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Ichnusa: residuo e testimone di un cataclisma mediterraneo

I popoli italici

 

Nella prima immagine l’antico calcolatore analogico. Nella seconda e quarta immagine la Batteria di Bagdad. Nella quinta immagine uno dei tanti bronzetti sardi che riproducono “un’Arca di Noè” ante datam: ricordo di un’apocalittica alluvione che vide la fine di Tirrenia-Atlandide? Dopo tutto non ritroviamo forse altrove lo stesso tema mitologico e biblico? Tutte le tradizioni antiche parlano di un Diluvio epocale!

 

(II parte)

La tradizione bibblica in primis, seguita dalla storiografia ufficiale dominante, hanno stabilito dei parametri storici temporali basati prima su filosofie, dogmi e dottrine religiose, poi su teorie scientifiche e filosofiche che ignorano tutto ciò che non corrisponde alle loro convinzioni. Vi sono decine di reperti appartenenti a civilizzazioni preistoriche che non concordano con la favola di un’umanità sorta da condizioni cavernicole scimiesche di qualche decina di migliaia di anni fa. Esistono reperti misteriosi che comprovano che la storia dell’umanità è ben più complessa e antica di millenni di quanto vuole imporci la scienza moderna con i suoi criteri definiti “razionali”. Basta solo riferirsi alle conoscenze astronomiche dei Babilonesi, dei Cinesi, degli Egiziani, dei Greci e dei Maya, oppure quelle geometriche e astronomiche di Eratostene di Cirene (276 a.C.-194 a.C.), il quale misurò la circonferenza della terra: 39,690 Km, molto vicino al valore effettivo che è di 40,000 Km (e dire che ancora oggi nelle scuole si insegna che i dotti dell’antichità credevano che la terra fosse piatta!!!). Anche la presenza di manufatti concreti come la Batteria di Bagdad, risalente alla dinastia dei Parti (247 a.C.-224 d.C.), o il più antico calcolatore analogico (la macchina di Anticetera) ritrovato sul relitto di una nave greca antica, non sembrano soddisfare gli “storici antistorici” moderni. Basti pensare alla datazione e all’interpretazione aleatoria dei vari reperti antropologici: Cromagnon, Sapiens, Zinjantropus, Australopitecus, Lucy, ecc…, ove ogni nuova “scoperta” annulla o reinterpreta la precedente! Sicché millenni di storia vengono interpretati, reinterpretati, corretti o annullati, se non quadrano con i criteri prestabiliti! Se ho fatto questo preambolo, è per sottolineare che la storia della Sardegna antica va interpretata con altro approccio, ponendola nel contesto dell’ambiente in cui si è sviluppata, cioè il Mediterraneo. Ora, vi è che lo studio dei fondali e la salinità di questo mare ha rivelato periodi di dissestamenti apocalittici che corroborano la storia antica. Detti studi rivelano, tra l’altro, che i suoi fondali celano un segreto che sa di salmastro: nei suoi abissi sono stati rilevati centinaia di metri di fanghiglia (depositi di detriti alluvionali), sotto i quali vi sono strati di sale spessi più di tre km risalenti a circa sei milioni di anni fa, cioè, verso la fine del Miocene.

 

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Questa particolarità fu determinata dalla deriva dei continenti e dallo scontro fra l’Africa e l’Europa, causando la chiusura dello Stretto di Gibilterra, con conseguente arresto del flusso rifornitore Atlantico. In mancanza dell’acqua Atlantica, il Mediterrano finì col diventare un vasto lago. L’evaporazione delle proprie acque superò quella dei fiumi e delle precipitazioni, determinando l’aumento della salinità. Si stima che nei fondali del Mediterraneo vi sono depositi di sale marino di una quantità pari a cinquanta piramidi di Giza per ogni persona della popolazione mondiale. Inoltre, durante il processo di prosciugamento della maggior parte del fondale marino, si aprirono vie d’accesso agli animali; ad esempio gli ippopotami raggiunsero l’isola di Cipro, e le foreste furono sostituite da savana e palme che prosperarono finanche nella regione dell’arco alpino. Poi, cinque milioni di anni fa, le cataratte di Gibilterra si riaprirono e il bacino mediterraneo ricominciò a riempirsi provocando la più grande inondazione della storia del pianeta. Secondo una stima, la cascata che riempì il Mediterraneo ebbe una portata di 500 volte quella del Rio delle Amazzoni. “Fu un evento sensazionale – come afferma Daniel Garcia-Castellanos dell’Istituto di Scienza della Terra ‘Jaume Almera’ in Spagna -: senza questo ricongiungimento catastrofico con l’oceano Atlantico, il Mediterraneo che oggi conosciamo non sarebbe stato il bacino ove fiorirono decine di popoli e civiltà”. Questo mio più che superficiale accenno alla turbulenta storia geologica del Mediterraneo serve a spiegare i retroscena di una natura, dove, milioni di anni dopo, nacquero e si svilupparono civilizzazioni che, attraverso la memoria collettiva, registrarono, conservarono e tramandarono eventi geologici successivi agli assestamenti tellurici distribuiti attraverso i secoli e ricordati in antichissime religioni e mitologie. A questo punto ritorniamo alla nostra Sardegna e a Ichnusa. Stando ai retrocena dell’area in cui sorse il mito, niente esclude che, a distanza di millenni, in un’area continuamente tormentata e soggetta a violenti moti di assestamenti geologici, non si siano verificati fenomeni tellurici e atmosferici di minore portata rispetto al fenomeno geologico di Gibilterra, ma ugualmente terrificante e apocalittico a livello umano. A questo punto, ciò che sostiene Sergio Frau non appare poi tanto fantasioso, se considerato alla luce di profondi studi del fondale del Mediterraneo, studi che rivelano che la Sardegna e la Corsica, ancora unite in età preistorica, 10.000-20.000 anni fa, a seguito di ulteriori assestamenti, con conseguenti, successivi e terribili maremoti, si staccarono dalla Toscana per formare insieme l’antica Tirrenia, l’Atlantide di Frau, che poi, a causa della deriva dei continenti, “l’Orma divina” creò Ichnusa! La nostra Sardegna. I sardi non devono cercare origini gloriose, perché hanno origini ancora più gloriose!

(Conclusione)       

P.S. Chiedo venia ai lettori per l’affrettata divulgazione di un soggetto che meriterebbe ben più profondo e dettagliato approccio.

 

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