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  • Renzi confonde le Amministrative col Referendum

    Renzi confonde le Amministrative col Referendum

    IL PUNTO di Agostino Giordano

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    Per fare uno sgarbo a Matteo, il Tar ci mette una pezza: la lista Fassina, a Roma, e la lista dei Fratelli d’Italia, a Milano, sono state riammesse alle elezioni del 5 giugno. Sì, perché il 5 giugno si rivota, per le amministrative in 1.300 comuni, tra cui città di spicco come Roma, Milano, Napoli, Bologna, Torino e Trieste. E uno si chiede, incuriosito, chi abbia governato queste città negli ultimi 5 anni. A Roma ha sgovernato un chirurgo come Marino, in quota Pd/ex Pci, amante degli Usa, sbertucciato in bici e contestato in Consiglio, fino alla prematura defenestrazione dal Campidoglio, per mano della sua stessa maggioranza. A Milano ha governato un certo Pisapia, verde fino alla punta del naso, sostenuto dal Pd/ex Pci, che ha collezionato flop a catena e che da sei mesi ha fatto perdere le tracce, forse per far dimenticare la propria fallimentare stagione. A Napoli ha sgovernato un certo De Magistris, magistrato, in quota Idv/Di Pietro, sostenuto dalla sinistra: un caso lampante sul come la magistratura non sappia governare città anomale, figuriamoci quelle normali! A Torino, ha fatto il sindaco un certo Fassino, addirittura ex segretario Pd/Pci. A Bologna, un altro Pd/ex Pci, un certo Merola; a Trieste, un certo Cosolini, sostenuto dal Pd/ex Pci. Come si può vedere, 6 casi di amministrazioni in salsa rossa. Personaggi-flop – quelli di Roma, Milano e Napoli- che hanno fatto vergognare gli stessi loro sostenitori e che ha fatto mordere le mani, ancora una volta, a chi non è andato a votare. Bene, direte voi, quest’anno, almeno a Roma, Milano e Napoli, a) l’elettorato astensionista si presenterà in massa a votare; b) l’elettorato di sinistra si guarderà bene dal ri-votare Pd-ex Pci / Verdi e Rif.Com.; c) i sondaggi saranno tutti dalla parte del centrodestra; d) il centrodestra si presenterà unito e compatto. Negativo, su tutta la linea. L’elettorato astensionista non sembra aver cambiato idea; l’elettorato di sinistra rivoterà Pd/ex Pci; i sondaggi danno per favoriti Pd e Grillini; il centrodestra si presenta diviso, ipercritico, non compatto. A Roma, se vince la Raggi, sarà un voto di protesta nudo e crudo; e tra le altre cose, la Virginia, secondo programma, farà spostare i romani in funivia, si utilizzeranno solo pannolini lavabili e si potrà pagare con denaro alternativo; dopo l’era Marino, si pensava che fosse finita la follia neroniana. A Milano, Sala, il candidato Pd, non sarebbe neanche candidabile perché ancora non dimissionario da presidente-Expo, ma la magistratura nicchia. Voi, a questo punto, per la nausea che vi provoca questo mio scritto, avrete dell’elettore italico un’immagine quantomeno arlecchinesca. Ma non è tutto. A rendere ancora più surreale questa parziale tornata elettorale è Renzi Matteo – Premier per caso e segretario-Pd a tempo – che scambia le amministrative con il Referendum di ottobre, quasi a voler anticipare i tempi, quasi a trasformare il 5 giugno in un pre-Referendum sulla sua persona e la sua strana riforma costituzionale. Sa che ottobre è dietro l’angolo, sa che i sondaggi danno in forte vantaggio il fronte del ‘No’ e gioca d’anticipo. Occupa la Rai-Tv su tutti i canali e a tutte le ore, chiude format a lui ostili, si fa intervistare da ‘giornalisti-tappeti’. E ogni giorno una promessa, una più stravagante dell’altra. Famoso il suo bonus di 80 euro alle fasce più deboli: bene, lo Stato adesso li rivuole indietro. Famosa la sua promessa di pochi giorni fa, con un tweet: i marò (tornati dall’India non per merito suo) sfileranno il 2 giugno. Contrordine: i marò non saranno alla parata del 2 giugno. Firmato Renzi. Che vergogna! Si può votare per Renzi e per il partito che rappresenta? Berlusconi è stato chiaro: “Votate per la democrazia! (…) Renzi
    rischia di diventare padrone d’Italia”.

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  • Quando le scuse ufficiali agli italo-canadesi?

    Quando le scuse ufficiali agli italo-canadesi?

    IL PUNTO di Vittorio Giordano

    Trudeau ha chiesto perdono agli Indiani per averli ricacciati in mare nel 1914

    Di Iorio: “La nostra Comunità deve essere riconosciuta per il suo contributo e le sue istituzioni, dicendo basta a qualsiasi altra forma di diffamazione”

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    “Pur sapendo che nessuna parola sarà in grado di cancellare completamente il dolore e la sofferenza vissuti dai passeggeri, presento le scuse più sincere, a nome del governo di Ottawa, per le leggi in vigore all’epoca che hanno permesso al Canada di restare indifferente alla triste sorte poi occorsa ai passeggeri di Komagata Maru. L’incidente Komagata Maru rappresenta un momento buio nel nostro passato. (…) Abbiamo imparato e continueremo ad imparare dagli errori del nostro passato, facendo in modo di non ripeterli più”. Sono le parole, profonde e solenni, pronunciate il 18 maggio scorso dal Primo Ministro del Canada, Justin Trudeau, alla Camera dei Comuni: scuse formali ed ufficiali che si riferiscono a quanto avvenne ad una nave giapponese che, nel 1914, salpò da Hong Kong, fece tappa in Giappone e poi si diresse in Canada con 276 passeggeri indiani, quasi tutti sikhs. Nonostante fossero nativi della provincia dell’Impero, e quindi di fatto cittadini britannici, solo 24 furono accettati, mentre gli altri 352 furono respinti e costretti a fare ritorno in India, dove in 19 vennero giustiziati dalle autorità britanniche e molti altri furono rinchiusi in prigione o costretti a darsi alla macchia. Una pagina nera della storia canadese che Trudeau ha fatto benissimo a stigmatizzare ed a condannare: nonostante siano passati oltre cento anni, non è mai troppo tardi per fare ‘mea culpa’. Ma c’è un’altra pagina nera della storia canadese che reclama, pretende, grida, urla… GIUSTIZIA. E visto che, soprattutto a livello istituzionale, sono ammissibili tempi diversi, ma non sono mai giustificabili due pesi e due misure, ci chiediamo quando arriveranno le scuse di Ottawa – formali, ufficiali, in Parlamento ed altrettando sacrosante – per tutti quegli italo-canadesi che durante la Seconda Guerra Mondiale furono discriminati perché dichiarati “enemy aliens” (stranieri nemici). Tanto che in più  di 600 (di cui 215 solo a Montréal) furono addirittura internati in veri e propri campi di concentramento come quello (tristemente noto) di Petawawa, in Ontario. In tutto il Paese, circa 31 mila italo-canadesi, senza nessuna prova di colpevolezza, sono finiti sotto la stretta sorveglianza della Gendarmeria Reale del Canada (GRC). Crediamo sia giunto il momento di “lavare”, una volta per tutte, l’onta della deportazione saldando un debito con la storia e rimarginando una ferita mai completamente cicatrizzata. Il Comune di Montréal ha già aperto un solco: 3 anni fa, infatti, ha proclamato il 10 giugno come “giornata ufficiale della commemorazione dell’internamento dei membri della Comunità italiana”. Ora manca l’ultimo sigillo, quello più atteso: le scuse ufficiali del governo federale. A dire la verità qualcosa si è già mosso: nel 1990, il Primo Ministro Brian Mulroney ha presentato le sue scuse pubbliche, “piene ed intere”, ai “compagni canadesi di origine italiana” per il trattamento “abusivo, ingiusto ed illegale” subito ad opera della polizia federale. Ma lo fa fatto in occasione della biennale del Congresso nazionale degli italo-canadesi a Toronto. Manca l’ultimo miglio, il passo decisivo per chiudere il cerchio: le scuse in Parlamento. Ci ha provato l’ex deputato di St-Léonard/St-Michel Massimo Pacetti con la proposta di legge C-302 (Loi de reconnaissance et d’indemnisation des Canadiens d’origine italienne), che prevedeva, oltre alle scuse ufficiali, anche la creazione di una fondazione (amministrata dagli organismi italo-canadesi) per lo sviluppo di materiali didattici sulla storia italocanadese, da usarsi nelle scuole e nei centri culturali, e l’emissione di un francobollo commemorativo. Peccato che la legge non venne mai alla luce visto che, dopo essere stata approvata dalla Camera dei Comuni (147 voti a favore e 134 contrari), non ha mai ricevuto il sigillo finale del Senato. Diventando, di fatto, carta-straccia. Non è mai troppo tardi per rimediare. La pensa così anche l’attuale deputato liberale eletto nella contea di St-Léonard/St-Michel, Nicola Di Iorio: “Per noi italo-canadesi – ci ha detto il parlamentare –  il 10 giugno del 1940 è una data che non potremo mai dimenticare visto che, ancora oggi, gli italiani in Canada, che sono circa un milione e mezzo, ne stanno pagando il prezzo. I nostri connazionali dell’epoca, poco istruiti, non hanno mai saputo perché sono stati internati, ma hanno subito convenuto che evidentemente il governo doveva avere una buona ragione per farlo: erano loro ad avere torto e si sono persino vergognati. Le generazioni successive ne hanno scontato le conseguenze: negli anni 50’ c’era chi, tra gli italiani, si sentiva in colpa per aver creato un dispiacere al governo. E, negli anni a venire, c’era chi ha continuato a sfruttare quell’ambiguità contro gli italiani facendo ricorso ad insinuazioni ed accuse infondate per costringerli sulla difensiva. Noi saremo in Parlamento per accertarsi che Justin Trudeau faccia le scuse anche agli italo-canadesi: i sikhs non sono i soli a meritare le scuse nella Camera dei Comuni. La nostra Comunità deve essere unita e seguire i suoi rappresentanti in Parlamento manifestando con insistenza il suo desiderio di essere riconosciuta per il suo contributo e le sue istituzioni, dicendo basta a qualsiasi altra forma di diffamazione”.

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  • Fort McMurray e il “ruggito” della Natura

    Fort McMurray e il “ruggito” della Natura

    Il Punto di Vittorio Giordano

    Fort-McMurray

    La Natura sa essere molto paziente, restando in ‘letargo’ per secoli; ma, quando viene sollecitata oltre misura, sa diventare letale e vendicativa, surclassando la forza ‘ingenuamente’ prevaricatrice dell’uomo. E non si tratta di una ‘Natura matrigna’, intesa come forza bruta e malefica, di leopardiana memoria: siamo noi, uomini, ad ‘abusarne’ scatenandone gli ‘istinti’ più violenti, un “contrappasso” a cui è impossibile sottrarsi. Come una mamma fin troppo premurosa che, per educare il figlio troppo vivace, lo punisce in maniera esemplare. In questo senso, il Mahatma Gandhi è stato profetico: “Il mondo ha le risorse per soddisfare i bisogni di tutti gli uomini, ma non il loro egoismo”. In questa lotta millenaria che vede l’uomo sfidare incoscientemente la Natura per soddisfare la sua insaziabile cupidigia, l’incendio di Fort McMurray sembra poter rientrare nella sagra della natura che reagisce violentemente alle provocazioni dell’uomo. In questo caso: un evento naturale estremo causato da cambiamenti climatici dovuti principalmente allo sfruttamento di combustibili fossili. Questa volta ‘Madre Natura’ non poteva scegliere una location più simbolica e beffarda: Fort McMurray, ovvero un’area nel nord dell’Alberta ricca di sabbie bituminose da cui viene estratto il petrolio greggio, la terza più grande riserva del mondo, dopo i “giacimenti” dell’Arabia Saudita e del Venezuela. Le stesse sabbie bituminose che avrebbero dovuto essere trasportate in Texas attraverso il contestatissimo oloedotto “Keystone XXL”. Il cuore dello sfruttamento che diventa anche il baricentro di un incendio famelico, Fort McMurray che si immola a vittima delle sue stesse trivelle. Il cerchio che si chiude. Ad oggi, non sono ancora chiare le cause che hanno scatenato il rogo: potrebbero essere di natura accidentale, come un mozzicone di sigaretta, oppure naturali, come un fulmine. Sempre più studiosi, però, puntano il dito contro il riscaldamento globale che sta contribuendo a rendere le foreste sempre più secche. “Secondo gli scienziati – scrive il “New York Times” – la perdita su larga scala di foresta potrebbe avere conseguenze gravi negli sforzi di limitare i danni causati dai cambiamenti climatici”. Le fiamme, nella regione di Fort McMurray, verso la fine dell’inverno non sono del tutto insolite, ma generalmente neppure così distruttive tanto da estendersi su una superficie di 2.415 chilometri quadrati. Una cosa è certa: agli inizi di maggio, a Fort McMurray, le temperature sono state più elevate del normale, la vegetazione secca, le piogge scarse, e così il numero di incendi è cresciuto a dismisura. Solo 330 quest’anno, il doppio del normale. In secondo luogo, le precipitazioni nevose al di sotto della media, in inverno, hanno portato ad un precoce scioglimento primaverile della neve ed un rapido aumento delle temperature. Infatti, le temperature a Fort McMurray, il 3 e 4 maggio, hanno raggiunto circa i 26-27 °C, valori solitamente presenti solo nelle giornate estive in luglio e agosto. Una situazione abnorme, che ha scatenato la furia della Natura: in questo caso incendi, ma ci sono stati e ci saranno sempre più tsunami, uragani, allagamenti, piogge torrenziali, scioglimenti di ghiacciai ed eruzioni vulcaniche. Il Canada di Justin Trudeau, comunque, sembra voler recepire il messaggio di Fort McMurray ed agire di conseguenza, garantendo una crescita economica sostenibile, a ridotte emissioni di carbonio, fondata su tecnologie pulite. Così come annunciato nella prima Legge di Bilancio. Del resto, il Premier era stato chiaro subito dopo la sua elezione: “Gli anni in cui il Canada è stato un partner recalcitrante sui temi ambientali appartengono al passato”. Un approccio coraggioso ma rischioso, visto che il Pil di Ottawa dipende, per il 10%, proprio dai combustibili fossili. Sta a Trudeau trovare il giusto equilibrio tra i conti in ordine, gli investimenti di multinazionali come Suncor, Statoil e Shell e la Natura, che reclama il rispetto delle sue immutabili e inviolabili leggi.

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  • Londra, l’Eurabia parte da qui

    Londra, l’Eurabia parte da qui

    Il Punto di Agostino Giordano

    Nessuno, otto anni fa, avrebbe immaginato un presidente afro-americano alla Casa Bianca. Eppure Barack Hussein Obama II da otto anni è a capo degli Usa. E non vorremmo che, dopo questo primato ‘in quanto a pelle’, l’America a novembre ci regalasse, ‘in quanto a genere’, la prima donna-presidente: quell’Hillary Clinton che già nel 2007, alle primarie del partito democratico, contese a Obama la nomination. Allora non si accontentò di essere stata first-lady, oggi tenta l’impossibile con un Trump lanciatissimo, dopo otto anni di pacifismo alla Carter. Obama e Carter, avvocati uniti nelle lotte per i diritti umani; e come a Carter successe il sanguigno Ronald Reagan, così all’afroamericano Obama potrebbe succedere – ormai è dato per vincente tra i Repubblicani – un Trump al fulmicotone. Sbertuccati entrambi, i due Ronald, al loro esordio; ma Reagan è già passato alla storia come uno dei più grandi presidenti americani, Trump sarà una sorpresa per molti, e l’America tornerà ad essere protagonista, e superpotenza rispettata.

    In Europa le sorprese ‘di religione’ sembravano di là da venire. Ma la nemesi della Fallaci era lì, pronta a colpire l’Europa, che lei – vista l’eccezionale immigrazione musulmana – chiamava già Eurabia. Bene, a Londra, i laburisti hanno fatto il miracolo. Come nuovo sindaco musulmano di Londra, lunedì 9 maggio, in una cattedrale cristiana ha giurato Sadiq Khan, laburista, che ha ringraziato chi lo ha eletto “per avere reso possibile ciò che era impossibile”. Khan, 45enne figlio d’immigrati pachistani musulmani, ex avvocato per i diritti civili, – che nella sua carriera politica era stato anche Ministro dei Trasporti nel governo laburista di Gordon Brown, aveva scritto sul suo sito: “La storia della Londra di oggi è la mia storia”. Un integrato, si direbbe. Dunque, ce n’è voluto, ma oggi abbiamo il primo sindaco musulmano di una capitale europea. Eurabia incomincia da Londra. E Oriana Fallaci ne godrà i diritti riservati.

    Dagli scenari internazionali passiamo a quelli nazionali, ma sempre in casa ‘democratica’, o meglio in quel guazzabuglio di anime in pena che si ritrova ad essere il Nazareno, la Leopolda in salsa romana, dove al rampante Renzi fa da controcanto il Movimento Resistenziale Giudiziario, che combatte il premier a suon di manette, arresti e avvisi a personaggi targati Partito Democratico. E Renzi, mentre si accorge di una ‘questione morale’ nel Pd, dall’altra diffida le toghe dal fare politica sul referendum autunnale. Da una vita scriviamo che il Pd, giustizialista per principio, era tale solo perché la maggioranza della magistratura era sinistra per natura; ma non poteva mai, l’ex Pci-Pds-Ds-Pd, pensare che il serpente riscaldato in seno un giorno avrebbe morso anch’esso! La vendetta arriva tardi, ma arriva, fredda, anche per l’ex partito di Botteghe Oscure, che ha aizzato Anm e toghe contro l’odiato Berlusconi in 20 anni di processi politici (farlocchi), ha allentato le briglie sulle intercettazioni telefoniche, facendo carne di porco di costituzione e buonsenso. E ora che dall’Anm si alza qualche voce contro il “Verbo Renziano”, Matteo ‘ordina’ al povero Andrea Orlando, Ministro della giustizia (!), – nel 1989 segretario provinciale della Federazione Giovanile Comunista Italiana – di incerottare le bocche togate che gridano ‘No” al referendum costituzionale d’autunno, per non disturbare il premier, che ha legato all’esito di quel voto il prolungarsi della sua permanenza ‘illegale’ a Roma. Quando l’Anm e magistrati colpivano il centrodestra, era tutto normale; ora che ‘osano’ usare le stesse armi anche con la sinistra, apriti cielo! Contro il Cavaliere piacevano i magistrati parlanti? Ora non più. Contro il centro-destra piacevano le intercettazioni? Ora non più. Ma se poi qualche toga amica esclude la ‘lista Fassina’ a Roma e la ‘lista Fratelli d’Italia’ a Milano, voi pensate che Renzi non goda da matto? Intanto, allo Sviluppo Economico, al posto della Guidi, Renzi ha paracadutato Carlo Calenda. E la Ripresa? Alle…Calende greche! Ovvio.

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  • Trivellazioni, un Referendum nato morto

    Trivellazioni, un Referendum nato morto

    Il Punto di Vittorio Giordano

    “Solo” il 31,18% degli elettori ha votato

    Trivelle

    «Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di Stabilità 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?» Ma scusate: come si può pretendere di mettere TUTTI gli italiani – di ogni latitudine, censo e cultura – nelle condizioni di CAPIRE il quesito ed esprimere un voto consapevole e convinto? Se un referendum è POPOLARE, perché non usare un linguaggio accessibile, invece di fare inutile sfoggio di tecnicismo? In quanti, mi chiedo, hanno davvero capito il quesito? All’estero, tra i connazionali più attempati, che poi sono quelli più impegnati, un’esigua minoranza. Il referendum abrogativo è fallito anche per questo. È la settima volta su otto, negli ultimi vent’anni. Con l’unica eccezione della consultazione sull’acqua nel 2011: un tema immediato, che riguardava tutti. Come il divorzio e l’aborto. “Solo” il 31,18% degli elettori (oltre 13 milioni) si è recato alle urne. Addirittura il 19,73%, all’estero. Senza quorum (il 50% più uno dei votanti), il risultato finale non ha alcun effetto: per la cronaca, ha vinto il “Sì” con l’85,84%, contro il 14,16% del “No”. La Basilicata ha registrato la più alta affluenza, con il 50,5%. Ergo: nessuna piattaforma a 12 miglia dalla costa sarà smantellata, ma potrà proseguire con le trivellazioni fino alla scadenza dei giacimenti (e non delle concessioni). Esattamente come già deciso dal governo con la ‘Legge di Stabilità’. Resta la sgradevole sensazione che si sia trattato di un regolamento di conti interno al Pd, sulla pelle degli italiani: la minoranza interna capeggiata da Emiliano, governatore della Puglia, contro il ‘despota fiorentino’. Ora la partita si sposta sul referendum costituzionale di ottobre (con il nuovo ‘Senato dei 100’), che non necessita di quorum, ma che costringerà il Premier a serrare i ranghi, se non vuole replicare il tonfo di Berlusconi nel 2006. Punto due: non sarebbe stato più intelligente accorpare la data del referendum con quella delle amministrative in programma il 5 giugno? Lo Stato, ergo i contribuenti, avrebbero risparmiato quasi 400 milioni di euro. Che non sono noccioline o bazzecole. Soprattutto di questi tempi. Punto tre: il referendum è nato morto, visto che, nonostante i ‘richiami all’ordine’ dell’AGCOM (l’Autorità Garante delle Comunicazioni), è salito agli onori della cronaca solo all’indomani delle dimissioni del Ministro Guidi (“influenzata” dal compagno ‘portavoce’ degli interessi della lobby petrolifera), salvo poi assumere connotati politicizzati negli ultimi giorni: un “sondaggio” pro (No e Astensione) o contro (Si) Renzi (che ha invitato apertamente gli italiani a disertare le urne, così come Napolitano, ex capo dello Stato!). Il quesito referendario è stato ‘annacquato’, deturpato e strumentalizzato: temi strategici come il futuro dell’ambiente, la politica di approvvigionamento di petrolio, l’efficienza delle fonti rinnovabili sono diventati ‘accessori’. Alla fine, la questione si è ridotta ad una scelta radicale tra la difesa dell’ambiente ed il lavoro (13mila posti a rischio, una novantina gli impianti coinvolti). E di fronte al rischio disoccupazione, gli italiani (quelli che hanno interpretato il quesito in questi termini) non hanno sentito ragioni. Non tutti, però. Al netto del voto (o non voto) “a prescindere” pro-Renzi e dei “Si”, convinti che lo sfruttamento di gas e petrolio sia pericoloso e anti-storico, alcuni hanno disertato le urne semplicemente perché nauseati dalla politica, ed altri per menefreghismo, ignavia, o per amore del mare. Chi (in pochi, temo) ha deciso consciamente di disertare le urne, ha fatto una scelta precisa e condivisibile. Anche il nuovo Canada di Trudeau guarda alle fonti di energia rinnovabili per il futuro, ma non per questo ‘sacrifica’ il presente rinunciando alla sua proverbiale industria mineraria. Con tutte le proporzioni del caso, assodato che i fiori all’occhiello del Belpaese sono (e restano) l’agricoltura e la gastronomia, il turismo e la tecnologia, l’arte e l’artigianato, e appurato che la produzione nazionale di gas e petrolio in Italia vale solo 3 miliardi di euro, perché rinunciare a priori allo sfruttamento dei giacimenti naturali (in sicurezza), salvo poi importare elettricità dalla vicina (iper-nuclearizzata) Francia e l’olio nero dai vituperati Paesi arabi? Perché regalare i giacimenti dell’Adriatico a Croazia e Albania, che già li sfruttano? In attesa del mondo “verde e perfetto” di domani (fondato su innovazione ed efficienza energetica), l’economia di oggi (globale e competitiva) impone ad uno Stato scelte di “realpolitik”. Il futuro, per fortuna o purtroppo, è già oggi. E questo a prescindere dai calcoli politici di parte.

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  • Oltre che di petrolio, Italia a secco di…Premier

    Oltre che di petrolio, Italia a secco di…Premier

    Il Punto di Agostino Giordano

    renzi343Matteo Renzi fu il primo capo di governo, due anni fa, ad incontrare Al Sisi, neo presidente dell’Egitto; oggi Renzi spara a palle incatenate contro Al Sisi, reo di non dare risposte certe sulla tragica morte di Giulio Regeni, giovane ricercatore friulano, collaboratore de ‘Il Manifesto’, ucciso a Il Cairo. Renzi, invece di battersi per portare a casa i due Marò, militari della Marina Italiana, ingiustamente dimenticati in mani indiane, ha creduto opportune creare, con Regeni, un altro incidente internazionale, un caso diplomatico, una ‘questione di Stato’. Ma mentre con l’India si è persa solo la faccia, con l’Egitto si perderà petrolio e gas, e tanto turismo. Forse nessuno ha informato Renzi che Al Sisi è un altro Mubarak: che se ne infischia delle sue richieste, anzi lo irride: “Caso strumentalizzato politicamente da Roma”. E pensare che l’Egitto è nostro alleato contro l’Isis!

    Ma evidentemente Renzi è costretto a sollevare questo polverone per distogliere l’attenzione degli italiani dagli scandali, che si susseguono nel suo governo, e dalle puntuali ‘intemerate’ che si vanno compiendo in Parlamento; dove un Premier “abusivo” (come lo ha recentemente apostrofato Berlusconi), e ai minimi di gradimento, si affretta ad accettare le dimissioni del Ministro Guidi, si affanna a respingere l’ennesima richiesta di dimissioni del suo governo da parte di opposizione e piazza; si dimena a sgridare la magistratura per poi fare dietrofront; vuole chiudere la partita della Riforma Costituzionale entro questa settimana a colpi di ‘voti di fiducia’. E poi – primo caso nella storia repubblicana – Renzi cambia significato al ‘Referendum abrogativo’ (arma in dotazione alla minoranza): da posizione di maggioranza propone un Referendum Abrogativo sulle Trivelle in mare, dove, tra il votare ‘Si’ o ‘No’, la differenza è minima e ambigua; ma – qui sta la chicca – Lui, Renzi, fa il tifo per l’Astensione. E noi che da anni andiamo trovando un capo al partito dell’Astensione! Saputo che questo è il maggior partito italiano, Renzi ha fiutato l’affare e s’è lanciato, Boschi in testa. Forse a testare, e blandire, quell’astensione che in autunno sarà fondamentale per promuovere o abrogare la sua ‘mostruosa’ Riforma Costituzionale, al cui esito Renzi ha legato la sua permanenza a Palazzo Chigi.

    A proposito di Davigo e della sua elezione a capo dell’Associazione Nazionale Magistrati, prendiamo atto che si continua, a carte scoperte, col più che ventennale ‘muro contro muro’ tra magistratura e politica. Ma il pm Buccini, della Procura di Venezia, di Magistratura Indipendente e molto votato, gli manda un messaggio chiaro: “L’Anm deve essere meno soggetto pubblico – se non politico – e più soggetto rappresentativo dei magistrati e del loro lavoro”. A ‘la Repubblica’, invece, dopo anni di linciaggio contro Berlusconi e la sua vita privata, adesso dalle stesse colonne, per i Ministri renziani, invocano la ‘privacy’! Ricordate la frase intercettata a Renzi su Letta? “Il Premier Letta? Non è che è cattivo…non è proprio capace!”. Per Davigo le intercettazoni non si toccano, e Renzi ha detto che non riformerà le intercettazioni. Ma che piglio! Che coerenza! E poi ci sono convulsioni varie, inspiegabili. Rosi Bindi che entra a gamba tesa nei palinsesti televisivi criticando Vespa per aver intervistato il figlio di Riina; mentre quando ‘liberamente’ Biagi intervistò Buscetta e Luciano Liggio nessuno fiatò; e nessuno deplorò Zavoli quando intervistava i più feroci terroristi rossi!

    A Milano il candidato Passera, moderato, si ritira dalla corsa a sindaco di Milano e si allea con Parisi; e Sala, il candidato renziano sente sfuggirgli la vittoria ogni giorno che passa. A Roma, invece, è difficile mettere insieme le varie anime del centrodestra, Meloni in primis; mentre Bertolaso, il candidato di Berlusconi, tira dritto per la sua strada. Sul ‘Petrolio’, l’ex premier israeliana Golda Meir ebbe a fare questa considerazione: “Mosè ci ha portato per 40 anni in giro per il deserto, per condurci nell’unico posto del Medio Oriente che non ha petrolio”.

    Israele, quindi, come l’Italia? Quasi. Ma qui, oltre che di petrolio, siamo a secco di…Premier.

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  • I morti gridano giustizia,non vendetta

    I morti gridano giustizia,
    non vendetta

    Il Punto di Agostino Giordano

    La Libertà è il bene più prezioso. Nell’antichità il concetto di libertà era quasi sconosciuto. Ogni società si divideva in liberi, semiliberi e schiavi; ma anche all’interno dei cosiddetti ‘liberi’, le limitazioni erano enormi. La ‘rivoluzione delle rivoluzioni’ la fa Gesù Cristo, che insegna al mondo un nuovo comandamento: l’Amore. Che spazza via per sempre la schiavitù e l’odio, rende giustizia ai poveri, condanna la violenza, predica l’uguaglianza tra uomo e donna. Rende ogni uomo libero.  E nasce il Cristianesimo. Basato sulla predicazione pacifica, a tutti i popoli della terra. Una religione che può essere accettata e praticata, o meno. In piena libertà. Per l’importanza del suo messaggio, Gesù Cristo diventa la pietra angolare della nuova storia dell’uomo: la sua nascita, oggi, in tutto il mondo, misura il tempo. Gli Ebrei non hanno accettato il Vangelo di Cristo e continuano a vivere nel Vecchio Testamento, anche nella misurazione del tempo. Nel VII sec.d.C., quasi a voler riportare indietro l’orologio del tempo, a voler far sprofondare il mondo nella barbarie pre-cristiana, ecco apparire l’Islam, una religione che riporta, nelle sue frange estreme, all’integralismo religioso, un Dio giustiziere e il suo Corano, che con la violenza della spada vuole riprendersi l’umanità cristianizzata attraverso la predicazione pacifica. La Spada contro la Parola, l’Odio contro l’Amore. E da lì comincia la guerra millenaria dell’Islam contro il Cristianesimo. Oggi, a insanguinare il mondo cristiano è il terrorismo dell’Isis. Che prende di mira soprattutto l’Occidente, e l’Europa in particolare, tradizionale ‘tallone d’Achille’. A imitazione del mondo islamico, anche il Cristianesimo ha avuto, e ha, spaccature al suo interno, che però cerca di ricucire pazientemente. L’Occidente ha ereditato dal Cristianesimo la Libertà e la Democrazia: princìpi che, pur tra mille incongruenze, cerca di rispettare. Ma la vera colpa dell’Unione Europea (Ue) è quella di essere nata male, o monca, fate voi. Nata come un soggetto economico, mercato comune, non è mai diventata un soggetto politico. Da eurozona, libero passaggio di uomini e merci, non ha mai avuto unità politica, militare, diplomatica. E davanti ad un’invasione in grande stile da parte di migranti extracomunitari, non regge. E allora chi alza mura a destra e chi a sinistra, senza un minimo di coordinamento accettabile. L’Ue ha pensato alla libera circolazione dei cittadini degli Stati membri, ma non agli extracomunitari. Che oggi vengono a intasare e a problematizzare una situazione economica europea già critica. L’Isis, con i suoi atti terroristici anti-cristiani, mette a nudo la disarticolazione dei servizi segreti occidentali. Non solo, ma anche le politiche di accoglienza e di sistemazione ‘senza capo né coda’ che i vari Stati hanno messo in atto a casa loro, ieri come oggi. In un Belgio dove re Baldovino, negli anni ’70, faceva gli occhi dolci agli Arabi per ottenere petrolio, non può oggi stracciarsi le vesti, dimenticandosi delle fregnacce dei loro reali. Davanti a catene di alberghi e palazzi e banche e industrie e squadre di calcio europee comprate o finanziate da arabi, gli stessi che finanziano gli atti terroristici in casa nostra, abbiamo niente da dire? I terroristi ce li abbiamo in casa, cittadini uguali a noi, di seconda o terza generazione. Si sono integrati? No. Anche se abbiamo loro dato accoglienza, lavoro, casa e moschee, si sono integrati? No. Non si integreranno mai, perché vivono nel loro mondo, praticano la loro religione. Bene, allora, o cambiano testa, o cambiamo le regole. Libertà, fratellanza e democrazia sì, ma nel rispetto reciproco. Bontà sì, buonismo no. L’Italia – dove i servizi segreti sono stati distrutti, le forze dell’ordine hanno le mani legate, le forze armate sono quasi…disarmate – si può chiamare un Paese sicuro? Cosa fa l’Islam ‘moderato’? Esiste davvero un Islam moderato? Ha senso continuare a indignarsi, senza peraltro intervenire seriamente contro l’Isis? Il cancro, una volta individuato, lo si estirpa, o lo si cura seriamente. Cristiano Magdi Allam parla di almeno di 100.000 cristiani uccisi, nel mondo. Ogni anno. Lo dice un ex-islamico, convertitosi al Cristianesimo e battezzato da un certo papa San Giovanni Paolo II. Buono, non buonista. E i morti gridano giustizia, non vendetta.

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  • Giù le manidal ‘Made in Italy’

    Giù le mani
    dal ‘Made in Italy’

    IL PUNTO di Vittorio Giordano

    GIUSTI

    La gastronomia italiana, si sa, è tanto ammirata quanto taroccata in ogni parte del mondo. Da Nord a Sud del globo, infatti, le eccellenze culinarie del Belpaese vengono ‘deturpate’ in ogni modo e spacciate per prodotti ‘Made in Italy’. La falsificazione di prodotti alimentari, grazie al famoso italian sounding, fa perdere al vero ‘Made in Italy’ oltre 60 miliardi di euro di fatturato all’estero. Di questi, circa 4 miliardi sarebbero ‘sottratti’ proprio in Canada. Con gli italo-canadesi che, loro malgrado, contribuiscono – con tutta la buona fede di questo mondo – ad alimentare l’equivoco.

    A lanciare il grido di allarme è Emanuele Giusti (nella foto) analista di mercato senior presso ICE Agenzia, la delegazione commerciale d’Italia a Montréal, che nei giorni scorsi ha denunciato la contraffazione del Made in Italy sulle colonne de ‘Le journal de Montréal’. “Se sulle etichette dei formaggi e dei salumi – ha dichiarato Giusti – non c’è scritto ‘Made in Italy’, allora la gente non sta comprando un vero prodotto italiano”. Purtroppo, però, “basta un nome come ‘Parmigiano’ o ‘Prosciutto di Parma’ o una bandiera tricolore sulla confezione perché la gente si sbagli, pensando che i prodotti arrivino dall’Italia”.

    Incuriositi, abbiamo contattato Giusti, che ci ha spiegato meglio il concetto: “Se ci sono dei prodotti tipici, di indicazione geografica, che vengono realizzati in Paesi altri, rispetto a quelli di origine, è chiaro che si pone un problema”. E qui entrano in gioco gli italo-canadesi: “Nessuna accusa, anzi: è giusto rendere loro omaggio per ciò che hanno fatto. In Canada, così come negli Usa e in Australia, fino a qualche anno fa, i formaggi ed i salumi non potevano entrare per questioni sanitarie. Mi sembra perfettamente normale che gli italiani emigrati abbiano voluto continuare a mangiare le cose a cui erano abituati. Hanno continuato a soddisfare la domanda di altri italiani, producendo le cose che conoscevano”. I tempi, però, sono cambiati: “Se tu mi produci un parmigiano o un prosciutto di Parma, visto che oggi l’industria italiana può esportare questi prodotti, entriamo in conflitto, o quanto meno in concorrenza. Bisogna evitare di fare confusione: il consumatore deve avere le idee chiare”.

    E qui interviene la legge: “Sui prodotti alimentari, oggi la legge canadese impone etichette con ingredienti e tavola nutrizionale, affinché il consumatore possa fare una scelta ragionata”. Spesso, però, la confezione può trarre in inganno: “Se c’è scritto ‘spaghetti italiani’ e magari c’è anche una bandierina tricolore, il consumatore pensa di comprare un prodotto italiano”.

    La soluzione potrebbe arrivare dal CETA, l’accordo siglato tra Unione europea e Canada, che dovrebbe essere ratificato a inizio 2017: “I prodotti realizzati in posti altri, rispetto al Paese di denominazione geografica, devono indicare sulla confezione frasi come ‘di stile italiano’. Siccome ci sono dei nomi che sono diventati generici perché di uso comune, come maccherone o spaghetto, basta dire ‘spaghetti di stile italiano’. In questo modo, come consumatore, posso fare una scelta più consapevole e immediata. È vero che sull’etichetta c’è scritto ‘Made in Italy’ oppure ‘Made in Canada’, ma chi è che lo va a leggere? Gli imballaggi sono studiati per suscitare delle reazioni istantanee e le legislazioni sull’etichettatura sono state messe a punto per dare delle risposte immediate. Alla luce del CETA, quindi, per molti prodotti, in particolare quelli protetti, non si potranno adoperare le denominazioni protette; e il nome generico potrà essere adoperato aggiungendo la dicitura ‘stile italiano’ o ‘genere italiano’”.

    Un caso limite è il prosciutto Parma. “Legalmente il prosciutto ‘Parma’ è un marchio di un’azienda canadese. La conseguenza è che, ad oggi, il vero prosciutto di Parma Dop viene venduto sugli scaffali canadesi come ‘Prosciutto originale’. L’azienda canadese ha tutte le ragioni giuridiche di questo mondo, avendo registrato il marchio negli anni ’50. Ma il consumatore cosa ne sa?”.

    Il brevetto, dunque, prevale sulla denominazione d’origine: “Il Canada non poteva andare contro le sue stesse leggi sulla protezione intellettuale”. La soluzione trovata è quella di far coesistere i due marchi: “Il prosciutto del consorzio italiano potrà commercializzare il suo prosciutto col nome ‘Prosciutto di Parma’, senza incorrere in alcuna azione legale”.

    Impossibile, poi, dimenticare il caso del parmigiano: “Il Parmigiano Reggiano è conosciuto in tutto il mondo come parmigiano. Ma non siamo sempre certi di comprare quello italiano. Negli Usa sta scoppiando un enorme scandalo, perché sembra che contenga un alto tasso di cellulosa, ma si tratta di parmigiano di produzione americana. E il parmigiano reggiano che viene dall’Italia ne risente, perché il consumatore fa l’equazione ‘parmigiano=cellulosa’. Ha un’idea del danno economico?”.

    A risentirne è l’immagine stessa del Belpaese, perché le specialità tricolori sono frutto di tradizioni e territori unici e inimitabili. Fermiamo la pirateria agrolimentare!

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  • La Trudomania contagia anche Obama

    La Trudomania contagia anche Obama

    IL PUNTO di Vittorio Giordano

    La visita alla Casa Bianca

    Trudeau-da-Obama

    L’ultima volta che un Primo Ministro canadese è stato l’ospite d’onore di una cena di gala alla Casa Bianca risale al 1997, quando Bill Clinton accolse in pompa magna Jean Chrétien. Un’eternità, nonostante Usa e Canada
    siano dirimpettai (9mila km di frontiera terrestre), oltre che partner strategici: basti pensare che nel 2015 Ottawa ha esportato verso l’ingombrante vicino merci per 400 miliardi $, il 76% del totale. Evidentemente l’eco della schiacchiante vittoria liberale ha varcato i confini meridionali incuriosendo a tal punto Barack Obama e Michelle da invogliarli ad offrire a Justin Trudeau (accompagnato dalla consorte Sophie-Gregoire ed i 3 figli) l’onore di un’accoglienza da “star hollywodiana”. A dargli il benvenuto una sfilata di personalità (in tutto 200 invitati): da Michael J Fox e Ryan Reynolds a Sandra Oh e Mike Myers. Oltre a diversi senatori e all’ex presidente della Camera dei rappresentanti, Nancy Pelosi. A dire il vero, la famiglia Trudeau non è nuova a questo genere di appuntamenti. La madre Margaret, che accompagnava il padre Pierre, storico premier canadese, suscitò grande scalpore quando si presentò alla serata del 1977 organizzata dai Carter con un vestito troppo succinto per gli standard dell’epoca: due dita sotto il ginocchio. Fosse successo oggi, Justin, 44 anni, in carica da quattro mesi, avrebbe già la risposta pronta: “Siamo nel 2016”. Nel corso della visita, durata 3 giorni, da giovedì 10 e sabato 12, tra eventi mondani e colloqui su temi impegnativi come commercio, energia, sicurezza alle frontiere e clima, i due leader hanno riaffermato l’ineluttabilità di un’alleanza suggellata dall’affinità culturale e dalla contiguità geografica. “Si dice che si scelgono gli amici, ma non si possono scegliere i vicini – ha detto il Presidente Obama -. Ebbene, Stati Uniti e Canada possono ritenersi fortunati ad essere vicini”. Un’amicizia storica, ma che andava rinsaldata dopo le recenti divergenze con Stephen Harper (primo ministro canadese dal 2006 al 2015). Screzi striscianti che si sono esasperati quando l’amministrazione Obama si è opposta all’oleodotto Keystone XL, che avrebbe dovuto trasportare il petrolio dall’Alberta al Golfo del Messico. Tutto in naftalina, per il momento. Anche se qualche dissidio resta, come la scelta canadese di ritirarsi dai bombardamenti anti-Isis. La comune appartenenza agli ideali politici liberal-democratici ha fatto da mastice, accelerando i tempi del ‘disgelo’: “Siamo uno lo specchio dell’altro – ha sottolineato Obama – : ci guidano gli stessi valori”.

    Trudeau ha sposato tutte le battaglie progressiste: diritti gay, femminismo, sanità pubblica, rispetto per l’ambiente e tutela delle minoranze. Musica per le orecchie di Obama. Ma il vero motivo dell’incontro è stato quello di gettare le basi per un futuro accordo sulla “libera” circolazione di persone e merci ed un impegno comune contro i cambiamenti climatici: i due leader si sono impegnati a tagliare le emissioni di metano del settore gas-petrolifero dal 40% al 45% entro il 2025 (rispetto ai livelli del 2012). “Sono fiducioso – ha detto Trudeau – che entrambi vogliamo una crescita economica ‘pulita’ e che lavorando assieme arriveremo allo scopo prima di quanto si possa pensare”. “Il mondo sarà migliore quando questo continente sarà migliore”, ha concluso il Primo ministro canadese. Che ha invitato il presidente Usa a rivolgere un discorso ufficiale ai parlamentari di Ottawa a giugno, in occasione del summit nordamericano. Accordo su tutta la linea tra i due giovani leader. Tanto che sui media si è parlato addirittura di “bromance”, fusione di “brother” e “romance”. Fra occhiate tenere, sorrisi e battute. Come quella sull’hockey: “Chi detiene oggi il trofeo della Stanley Cup? Forse i Blackhawks di Chicago?”, ha chiesto ironicamente Obama. “Gli americani importano molti ‘beni’ canadesi, come Jonathan Toews, Duncan Keith e Patrick Sharp che giocano nelle fila dei Blackhawks di Chicago”, la risposta fulminante di Trudeau. Senza contare gli stessi gusti in materia di abbigliamento. I rotocalchi americani si sono scatenati facendo notare come Obama e Trudeau abbiano adottato lo stesso stile: un completo scuro e una cravatta blu chiaro. Dal canto loro, Michelle ha sfoggiato un abito verde scuro, mentre Sophie Grégorie ha preferito un abito rosso con forti tinte di rosa. Obama e Trudeau: due facce della stessa medaglia per un Nord America a trazione progressista. In attesa delle elezioni ‘a stelle e strisce’ del prossimo novembre.

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  • ‘La guerra non è un videogioco’. Parola di Renzi

    ‘La guerra non è un videogioco’. Parola di Renzi

    Il Punto di Agostino Giordano

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    Per chi si fosse ricollegato solo ora con l’Italia, dopo due settimane di astinenza forzata, non si preoccupi: non ha perso niente, o quasi. Mentre buona parte della popolazione è a letto, bloccata dal virus influenzale, Renzi  coglie vittorie in Parlamento a colpi di ‘voti di fiducia’, che sembrano non infastidire Mattarella più di tanto. Le ‘unioni civili’ sono legge, e i voti di Verdini&soci sono stati determinanti, alla faccia della minoranza dem, che grida allo snaturamento del partito di Gramsci! Ma dietro le quinte del Parlamento è tutto un tramare, un congiurare contro il Premier-segretario. Che nel frattempo – malato di ‘annuncìte cronica’ – ritorna a parlare di Ponte sullo Stretto e di ‘Italia in ripresa’; e di ‘intervento in Libia’, ma solo quando si creeranno le condizioni, e dopo il ’sì’ del Parlamento. Sui quattro italiani rapiti in Libia da bande islamiche – di cui due uccisi e due liberati – piovono le accuse di una vedova, resta il rebus del riscatto e le interrogazioni urgenti in Parlamento; ma Renzi preferisce parlarne a Canale 5, in poltrona, piuttosto che in un Parlamento ostile. In tema di ‘fusioni pilotate’, La Stampa degli Agnelli ‘si unisce’ all’Espresso-Repubblica di De Benedetti, ma nessuno osa parlare di ‘monopolio’! In previsione delle Comunali, il centrodestra sceglie Bertolaso a Roma e Lettieri a Napoli, ma Salvini scalcia; il Pd celebra le primarie e le vincono due renziani: Roberto Giachetti a Roma e Valeria Valente a Napoli, con un’affluenza decisamente flop, e tra divisioni e rancori. E per chiudere il capitolo Pd, l’ex capogruppo alla Camera Roberto Speranza, ora nella minoranza interna, annuncia: “Il doppio incarico di Renzi è un problema”; le idi di Marzo sono vicine, e al Nazareno voleranno i coltelli. Ma anche la sua figura da Premier sembra fare acqua: ha ceduto sezioni strategiche di acque territoriali italiane alla Francia, senza avvisare i governatori e i pescatori di Liguria e Sardegna. A tutto beneficio delle acque territoriali Toscane. Le sue.

    Avevamo lasciato Papa Francesco mentre rientrava a Roma dopo lo scalo ecumenico a Cuba. E la sua risposta alla stampa sulle ‘unioni civili’ (”Se la veda la Cei”!), a poche ore dal voto del Senato Italiano, ci ha francamente sorpreso. Per molto meno il Papa ha detto la sua, sempre; e ora si rimetteva a fare il ‘buonista’! E puntuale, dall’interno del coro Cei, è partita la stonatura del segretario Galantino.

    A 94 anni è deceduta l’ex first lady americana Nancy, moglie di quel gran presidente che fu Ronald Reagan, uno dei migliori presidenti repubblicani degli Usa. E viene spontaneo confrontarlo col candidato repubblicano di oggi, Donald Trump; ma riuscirà mai Donald a diventare come Ronald? Sull’argomento si verseranno fiumi di inchiostro da qui a novembre, mentre ora è quasi impossibile credere a quanto dicono e fanno ‘i grandi della terra’ sulla questione Isis e sulle migrazioni in atto. La lotta al Califfato segna il passo, o meglio si pensa di vincerla tra un bombardamento e l’altro, con droni e spiate varie; ma, da che mondo è mondo, i territori si conquistano con le truppe di terra, metro dopo metro. I curdi (cristiani) sono gli unici a combattere l’Isis nel modo tradizionale. La Turchia è disposta a respingere la marea di migranti che preme per entrare in Europa a due condizioni: che l’Ue l’accolga subito al suo interno e che la Nato la smetta di dubitare della sua lealtà atlantica. Due belle mine vaganti, su cui la diplomazia russo-americana rischia grosso. Se aggiungiamo che il dittatore nordcoreano ha allertato le sue forze armate a prepararsi all’uso di armi atomiche, il quadro si tinge di giallo.

    Il Parlamento di Renzi continua a legiferare sul sesso degli angeli, mentre l’Isis è alle porte; ma l’Italia non se rende conto. Perché Renzi, occupata la Rai, l’ha inondata di annunci, promesse e bugie. Raymond Tomlinson, l’inventore della ‘e-mail’, morto lunedì scorso, a 74 anni d’età, ebbe a dire: “Non credete a tutto quel che leggete. Non credete a tutto quello che leggete sul web”. Sembra una frase scritta su misura per Renzi . Che dal salotto di Canale 5 risponde: “La guerra non è un videogioco”. Ma va’!…

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