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Il modello finanziario sbagliato dell’audiovisivo italiano

Quando si tratta di analizzare l’industria del cinema e della Tv, l’Italia sembra vivere in un mondo tutto suo. Poi ci si lamenta quando le cose vanno meglio negli altri paesi.

Questa riflessione avviene dopo aver riscoperto un articolo dell’ottobre 2022 pubblicato su “La Stampa” a cura di Fabrizio Accatino.

 

L’autore inizia bene nell’indicare che i film prodotti in Italia nel 2021 sono stati 481. Al confronto 11 anni prima i film erano 141. Ma, nonostante ll numero record, nelle sale sono uscite solamente 153 film, cioè il 43% del totale, raggiungendo il 21% degli incassi al botteghino.

 

Poi l’autore dell’articolo spiega che la “normativa [italiana] non contribuisce a risolvere” la crisi del cinema in Italia, dando la colpa alla “pioggia di denaro pubblico che incentiva la produzione di film che, in larga parte, nessuno vedrà mai”.

 

Tutte considerazioni valide, poi però cita il regista-produttore Nanni Moretti e quindi cade nel solito modo di ragionare tutto italiano, che vorrebbe che la “finestra di uscita tra i cinema e le piattaforme [abbia] una distanza di 15 mesi (mentre in Italia questo periodo è pari a zero)”. Secondo Moretti, oltre che di contributi per la produzione, i film italiani necessiterebbero di protezione. E questo senza che l’autore si ricordi di aver spiegato in precedenza nello stesso articolo che, con soli 75 film e senza protezione, gli americani si erano portati a casa un analogo 21% degli incassi al botteghino.

 

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Ora bisognerebbe spiegare sia all’autore dell’articolo che a Moretti che la maggior parte dei produttori italiani non sono interessati a vendere i loro prodotti, una volta intascati i contributi pubblici. In un caso particolare, alla fiera audiovisiva di Budapest, l’Istituto per il Commercio Estero aveva messo a disposizione un padiglione per i produttori italiani, ma non era nemmeno riuscito a far sì che questi inviassero alcune brochure dei loro film.

 

Il problema principale, se non unico, è che in Italia si elargiscono sussidi pubblici alla produzione, mentre in paesi audiovisivamente più sviluppati, come ad esempio la Turchia, i sussidi vengono dati alla distribuzione. Questa strategia ha due scopi: diffondere i loro prodotti audiovisivi all’estero e produrre contenuti di qualità che possono essere apprezzati sia a livello nazionale che internazionale. Perché in Italia non si potrebbe semplicemente copiare ciò che funziona all’estero? È vero che in Italia si ha un Film Distribution Fund, ma questo è piccolo, limitato alla sola distribuzione ai cinema e non è considerato sufficientemente efficace.

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