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Pesca, la Cozza Selvaggia dalle piattaforme Eni alla tavola

(Adnkronos) –
Cozza Selvaggia, lo dice il termine stesso, è la cozza che non viene coltivata ma cresce spontaneamente nel suo habitat. E al largo di Marina di Ravenna
l’habitat lo ha trovato sui piloni delle piattaforme Eni che da decenni si trovano in mare aperto al largo delle coste della riviera. Una varietà pregiata, “la migliore che c’è” dicono i pescatori delle Cooperative locali che ogni anno da fine maggio a settembre ne raccolgono dalle 12.000 alle 14.000 tonnellate. E come ogni anno la Festa della Cozza Selvaggia di Marina di Ravenna, la sagra che celebra questa specialità, ha compreso la visita alle piattaforme Eni per vedere dal vivo dove e come questi molluschi vengono pescati (
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“Questa iniziativa per noi è molto importante e ricca di significato – spiega Lorenzo Ceccolini, responsabile relazioni con le comunità del distretto Centro Settentrionale Eni – la ripetiamo ogni anno e invitiamo le autorità, i nostri lavoratori e anche la cittadinanza. È un momento che vuole raccontare una sinergia tra diverse realtà. La nostra del mondo energetico di Eni, quella dei pescatori che raccolgono la cozza selvaggia di Marina di Ravenna, di alta qualità e molto ricercata, l’attività di carattere ambientale, fatta in questo caso dal Centro Sperimentale Tutela Habitat di Marina di Ravenna (CESTHA) liberando le tartarughe marine e, perché no, anche del settore turistico, dalle motonavi che ci hanno portato in escursione. Le piattaforme sono un luogo chiave. Dalle piattaforme estraiamo gas naturale per coprire parte del fabbisogno dell’Italia, presso le piattaforme trovano riparo le tartarughe marine per poi riprendere il loro viaggio migratorio. Nella parte sommersa delle piattaforme crescono spontaneamente le cozze selvagge. Quindi oggi è per questo che vogliamo raccontare questa convivenza del tutto particolare”. 

 

Quello che fino a pochi anni fa era un lavoro di manutenzione dei piloni, poiché Eni aveva comunque la necessità di raccogliere queste cozze per evitare la resistenza al moto ondoso, grazie ad una sinergia con i pescatori è diventata una attività economica. Lo sa bene Sauro Alleati, Presidente cooperativa La Romagnola, e “cozzaro” della prima ora. “Un’attività che quando la corrente marina è forte come oggi richiede grande attenzione – spiega all’AdnKronos – infatti tutti i sommozzatori da pescatori subacquei sono diventati tecnici subacquei, abbiamo dovuto fare dei corsi di specializzazione soprattutto per la sicurezza in mare (si va a 12 metri di profondità) e le attrezzature sono molto più complesse. Ma ci lavoriamo tanto fino al punto che abbiamo fatto un marchio di qualità la Cozza Selvaggia di Marina di Ravenna, che è, a mio parere, la prima qualità in Italia”.  

“E’ sicuramente un prodotto identitario per Marina di Ravenna – commenta Barbara Monti, presidente di Slow Food Ravenna APS – a livello del territorio che però ha anche un impatto a livello turistico perché con il marchio che è stato creato è riconosciuta anche a livello internazionale e poi la qualità di questa cozza è talmente alta che unita a questo marchio è molto identificabile e quindi a livello turistico ha una attrazione”. 

E anche quest’anno, in collaborazione con il CESTHA – Centro Sperimentale Tutela degli Habitat l’escursione è stata l’occasione per la liberazione in mare aperto di 3 tartarughe marine Thelma e Louise e Nilde, le prime due arrivate assieme lo stesso giorno dopo essere state pescate accidentalmente da un peschereccio, come la maggior parte delle tartarughe 

“Questa attività è molto importante, è svolta direttamente dai pescatori – dice Simone D’Acunto, Direttore CESTHA – Centro Sperimentale Tutela degli Habitat – perché sono loro i primi attori di questa cattura che ovviamente non vorrebbero fare ma si trovano questi animali nelle reti e scelgono di portarli a terra perché se li ributtassero subito in mare probabilmente molti non sopravvivrebbero. 7 tartarughe su 10 che ci sono consegnate sono in pericolo di vita e quindi è necessario fare un check e spesso curarle prima di liberarle.” La liberazione sotto le piattaforme è una scelta strategica perché le piattaforme svolgono un ruolo di protezione del mare sia per tutta la fauna e la flora che sviluppano nella parte sommersa sia perché hanno dei regolamenti che vietano l’accesso, il transito e la pesca in prossimità. “C’è un raggio di 500 metri che è di completa interdizione e c’è una grossa area a largo di Ravenna che comunque è vietata ad alcune tecniche di pesca un po’ più impattanti – continua D’Acunto – Quindi la liberazione sotto le piattaforme è una scelta ponderata perché è esattamente il posto più sicuro dove rilasciare gli animali”. 

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