveva allarmato i produttori italiani di vino, cioè il vero e proprio cortocircuito che si era venuto a creare quando, un emendamento al decreto accise, aveva contemplato l’introduzione di un’accisa a carico del settore dei vini dealcolati. Un fulmine a ciel sereno visto che si prevedeva l’introduzione di un’accisa a carico di prodotti, i vini dealcolati appunto, che in Italia al momento non si possono produrre. Ad oggi, infatti, è ancora vigente il Testo Unico del Vino del 2016, che sancisce che una bevanda si può chiamare “vino” se ha un titolo alcolometrico minimo di 8,5 gradi.

 

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Un tema delicato e dibattuto quello della produzione di vino dealcolato, a cui la filiera del vino italiano guarda con attenzione, e che, al netto dei nuovi regolamenti sulle eventuali accise sull’alcol etilico, deve ancora essere regolato sotto diversi aspetti produttivi a differenza di quanto già avvenuto in molti Paesi europei. Per questi motivi i produttori italiani che negli ultimi anni hanno cercato di realizzare vini dealcolati per incontrare una domanda in crescita sui mercati internazionali, hanno dovuto recarsi all’estero per produrli.

 

Tuttavia, un chiarimento importante è arrivato. Infatti, la norma del Ministero delle Finanze sulle nuove accise è stata ritirata ed il quadro normativo su questo segmento della produzione enologica italiana sarà predisposto dal Ministero dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare. Infatti, se il decreto sulle accise fosse stato approvato il comparto agricolo prima, ed industriale poi, nella sua fase di trasformazione della materia prima, come l’uva, per produrre davvero vino dealcolato, avrebbe dovuto adattarsi ad una normativa che segue una logica fiscale, invece che avere un impianto normativo che prima stabilisce in maniera chiara e pragmatica le modalità e le regole produttive, e poi le tasse relative da pagare.

 

Ora, superato l’impasse è necessario che il Ministero dell’Agricoltura approvi al più presto il decreto tenendo conto degli elementi principali già discussi con la filiera. Tra questi, il processo di dealcolizzazione che dovrà avvenire in locali appositamente dedicati; il divieto della pratica per i vini Dop/Igp; ed infine, considerare la soluzione idroalcolica residua (acqua di rete, tra il 95% e il 99,9%) come rifiuto e quindi non sottoposta ad accise. C’è da auspicare che nelle prossime settimane il ministero possa convocare le organizzazioni per presentare la nuova proposta di decreto.

 

Sul nodo terminologico, è bene ricordare come un Regolamento comunitario del 2021 sancisce l’obbligo di chiamare questo prodotto “vino dealcolizzato” o “parzialmente dealcolizzato”. “Le imprese italiane, dicono all’UIV, chiedono perciò di poter operare alle stesse condizioni dei competitor europei, applicando la parola “vino” ai dealcolati”.

 

D’altronde il segmento, quello dei vini a basso o zero contenuto alcolico, che negli Usa è molto ampio e vale già un miliardo di euro, sta crescendo anche in Italia: una ricerca resa nota dall’Osservatorio Uiv-Vinitaly mostra come il 36% dei consumatori italiani sia interessato a consumare bevande dealcolate.

 

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