Nel 2006, durante le Olimpiadi invernali a Torino, la squadra italiana maschile di hockey su ghiaccio sorprese tutti per il livello del gioco espresso, soprattutto alla luce del fatto che l’Italia non è mai stata una potenza in questo sport nordico, che si è sviluppato negli inverni di Montréal verso la fine del XIX secolo. L’esplosione di gioia che accompagnò questa gloria iniziale fu di breve durata, fino a quando un commentatore esaminò i luoghi di nascita della squadra italiana. La metà dei giocatori era nata in Canada da genitori italiani. Avevano la doppia cittadinanza. Non avendo abbastanza talento per essere convocati dalla nazionale canadese, favorita per la conquista della Medaglia d’oro, si unirono alla squadra tricolore, essendo questa, per loro, l’unica possibilità di partecipare alle Olimpiadi. In un altro contesto, durante la Coppa del Mondo di calcio del 2022, l’Italia è stata eliminata nelle fasi preliminari dalla Macedonia del Nord. A parte il fatto che questa sconfitta ha permesso a molti di noi di apprendere dell’esistenza di questo Paese, il resto di questa tragedia non è altro che sofferenza e amarezza per tutti quanti noi. Tuttavia, coloro che si sono affrettati a deridere il fallimento italiano si sono trovati a loro volta in imbarazzo quando hanno capito che, dopotutto, gli italiani avevano trionfato con i colori dell’Argentina! Infatti, quasi la metà dei giocatori della squadra argentina aveva la nazionalità italiana, o era di origine italiana. Bisogna considerare, infatti, che circa due terzi degli argentini, come noi, hanno origini italiane.
Dalla fine del XIX secolo, infatti, più di 30 MILIONI di italiani hanno lasciato l’Italia per stabilirsi in altri Paesi. È ironico pensare che il Paese più ricercato dai turisti sia anche quello che i suoi stessi abitanti lasciano di più. Ho detto ‘lasciato’ e non ‘abbandonato’, perché tutti hanno mantenuto un attaccamento emotivo e sentimentale che li ha tenuti legati alla madrepatria per il resto della loro vita. Mio zio Ciccio non era mai tornato al suo paesino natìo dopo averlo lasciato all’età di 17 anni. Ma 70 anni dopo, potrebbe descriverlo come se ci fosse stato il giorno prima. Questo legame e questo attaccamento si possono trovare anche negli espatriati di altri Paesi, ma mai nella stessa misura, o con lo stesso orgoglio. Perché? Andando indietro nel tempo fino a quando è possibile documentarsi, gli italiani hanno esplorato il pianeta. Giulio Agricola, Giulio Cesare, Marco Polo, Amerigo Vespucci, Giovanni Verrazano e Cristoforo Colombo sono solo alcuni dei grandi nomi dell’epopea italiana nel mondo.
Ancora più degno di nota è il fatto che non solo i nostri antenati hanno esplorato il mondo, ma che, a differenza dei Paesi vicini – Francia, Inghilterra, Spagna e Portogallo – l’Italia non ha mai cercato di fondare un impero. Su questo l’Italia ha già dato lezioni al mondo intero quando l’Impero Romano ha fatto vedere come si fonda una civiltà. Gli italiani che ci hanno preceduto hanno fatto molto meglio. Si sono distinti ovunque siano andati. Grazie al loro savoir-faire e al loro duro lavoro, hanno costruito luoghi, vestito e nutrito la popolazione locale e, più di ogni altra cosa, hanno condiviso il loro sapere, i loro valori e il loro modo di vivere. In tutti i Paesi in cui sono andati, hanno continuato a vivere come nel loro paese d’origine, con i dovuti adattamenti richiesti dal nuovo ambiente. Per esempio, hanno continuato a piantare alberi di fico, anche se in Québec è stato necessario piegarlo in parte al suolo durante l’inverno per permettergli di sopravvivere al gelo. Questa storia di adattamento e sopravvivenza si è ripetuta in migliaia di luoghi di tutti i continenti, dalla Cina al Canada, dal Messico al Sudafrica, dal Brasile al Giappone e dall’Australia all’Iran. Ogni volta, gli italiani sono rimasti fedeli alla madrepatria e legati alla loro identità.
Questa vitalità, intrinseca all’identità italiana, si deve a diversi fattori, ma ce n’è uno che diamo per scontato e di cui non parliamo abbastanza. I nostri genitori, nonni e bisnonni hanno sempre mantenuto un doppio legame con il loro paese d’origine: ovviamente con la madrepatria, ma soprattutto con il loro
paesino natìo e tutta la vita ad esso legata. Poco dopo il loro arrivo nella terra d’accoglienza, hanno formato associazioni o società per condividere le loro tradizioni. Ma anche per aiutarsi e sostenersi a vicenda nei momenti difficili. Il nostro ‘Cittadino Canadese’ e il nostro Vittorio nazionale mettono regolarmente in evidenza le loro attività. I miei pensieri vanno a una di queste associazioni, che quest’anno celebra il centesimo anniversario dalla sua fondazione: l’Associazione Casacalendese di Montréal.