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L’agroalimentare italiano è la prima manifattura del paese

1°rapporto Federalimentare- Censis, fotografia economica e sociale del settore

 

di Alessandra Cori

L’industria alimentare è ormai la prima manifattura del Paese. Lo dicono i numeri del primo rapporto Federalimentare-Censis, che è stato presentato la scorsa settimana a Roma, presso la Camera dei deputati.

 

Con 179 miliardi di euro di fatturato annuo, 60mila aziende, 464mila addetti e oltre 50 miliardi di export in valore in un anno, il settore è anche al secondo posto in Italia per numero di imprese, per lavoratori e per valore delle esportazioni.

 

Per il made in Italy a tavola, questo primo posto costituisce un traguardo importante, che corona un percorso di crescita ininterrotta durato anni. Soltanto nell’ultimo decennio il comparto ha messo a segno un aumento del fatturato del 24,7%, che ha portato con sé anche un incremento dell’occupazione del 12,2%. Il vero boom, che ha spinto verso l’alto i risultati del comparto, è stato però quello delle esportazioni, che negli ultimi dieci anni sono esplose di oltre il 60%.

 

Allargando la visuale dall’industria all’intera filiera, che va dal campo alla tavola, il fatturato dell’agroalimentare italiano ha raggiunto quota 607 miliardi di euro, pari al 31,8% del Pil nazionale. Il rapporto certifica che l’industria alimentare italiana dà un poderoso contributo al Paese, sia come valore economico sia come valore sociale dimostrando di essere un settore tra i più dinamici e robusti dell’industria italiana, continuando a rappresentare un patrimonio nazionale nella produzione di alimenti di qualità, unici e con marchi riconoscibili.

 

“Bisogna sempre più comprendere la potenzialità legata ai prodotti italiani – ha detto il ministro dell’Agricoltura e della sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida, commentando il rapporto – i dati che sono stati diffusi fotografano una crescita del settore sul quale il Governo continua a investire. La qualità è al centro del nostro dibattito e lo facciamo attenzionando il contesto, ma anche incentivando l’esportazione e promuovendo le aziende del Paese all’estero”.

 

Secondo l’analisi presentata, nonostante la crisi e l’inflazione che non accenna a mostrare cedimenti, il 63,4% degli italiani continuerebbe a compiere scelte di acquisto alimentare che non badano al prezzo, ma solo alla qualità dei prodotti che vengono portati in tavola. Eppure, quello dei rincari nel carrello resta un allarme sul tavolo del governo.  Le contestazioni delle associazioni dei consumatori per i rincari del 17,5% della pasta in un anno hanno indotto il Governo a mettere in campo tutte le misure possibili per evitare le possibili speculazioni, soprattutto per i prodotti di largo consumo i cui prezzi sono monitorati dal Ministero delle imprese e del Made in Italy. È evidente la necessità di garantire il massimo della trasparenza, a beneficio dei consumatori e a salvaguardia dell’elevata reputazione sociale che le aziende alimentari hanno conquistato nel tempo.

 

Oltre alla fotografia del comparto dal punto di vista industriale, il rapporto Federalimentare-Censis traccia anche l’identikit del consumatore italiano. Il 42,1% di loro a tavola si definisce un abitudinario, cioè mangia più o meno sempre lo stesso cibo, mentre il 20,5% si considera un innovatore a cui piace sperimentare alimenti e gastronomie nuove. Solo il 9,2% si dichiara un salutista e il 7% un appassionato di cucina. 

 

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Si fermano al 7,1% i vegetariani e al 4,3% i vegani. Colpisce inoltre che solo il 6,3% dei consumatori intervistati si dichiara un “italianista”, cioè un consumatore che acquista sempre e solo prodotti italiani. Infine, il 78,3% dei consumatori valuta molto positivamente che gli stabilimenti dell’industria alimentare siano localizzati in Italia, perché contribuiscono alla creazione di reddito e occupazione.

 

Per gli italiani, infine, sono importanti anche i valori etici e sociali che li orientano quando fanno la spesa o si mettono a tavola. Infatti, il 66,7% è pronto a rinunciare a prodotti che potrebbero essere dannosi per la salute, il 52,6% a quelli non in linea con criteri di sicurezza alimentare, il 43,3% a quelli la cui produzione e distribuzione non rispetta l’ambiente, il 35,6% a quelli per la cui produzione non sono tutelati i diritti dei lavoratori e dei fornitori.

 

Dunque, conclude il rapporto, “l’industria alimentare italiana non è solo un colosso che genera prodotti e occupazione, e conquista da “alfiere del Made in Italy” i mercati globali, ma ha un’anima radicata nel nostro tempo; il suo agire incarna valori e genera soluzioni che si materializzano in prodotti che rispondono alla molteplicità di bisogni materiali e immateriali degli italiani”.

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