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Gli Etruschi, la più importante civilizzazione dell’Italia antica prima dell’avvento di Roma

Popoli dell’Italia antica | II parte

Celebre sarcofago etrusco conservato al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia di Roma. Dai vortici dell’oblio ci è pervenuto il sorriso enigmatico di una coppia di sposi etruschi, stretti in un tenero abbraccio coniugale. Strano che la Toscana dall’antichità al Rinascimento ci propone “msteriosi sorrisi” (vedi il S. Giovanni Battista e la Gioconda Davinciana).

 

Come abbiamo potuto constatare, esistono molte teorie sull’origine degli Etruschi e su quando arrivarono in Italia. Del popolo più importante dell’Italia antica prima dell’avvento di Roma, è sorprendente che tutt’ora tutto è avvolto nel mistero. Abbiamo testimonianze e reperti scritti di quasi tutti i popoli dell’area mediterranea, anche più antichi, ma degli etruschi non ci sono pervenuti che scritte a carattere funerario, contratti e frasi di dediche che hanno permesso di decifrare nomi di divinità, di persone o di gradi di parentela. Scrivevano da destra a sinistra, a specchio, con un sistema definito dai linguisti “bustrofedico”, cioè da destra verso sinistra e da sinistra verso destra nella riga successiva. A complicare la decifrazione dei loro scritti, oltre alla mancanza di riferimenti linguistici, il fatto che la loro scrittura era senza spazi; gli spazi erano sostituiti da punti collocati a metà dell’altezza delle lettere. L’alfabeto etrusco era costituito da caratteri greci rovesciati e si diffuse in diverse regioni dell’Italia settentrionale; forse prestò elementi anche all’alfabeto runico. Di sicuro, gli etruschi produssero opere letterarie, teatrali e poetiche, di cui però non è sopravvissuta alcuna testimonianza. Però, sappiamo che la letteratura etrusca dovette essere importante se un autore come Livio afferma che, alla fine del IV s. a.C., i giovani di Roma si recavano a Caere (Cerveteri) per studiare Letteratura. Questo vuol dire che gli etruschi hanno introdotto per primi, in Italia, una delle innovazioni più importanti della storia della civiltà. Della loro produzione letteraria ci sono giunti sprazzi attraverso citazioni di autori latini, dunque solo testimonianze. Così, pur sapendo dell’alto grado di civiltà di questo popolo rispetto ai tempi, siamo nell’impossibilità di comprendere appieno i pochi scritti pervenutici; non possediamo alcuno strumento o forma di comunicazione se non residui tombali, steli e cippi con iscrizioni e rari reperti come la “Tavoletta di Marsiliana d’Albenga”, il “Liber Linteus Zagrabiensis”, la “Tavola di Cartonensis”, la “Tabula Capuana” e il “Cippo di Perugia”. È triste constatare che di un popolo che ha dato tanto rimangono ben poche testimonianze. Ma se ci è preclusa una degna conoscenza degli etruschi, essi vivono velati all’ombra di principi, simboli e conoscenze che fecero grande l’Urbe. Infatti, a partire dalla presa di Veio (396 a.C.), la conquista romana fu non solo territoriale, ma anche culturale. Avvenne un po’ come nel caso della Grecia, la quale, dopo esser stata conquistata, a sua volta conquistò Roma culturalmente. Roma subì una tale influenza etrusca fino ad assorbirne il retaggio culturale e religioso. A tutti è noto che gli ultimi tre re di Roma appartennero ad una dinastia d’origine etrusca (Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquino il Superbo). Ma, nonostante l’ammirazione dei romani verso gli etruschi, questi ultimi rimasero sempre ambigui e sprezzanti verso i romani. Sin dalla conquista, gli etruschi nutrirono un sentimento di odio e amore continuo verso Roma, in special modo all’inizio. Infatti, spesso e volentieri, quando non ne furono i mandanti, essi appoggiarono le rivolte nell’Urbe. Nel 283 a.C. assoldarono un gran numero di mercenari per attaccare Roma, ma questi furono sanguinosamente sconfitti.

 

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Per i Galli Senoni (residuo di tribù galliche della Gallia Cisalpina, a sud dei Veneti), alleati degli etruschi, fu un vero genocidio avvenuto nei pressi dell’attuale Rimini, mentre i Boi vennero cacciati dall’Italia. Oppure, nel caso in cui gli etruschi, nella speranza di una vittoria di Pirro, si rivoltarono, ma vennero annientati ad Arezzo, mentre Pirro, dopo aver vinto ad Eraclea (Lucania) nel 282 a.C., perse definitivamente a Maleventum. E ancora nel 218-202 a.C., durante la guerra punica, la disfatta subita dai romani al Trasimeno risvegliò tra gli etruschi il desiderio di rivincita, così sostennero Annibale nel 210 a.C., ma vanamente, visto che subirono severe ritorsioni. Intanto, lentamente, fra i romani andava diminuendo il prestigio e la fama etrusca, fino all’avvento di Augusto e il processo di latinizzazione. L’ultimo amico dei Tirreni (Etruschi) fu l’imperatore Claudio, loro grande studioso, morto nel 54 d.C., il quale compose “Tyrrenika” e vari studi di etruscologia poi andati persi. A questo punto la domanda sorge spontanea: allora, in che consistette il retaggio etrusco? Di quali conoscenze e costumi etruschi Roma fece tesoro? I romani attinsero dalla cultura etrusca vari simboli e quelle che diverranno le più iconiche manifestazioni tradizionali della città. L’incontro e la simbiosi avvenuta fra i due popoli consolidò conoscenze e virtù che il popolo romano già possedeva “in nuce”. È attraverso simboli etruschi che Roma iniziò a celebrare pubblicamente valori, sino ad allora osservati individualmente, contenuti nel laconico Mors Maiorum, tipicamente romano; letteralmente “costumi degli antichi”, cioè l’insieme dei cinque valori principali che ogni romano degno di queto nome già possedeva: fides, pietas, majestas, virtus e gravitas. Ma quali furono i simboli, i costumi e le conoscenze etrusche adottate da Roma?

(Continua)

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