Montréal – Lo aveva preannunciato in campagna elettorale e lo ha ribadito nella recente Manovra di Bilancio: per Justin Trudeau le infrastrutture rappresentano una priorità per far ripartire il Paese. Su questa falsariga, mercoledì scorso il Primo Ministro del Canada ha aggiunto un altro tassello nell’ambito dei massicci investimenti previsti per svecchiare e modernizzare la rete di comunicazione nazionale. Stanziati 775 milioni, spalmati nei prossimi 3 anni, per la riparazione e la manutenzione del trasporto pubblico (autobus e metro) della grande regione di Montréal: l’annuncio è arrivato dallo stesso leader liberale in visita alla rimessa STM di Hangar d’Youville, tra Saint Laurent e Cremazie, a Montréal, circondato dagli operai della Società di trasporto pubblico comunale. Presenti anche diversi parlamentari, come Nicola di Iorio (eletto nella contea di Saint-Léonard-Saint-Michel), Pablo Rodriguez (Honoré-Mercier) e David Lametti (LaSalle—Émard—Verdun). Ed è solo la prima fase: ce ne sarà anche una seconda – ha annunciato Trudeau – che sarà focalizzata sui nuovi progetti, come il prolungamento della metro blu della metro di Montréal in direzione di Anjou, o la costruzione di un binario per treno leggero che colleghi il centro-città all’aeroporto Pierre-Elliot Trudeau. Anche se, in questo caso, la scelta non spetta al governo federale: “Dipendono dalle priorità del comune di Montréal e del governo provinciale”. Assicurando, in ogni caso, il sostegno e la partnership del suo governo per la realizzazione del progetto. (V.G.)
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30 miliardi di deficit
per infrastrutture e famiglieIl Ministro delle finanze Morneau ha depositato il budget federale
Ottawa – Comincia una nuova era per il Canada: il 22 marzo scorso, il Ministro delle Finanze Bill Morneau ha ufficializzato la Legge di Bilancio che rilancia gli investimenti massicci nelle infrastrutture e riconosce significativi aiuti alle famiglie. Due promesse elettorali che hanno sancito la spettacolare vittoria di Justin Trudeau alle recenti elezioni federeali. E che quindi il Primo Ministro non poteva non mantenere. Ma a che prezzo? Voltando le spalle all’equilibrio di bilancio (faticosamente raggiunto dal suo precedessore Stephen Harper dopo anni di tagli e di contenimento della spesa pubblica) e facendo ricorso ad un ‘deficit-monstre’ di 29.4 miliardi $ (per il 2016-2017), ovvero 3 volte quello prefigurato in campagna elettorale. I conti in rosso saranno un ‘male necessario’ con cui fare i conti anche nei prossimi anni: 29 miliardi nel 2017-2018 e 22.8 miliardi nel 2018-2019. Con la promessa (piuttosto difficile da realizzare) di tornare al pareggio prima della fine di questo mandato. Una scelta coraggiosa, ma anche rischiosa: il governo liberale scommette sul futuro, mira a rivitalizzare il mercato ed a stimolare la crescita con misure votate alla speranza e all’ottimismo. Prevista una crescita del PIL dello 0,5% per quest’anno e dell’1% l’anno prossimo. Un ‘New Deal’ di rooseveltiana memoria che dice basta all’austerità: lo stato torna ad investire con l’obiettivo di dare nuovo impulso alla crescita ed ai consumi. Approfittando anche del contesto economico nazionale favorevole, visto che il rapporto deficit/prodotto interno lordo è ‘solo’ del 31,2%. In caso di fallimento, però, la strategia potrebbe rivelarsi un pericoloso boomerang: i conti in rosso sarebbero una zavorra destinata a rallentare l’economia perché, senza un piano di rientro efficace, il deficit si tradurrebbe in dolorosi tagli o, peggio, in salate imposte per i contribuenti. In totale, il piano di spesa previsto nella Finanziaria 2016 è di 290 miliardi di dollari (cifra che salirà a 304,6 nel 2017-2018 e a 323,2 nel 2020-2021), mentre il debito complessivo sarà di 619,3 miliardi (destinato a salire fino a 732, 5 nel 2020-2021). Tra le misure principali, ricordiamo:
• FAMIGLIE – 21.9 miliardi all’anno per finanziare la nuova ‘Allocazione Canadese per Bambini’ (ACE), più generosa e non imponibile: per esempio, una famiglia con 2 bambini ed un reddito fino a 90 mila $, riceverà 5650 $, cioè 2500 $ in più rispetto al sistema vigente. L’ACE prevede un massimo di 6400 $ per bambino con meno di 6 anni e di 5400 $ per un ragazzo dai 6 ai 17 anni.
• INFRASTRUTTURE – 120 miliardi in 10 anni, ma di questi solo 4 miliardi saranno investiti nel 2016-2017, soprattutto nel trasporto pubblico.
• ABORIGENI – 8,4 miliardi in 5 anni a favore delle Prime Nazioni
• RADIO-CANADA: 75 milioni quest’anno e 150 l’anno prossimo per ‘salvare’ la televsione di stato.
• VETERANI – 5,6 miliardi in 5 anni agli ex combattenti ed alle loro famiglie, con un’aumento dell’indennità di invalidità fino a 360 mila dollari.
• ANZIANI: 3,4 miliardi in 5 anni: quelli meno abbienti avranno diritto ad un aumento del supplemento di reddito garantito e l’età pensionabile scende da 67 a 65 anni.
• AMBIENTE – 2,9 miliardi in 5 anni.
Altri provvedimenti significativi: stanziati 36,1 miliardi di trasferimenti per la sanità, di cui 8,3 al Québec; 17,9 miliardi in perequazioni, di cui 10 al Québec; 21.1 miliardi per l’assicurazione-lavoro dei disoccupati (tempi di attesa ridotti da due a una settimana) e ristabilito il credito d’imposta del 15% sugli investimenti dei fondi dei lavoratori, come il ‘Fonds de solidarieté FTQ’ o il ‘Fonds Fondaction de la CSN; la base imponibile delle piccole e medie imprese scende dall’11 al 10,5%; credito d’imposta fino a 150 $ all’anno per le insegnanti nell’acquisto di materiale didattico; credito per gli studenti fino a 850 $ all’anno; borse di studio potenziate del 50% per studenti di scuole post-secondarie con reddito debole/medio.
OPPOSIZIONI ALL’ATTACCO – Per la leader dei Conservatori, Rona Ambrose, “il deficit di 29 miliardi è imprudente e sarà un incubo per i contribuenti”. Secondo Thomas Mulcair, “questo budget non offre il cambiamento promesso di ridurre la distanza tra i ricchi e la maggioranza dei canadesi”, mentre per Rhéal Fortin, leader del Bloc québécois, “il budget è nefasto per il Québec”.
Primi 100 giorni:
Trudeau non delude le atteseIL PUNTO di Vittorio Giordano
La ‘Trudomania’ non accenna a placarsi. Continua la luna di miele tra il Primo Ministro Justin Trudeau e i cittadini/elettori canadesi: il colpo di fulmine dello scorso 19 ottobre non è stata una semplice infatuazione, una passione ‘infuocata’ e irragionevole, irrefrenabile ma di breve durata, ma l’inizio di una storia d’amore che ha radici profonde e sembra destinata a durare a lungo. In parte anche di riflesso, per eccesso di antipatia per il governo Harper: era così tanta la voglia di voltare pagina, che Trudeau gode di un credito enorme (anche se non infinito). La popolarità del governo liberale, infatti, continua a crescere a quattro mesi dal voto che ha sancito un cambio radicale dopo i circa 10 anni ininterrotti di ‘regno’ conservatore. A certificarlo due sondaggi identici: quello condotto da Léger, tra il 1º ed il 4 febbraio, e pubblicato da ‘Le Devoir’, secondo cui il sostegno attraverso il Paese sarebbe del 49%; e quello realizzato il 16 e 17 febbraio dall’istituto Forum Research, e pubblicato dal ‘Toronto Star’, secondo cui oggi gli elettori accorderebbero, appunto, il 49% dei consensi al Partito Liberale. Ovvero: il 10% in più di quanto già fatto in occasione degli scrutini di ottobre. Con 22 punti percentuali di vantaggio sui Conservatori e addirittura 34 sui Neodemocratici. Due istituti di statistica diversi (e spesso in competizione tra loro), che hanno ‘partorito’ lo stesso risultato. A scanso di equivoci. Una popolarità quasi ‘bulgara’ per Justin Trudeau: dopo 100 giorni di governo, i Liberali viaggiano col vento in poppa. Merito soprattutto delle promesse mantenute: a tempo di record, infatti, Justin Trudeau sta trasformando in provvedimenti legislativi tutti gli impegni presi in campagna elettorale. Anche quelli meno ‘attraenti’, come il rosso di bilancio già quantificato in almeno 18.4 miliardi di dollari per il biennio 2016/2017 (rispetto ai 10 preventivati). Un ‘male necessario’, una pillola indigesta da prendere col naso turato per rilanciare l’economia attraverso massicci investimenti in infrastrutture e misure fiscali a favore della classe media. Una scommessa che l’opinione pubblica ha già ‘sposato’ senza colpo ferire. Un’agenda fitta di impegni, quella del governo, che nell’ultima settimana è stata scandita da due importanti ‘colpi messi a segno’: l’ultimo rifugiato siriano, dei 25 mila previsti, è stato accolto in Canada il 27 febbraio scorso, mentre il Ministro dell’Immigrazione John McCallum ha depositato giovedì scorso una nuova legge sulla cittadinanza che abroga quella recentemente adottata dal Harper (la legge C-24. Senza dimenticare il ritorno al formulario obbligatorio lungo per il censimento del 2026, la fine dei raid aerei in Iraq e Siria, il dialogo con le Province e l’apertura alla commercializzazione della marijuana. Intendiamoci: spesso si tratta di roboanti annunci (anche se resi più appetibili dai crismi dell’ufficialità), non sono mancati gli scivoloni (come la reazione blanda all’indomani degli attentati a Parigi e in Burkina Faso che sono costati la vita a 6 quebecchesi o i ripetuti selfie da ‘sex-symbol’ in diversi summit internazionali) e le decisioni sulle questioni più spinone (come l’oleodotto Énergie Est) tardano ad arrivare. Prima o poi il governo dovrà esporsi e prendere decisioni anche scomode e impopolari ma utili per il futuro del Paese. In generale, però, è lo ‘stile Trudeau’ tout court ad aver fatto breccia nel cuore dei canadesi: a partire dalla scelta di un governo con più donne, più autoctoni, più esponenti delle regioni e ‘figli’ del multiculturalismo; un esecutivo più aperto, trasparente e all’ascolto. Una rivoluzione culturale. Piace il tono ottimistico, la freschezza e l’entusiasmo che caratterizza tutte le uscite pubbliche dei Ministri e del Primo Ministro. Naturalmente la politica non è solo annunci in pompa magna, sorrisi a 36 denti, occhiolini e strette di mano: il 22 marzo il governo depositerà la prima manovra finanziaria. Sarà la prova del fuoco per un esecutivo che da 4 mesi vola sulle ali dell’entusiasmo. Le scelte, concrete e circostanziate, condizioneranno per forza di cosa la vita quotidiana dei cittadini. E potranno alimentare una ‘Trudomania’ chiamata a dimostrare, una volta per tutte, di non essere solo un fuoco di paglia, ma amore a prima vista: quello vero e senza compromessi.
Economia e terrorismo:
Trudeau alla prova dei fattiIL PUNTO di Vittorio Giordano
La sbornia post-vittoria elettorale è finita. Dopo il pieno di voti incassato alle elezioni del 19 ottobre (che ha schiantato Harper e ridicolizzato Mulcair) e il ‘Discorso del trono’ del 4 dicembre con i punti-chiave dell’azione di governo decantati ‘urbi et orbi’, lunedì scorso il governo liberale guidato da Justin Trudeau è tornato al lavoro con la riapertura ufficiale della sessione parlamentare (dopo 6 settimane di ferie). Un Parlamento ‘amico’, vista la schiacciante maggioranza di cui gode l’esecutivo, che quindi non avrà nessun problema a tradurre in leggi i ‘desiderata’ del Primo Ministro. L’opposizione, infatti, non ha né i numeri né la leadeship per opporsi in maniera efficace e continuativa. La strada, dunque, è più che mai spianata e in discesa. Il governo, inoltre, gode ancora di uno straordinario consenso popolare: la luna di miele con l’opinione pubblica continua.
Eppure nulla è scontato, soprattutto alla luce della congiuntura internazionale deficitaria. Due i fronti caldi su cui il governo è chiamato ad esporsi con provvedimenti risolutori: l’economia, che non accenna a ripartire, complice anche il prezzo del petrolio in caduta libera, e il mercato del lavoro che arranca; e la lotta al terrorismo internazionale, dopo la morte di 7 canadesi negli attentati in Indonesia e Burkina Faso, e la scelta di interrompere i raid aerei in Siria ed Iraq. Sull’economia, la strategia di fondo è confermata: nonostante il petrolio ai minimi storici e il dollaro debole, il Ministro delle Finanze, Bill Morneau, resta fermo sulla posizione di iniettare 60 miliardi in 10 anni (di cui 20 nei prossimi 2, la metà dei quali proveniente dal “Nuovo Fondo Cantieri Canada” creato dai conservatori) a favore di un’articolata serie di interventi infrastrutturali. Un investimento rischioso e massiccio, una ‘cura da cavallo’ per far ripartire un’economia in stallo, che non esclude un piano di sgravi fiscali a favore della classe media, che costeranno alle casse dello stato tra i 1.2 ed i 1.7 miliardi. Per un budget che non potrà prescindere da un deficit di almeno 10 miliardi di dollari (e sarà così fino al 2020, quando è previsto il ritorno all’equilibrio di bilancio). Insomma, basta austerità: lo Stato torna protagonista. Trudeau vincerà la sua scommessa se saprà diversificare le entrate dello Stato (che non può dipendere solo dalle risorse naturali, in un sistema sempre più competitivo e globalizzato), ma soprattutto se saprà investire sul futuro. “La crescita e la prosperità – ha dichiarato recentemente Trudeau, a Davos – non sono legate soltanto da ciò che si trova sotto i nostri piedi, ma soprattutto a ciò che si trova tra le nostre orecchie”: un esplicito richiamo a settori strategici come la robotica, le biotecnologie ed un’economia a bassa emissione di carbonio. Una scelta coraggiosa, che potrebbe rivelarsi decisiva nel lungo periodo. I liberali, poi, dovranno fare chiarezza sul ruolo che riveste il Canada nella lotta al terrorismo internazionale: l’annuncio di Trudeau di rititare i CF-18 dalle missioni sui cieli di Iraq e Siria (che però di fatto continueranno almeno fino al 30 marzo, quando scadrà il mandato votato dal precedente Parlamento) non mette al riparo il Paese dalla furia sanguinaria di matrice islamica, come dimostrano i recenti attacchi che sono costati la vita ad alcuni connazionali; ma soprattutto rimette in discussione il peso geo-politico del Canada stesso, visto che il Ministro della Difesa Harjit Sajjan è stato escluso dal summit dei principali Paesi (Francia, Usa, Australia, Germania, Italia, Regno Unito e Paesi Bassi) impegnati a combattere l’organizzazione jihadista dell’Isis. L’obiettivo di Trudeau è quello di disimpegnare militarmente il Canada, rafforzandone il ruolo umanitario e diplomatico. In un mondo perfetto sarebbe la scelta preferibile, ma, considerata la virulenza di un terrorismo fondamentalista globale, forse gli alleati occidentali si aspettano un Canada più interventista e meno buonista. A economia e terrorismo, poi, si aggiungono sfide altrettanto spinose come l’adozione di una legge per inquadrare l’eutanasia, l’accoglienza di altri 12 mila rifugiati (su 25 mila in totale), la legalizzazione della marijuana, la consegna a domicilio della posta, la revisione del modello di finanziamento del sistema sanitario, la riforma del sistema elettorale, la gestione dei cambiamenti climatici (con la riduzione dei gas a effetto serra) e la modifica della Legge sulla Cittadinanza “a due velocità”. Le aspettative sono alte: per Trudeau è già tempo di risposte.
Justin Trudeau,
il 4 novembre il nuovo governoOttawa – Vinte le elezioni con una larga maggioranza (184 i deputati eletti, di cui 40 in Québec, 80 in Ontario, con il 54.4% dei voti in tutto il Paese), per Justin Trudeau sono ore febbrili: entro il 4 novembre, infatti, scioglierà le riserve comunicando i nomi dei Ministri del nuovo governo. Sarà un esecutivo più snello di quello conservatore, che rispetterà la parità tra uomini e donne (su 338 eletti, 88 sono espressione del gentil sesso, ovvero il 26%, uno in più rispetto allo scorso Parlamento), terrà conto della rappresentatività regionale e provinciale, accoglierà qualche autoctono ed un numero significativo di francofoni, oltre a rappresentare il giusto equilibrio tra esperienza e rinnovamento. Tra i nuovi eletti anche 12 “italiani”, undici Liberali ed una Conservatrice: Anthony Rota, Marco Mendicino, Francesco Sorbara, Judy Sgro, Filomena Tassi, Mike Bossio, Nicola Di Iorio, Angelo Iacono, Joe Peschisolido, David Lametti, Francis Scarpaleggia e Karen Louise Vecchio. Secondo gli analisiti, il nuovo esecutivo sarà formato da una trentina di Ministri, di cui 6-7 saranno del Québec. Tra i papabili ‘quebecchesi’, circolano i nomi di Marc Garneau, ex astronauta e deputato eletto a Notre-Dame-de-Grâce-Westmount, candidato forte per gli Esteri; Stéphane Dion (Saint-Laurent), in vantaggio per l’Ambiente; Denis Paradis (Brome-Missisquoi) e Pablo Rodriguez (Honoré-Mercier), già presidente del caucus del Québec; Mélanie Joly, che nel collegio di Ahuntsic-Cartierville ha scalzato Maria Mourani; Anthony Housefather, ex sindaco del Municipio di Côte-Saint-Luc; l’avvocato Nicola Di Iorio, eletto a Saint Léonard/Saint Michel con 28.826, il risultato migliore in tutto il Québec; l’economista Jean-Yves Duclos (Québec), William Amos (Pontiac), avvocato specializzato in diritto dell’ambiente e l’uomo d’affari Francois-Philippe Champagne (Saint-Maurice/Champlain). Per quanto riguarda l’Ontario, i nomi più gettonati sono quelli di Bill Blair (Scarborough-Sud-Ouest), ex capo della Polizia di Toronto, ed Andrew Leslie (Orléans), capo di stato maggiore che ha guidato le truppe in Afghanistan. E ancora: Chrystia Freeland (University-Rosedale), portavoce liberale per il commercio internazionale; Bill Morneau (Toronto-Centre) e Catherine McKenna (Ottawa-Centre). Per il resto del Canada: l’ex Ministro delle finanze Ralph Goodale (Regina-Wascana, Saskatchewan), l’ex procuratore della Corona Jody Wilson-Raybould (Vancouver-Granville), la donna d’affari Joyce Murray (Vancouver Quadra), l’avvocato Kent Hehr (Calgary-Centre), il presidente del caucus dell’Atlantico Dominic Leblanc (Beauséjour, Nouveau-Brunswick) e l’ex Ministro dei lavori Pubblici Scott Brison (Kings-Hants, Nouvelle-Écosse). Il tempo stringe e le responsabiità di Primo Ministro incombono: Trudeau deve scegliere al più presto i suoi uomini di fiducia, deve essere legittimato dal Parlamento, e quindi, nella pienezza dei suoi poteri, partecipare ad una serie di appuntamenti internazionali: il G20 in Turchia il 15 e 16 novembre; il summit dei leader del Pacifico il 18 e 19; ed il meeting dei capi di governo del Commonwealth il 27 e 29 a Malta. Quindi la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici dal 30 novembre all’11 dicembre a Parigi, che sarà anticipato da un incontro con i Premier delle Province, per elaborare un piano comune sulla riduzione delle emissioni di carbone. Per finire con il tradizionale “Discorso del Trono” prima di Natale, necessario per aprire una nuova sessione parlamentare. Sessione che sarà chiamata ad affrontare temi strategici su cui Trudeau ha costruito la sua campagna elettorale: l’abbassamento dell’aliquota dal 22% al 20.5% per le famiglie con un reddito tra i 44.700 $ e 89.400 $; i massicci investimenti sulle infrastrutture, a scapito del pareggio di bilancio; la commissione d’inchiesta sulle donne autoctone scomparse; e l’accoglimento di 25 mila profughi siriani entro Natale. Grandi sfide, che potranno lasciare il segno, plasmando il Canada del futuro. (V.G.)
Con Trudeau il Québec torna al governo
IL PUNTO di Vittorio Giordano
Justin Trudeau che, di prima mattina, stringe le mani agli utenti della metro: il primo gesto pubblico del neo Primo Ministro, all’indomani della schiacciante vittoria elettorale, descrive perfettamente il personaggio (sempre sorridente, affabile e disponibile); ma soprattutto sintetizza il nuovo paradigma culturale, la piattaforma programmatica e l’ideologia politica alla base del futuro governo liberale. Un governo “cool&friendly”, lontano anni luce da quello – serioso, impaurito e ossessionato dai conti – del suo predecessore. Trudeau ha stravinto proprio per la sua carica emotiva, la sua umanità gioviale e la promessa di un Canada più simpatico, giusto e accogliente. Si è rivolto ai cuori degli elettori, accapparandosene sogni ed emozioni. La giusta valvola di sfogo, dopo 9 anni fin troppo freddi e razionali, dominati da calcoli finanziari decisamente invasivi, da una concezione quasi asfissiante della sicurezza e da un interventismo militare schiacciato sugli Usa. Ha vinto la nostalgia per altri tempi, quelli dei grandi progetti pubblici, della ridistribuzione fiscale, dellla giustizia sociale e della politica estera conciliante. La speranza di un futuro: questa, in sintesi, la ricetta vincente di Trudeau, che ha colpito nel segno. I canadesi, sferzati dal grigiore dell’austerità, gli hanno consegnato le chiavi del Paese. Una scommessa, a dispetto dei rischi di un leader che i detrattori giudicano ancora acerbo, inesperto e a tratti visionario. Per lui, invece, è arrivata un’investitura piena e convinta, che segna l’avvio di una vera e propria Trudomania 2.0. Per il Canada moderno si apre una nuova epoca, con il Québec più che mai protagonista della nuova legislatura. “Il Québec ha scelto di tornare al potere”, ha detto il nuovo Premier a caldo. È vero: con la sua campagna elettorale propositiva e “positiva”, Trudeau ha spento sul nascere ogni forza divisiva, restituendo alla Belle Province il ‘posto al sole’ che merita. E così, dopo 20 anni di ‘esilio volontario’ nello strenuo tentativo di ribadire la propria diversità (prima rifugiandosi nelle fila del Bloc e poi dell’NDP), i quebecchesi hanno ritrovato l’entusiasmo federalista, esprimendo un voto a favore e non contro, ‘sposando’, cioè, il nuovo corso liberale (con 40 deputati rispetto ai 7 di 4 anni fa). Solo 10, infatti, i seggi conquistati dal Bloc, quasi per inerzia, nelle tradizionali (e ultime) roccaforti, ormai svuotate, anch’esse, della forza propulsiva indipendentista, sempre più percepito come un retaggio di un passato lontano. Lo stesso Gilles Duceppe ha fatto il suo tempo: non eletto nel suo collegio, ha tolto il disturbo. Dal canto suo, l’NDP di Mulcair non ha saputo capitalizzare il vantaggio che tutti i sondaggi gli accordavano agli inizi della campagna elettorale: tornerà a ricoprire il ruolo marginale che ha preceduto il miracolo arancione di Jack Layton nel 2011. Con la speranza che possa rigenerarsi, perché questo Paese ha bisogno di un’opposizione social-democratica forte per un buon equilibrio nella gestione della ‘res pubblica’. Il futuro è federalista e, soprattutto, rosso liberale, con deputati di peso come Stéphane Dion, Mélanie Joly, Pablo Rodríguez, Marc Miller, Nicola Di Iorio e Anthony Housefather: destinati a concorrere per la formazione del nuovo governo. Bisogna tornare agli inizi degli anni ’80 (con Trudeau padre, più che Mulroney, al potere) per ritrovare un Partito Liberale così popolare tra i francofoni della Belle Province, sia in termini di voti che di seggi. Più in generale, alla luce dell’ultimo voto federale, il peso politico dell’ovest viene ridimensionato, soprattutto quello dell’Alberta e dello Saskatchewan, a favore dell’Ontario e del Québec. L’ago della bilancia del governo si sposta più al centro del Paese, verso l’Atlantico. Più ‘vicino’ all’Europa, più ‘lontano’ dagli Stati Uniti. Nello stile, nei toni e negli atteggiamenti. Con il multiculturalismo della Belle Province a fare da stella polare di quella che, in molti, hanno già battezzato come l’era Trudeau.
Justin Trudeau Primo Ministro del Canada
Ottawa – Dopo 9 anni di governo conservatore (Stephen Harper è stato eletto per la prima volta il 6 febbraio del 2006) e 78 giorni di estenuante campagna elettorale, lunedì 19 ottobre i Canadesi hanno deciso di cambiare, affidando al Partito Liberale la guida del Paese: il leader del partito, Justin Trudeau, diventa così il 23º Primo Ministro del Canada. Nato il 25 dicembre del 1971, 43 anni, laureato in Letteratura inglese e Insegnamento, Trudeau è sposato con Sophie Grégoire, con la quale ha messo al mondo due figli e una figlia. Dopo essere sceso in campo 2 anni e mezzo fa (era l’aprile del 2003 quando prendeva le redini del partito), Trudeau – rieletto nel distretto montrealese di Papineau con 26.294 preferenze – sarà alla guida di un governo liberale maggioritario. Seguendo, 31 anni dopo, le orme del padre, Pierre Elliott Trudeau, 15º Primo Ministro del Canada dall’Aprile del 1968 al giugno del 1979, e ancora dal marzo del 1980 al giugno del 1984. Ad Harper sarebbe spettata la guida dell’opposizione ufficiale, ma il leader conservatore, che ha interpretato il voto come un referendum (negativo) sulla sua azione di governo, ha preferito lasciare la direzione del partito. Anche se per il momento resta in Parlamento come deputato. Disfatta per l’NDP di Thomas Mulcair: a tradirlo è stato proprio il Québec, che nel 2011 gli aveva regalato ben 59 seggi su 75. Una vera e propria “ondata arancione”, che 4 anni dopo si è trasformata in una “marea rossa”. In totale sono stati 1791 i candidati che si sono sfidati per aggiudicarsi i 338 seggi in Parlamento (170 sono quindi sufficienti per la maggioranza assoluta). Per queste elezioni, in base agli ultimi dati del censimento, i seggi sono stati ‘espressi’ dalle 10 Province e dai 3 Territori, con questi numeri: British Columbia 42, Alberta 34, Saskatchewan 14, Manitoba 14,Ontario 121, Quebec 78, New Brunswick 10, Nova Scotia 11, Prince Edward Island 4,Newfoundland and Labrador 7, Yukon 1, Northwest Territories 1 e Nunavut 1. E questi i risultati (aggiornati all’1 di notte) che certificano la nascita di un governo liberale maggioritario: 184 seggi per il PLC (39.5%), 99 seggi per il PCC (32%), 44 seggi per l’NDP (19.6%), 10 seggi per il Bloc Québecois (4.7%) e 1 seggio per il Partito Verde (3.4%). Tra gli sconfitti “italiani” anche Julian Fantino (PCC), Viceministro della Difesa nazionale, battuto nel distretto di Vaughan-Woodbridge. Trudeau ha vinto nelle Province Atlantiche, in molti distretti del Québec, in alcuni centri urbani dell’Ontario ed anche in importanti roccaforti conservatrici in Alberta. Sconfitto il leader blocchista, Gilles Duceppe, superato dalla neodemocratica Hélène Laverdière nel distretto di Laurier-Sainte-Marie. Rieletto, invece, il leader del Nuovo Partito Democratico, Thomas Mulcair, che è riuscito ad imporsi nel distretto di Outremont, nonostante una lotta molto serrata. (V.G.)