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La libertà di pensiero non è libertà di occupazione (abusiva e illegale)

La libertà di manifestazione del pensiero è un diritto inviolabile e irriducibile, tanto da essere riconosciuto e tutelato da tutte le Costituzioni dei Paesi democratici (tra cui la Carta canadese dei Diritti e delle Libertà). Si tratta di una libertà fondamentale e imprescindibile, che rappresenta l’asse portante degli ordinamenti statali occidentali e del diritto internazionale. A partire dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (1789), adottato all’inizio della Rivoluzione francese, e dai Dieci Emendamenti della Carta dei Diritti (1791), due anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione americana, tutte le Carte degli Stati contemporanei enunciano e salvaguardano i diritti e le libertà fondamentali dell’uomo, tra cui, primus inter pares, la libertà di manifestazione del pensiero. Quest’ultima costituisce, perciò, il perno insostituibile di ogni regime politico di matrice liberale. Ogni libertà, però, anche quella di manifestazione del pensiero, non è mai assoluta, ma sempre relativa. Visto che non viviamo in una giungla, dove vige la legge del più forte e del più furbo, ma in una società civile, dove le nostre vite sono disciplinate da migliaia di articoli e commi che permeano leggi, codici e regolamenti, anche un diritto primordiale e sacrosanto, come quello della libertà di manifestazione del pensiero, ha i suoi limiti strutturali, immanenti e intrinseci: innanzitutto la responsabilità e poi il rispetto dei diritti altrui. La libertà, infatti, è inseparabile dalla responsabilità (dal latino “responsum”, risposta, ovvero la capacità di rispondere dei propri comportamenti, rendendone ragione e accettandone le conseguenze, secondo la definizione dell’enciclopedia ‘Treccani’). Qualsiasi libertà non consiste affatto nel dire, o fare, ciò che si vuole. Nella società esistono delle leggi e la libertà, qualsiasi libertà, “è il diritto di fare tutto ciò che le leggi permettono”. Si tratta, dunque, di una libertà nella, e non dalla, legge. Deve essere esercitata nella sua pienezza, ma sempre nell’alveo della Legalità. Altrimenti diventa libertinaggio, cioè la negazione della libertà stessa e di tutti gli elementi che compongono l’essere, lasciando agire gli istinti. Libertinaggio=sopruso=prevaricazione.

 

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C’è una famosissima frase del secolo scorso, attribuita a Martin Luther King, che, rispolverando le vecchie teorie kantiane, recita: “La mia libertà finisce dove comincia quella degli altri”. Nella sua semplicità, questa frase veicola un messaggio potentissimo, più attuale e pertinente che mai, di fronte alle proteste pro-Palestina e anti-Israele che infiammano i campus universitari di tutto il mondo. Manifestare per la causa palestinese è legittimo, rientra nella cornice costituzionale dei diritti esercitabili dai singoli individui; non può e non deve essere proibito, a maggior ragione in un contesto effervescente e gravido di confronti dialettici, come quello dell’Università. No ai divieti, quindi, ma sì ai limiti. I limiti coincidono con il rispetto delle libertà in capo agli altri soggetti (quelli che potenzialmente si è chiamati a rappresentare e che magari frequentano lo stesso ateneo) di sentirsi al sicuro, di recarsi nelle aule per insegnare o frequentare regolarmente le lezioni, in vista degli esami; e, nel caso dei Rettorati, di poter disporre a proprio piacimento, e secondo i propri interessi, dei terreni di cui sono i legittimi proprietari. A prescindere dalla causa perorata (in questo caso contro la guerra di Israele a Gaza; mentre stupisce l’indifferenza verso regimi autoritari come l’Iran, dove ogni giorno vengono linciate le donne senza velo, o impiccati gli omosessuali e gli oppositori politici), offendere, insultare, ingiuriare o diffamare chi la pensa diversamente da noi, così come appropriarsi indebitamente e vandalizzare gli spazi degli Atenei, rappresentano degli insopportabili atti di libertinaggio che non possono, e non devono, essere tollerati in una società civile. La libertà di pensiero non è, e non può essere, libertà di diffamare o di occupare abusivamente e illegalmente una proprietà privata. L’Università non può diventare un campeggio, o una tendopoli. Negli Stati Uniti, a cominciare dalla Columbia University di New York, la Polizia – cui spetta il monopolio della forza – è già intervenuta, smantellando campeggi in cui si sono anche registrati incresciosi episodi di intolleranza e violenza. La libertà di manifestazione del pensiero è tale solo se esercitata nei limiti della Legalità. Tutto il resto è un abuso, un illecito, un reato che va sanzionato senza esitazioni.

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