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  • Paghiamo le colpe dei nostri politici

    Paghiamo le colpe dei nostri politici

    IL PUNTO di Vittorio Giordano

    Siamo tra i più vaccinati al mondo, eppure subiamo misure restrittive, drastiche e severe, perché mancano posti-letto ed il personale medico è inadeguato

    Potremmo chiamarlo il paradosso quebecchese. Il 90% della popolazione (dai 5 anni in su) del Québec ha ricevuto almeno una dose di vaccino contro il Covid-19, l’83% ben 2 dosi ed il 40% addirittura 3 dosi (a ritmo di 100 mila nuove somministrazioni giornaliere). La stragrande maggioranza dei Quebecchesi ha seguito alla lettera le consegne del Governo, ha fatto quadrato intorno alle sue Istituzioni e si è fidata ciecamente della Scienza. Tutti ci siamo vaccinati di corsa, perché ci è stato spiegato che, grazie al siero scoperto in tempi record ed al passaporto vaccinale, saremmo potuti tornare ad una certa “normalità”. Ci abbiamo creduto, salvo ritrovarci prigionieri di un problema strutturale e congenito più grande di un virus subdolo e viscido. Ci sentiamo, a ragione, presi in giro, delusi e frustrati. La crisi sanitaria si è trasformata in crisi piscologica, sociale ed economica. Oggi, in Québec, nonostante il tasso altissimo di bi e tri-vaccinati, restano ancora chiusi bar, ristoranti, cinema, teatri, palestre, spa, stadi, chiese; sono vietati gli sport di squadra al chiuso e gli assembramenti sono limitati agli occupanti della stessa residenza. Stiamo pagando un prezzo altissimo. E questo perché siamo tutti vittime dell’inazione e della miopia della classe dirigente al potere negli ultimi 30 anni. La popolazione del Québec, tra le più vaccinate al mondo, continua a subire misure restrittive drastiche e severe perché mancano ospedali ed il personale medico è inadeguato. Ecco la verità. Il Covid-19 è stato solo l’ultima goccia che ha fatto traboccare il vaso. Come ha certificato recentemente la Commissaria alla Salute del Québec: “Non eravamo pronti ad affrontare la pandemia”. Un’accusa pesante, a cui il Primo Ministro Legault ha risposto annunciando “un piano di rifondazione del sistema sanitario”. L’ennesimo annuncio. Come troppo spesso hanno già fatto i suoi predecessori. Un sistema sanitario fragile e carente, messo a nudo dall’esplosione dei ricoveri, causati prima dalla variante Delta e poi da quella Omicron. I fatti sono sotto gli occhi di tutti. Secondo uno studio pubblicato da ‘La Presse’, sulla base dei dati combinati dell’Università di Oxford, dell’OCSE, del Ministero della Salute del Québec e dell’Istituto canadese d’informazione sulla salute, tra i Paesi del G7, il Québec è uno dei posti in cui il Covid ha avuto un impatto maggiore sul sistema sanitario. Attualmente, i pazienti positivi occupano il 21% dei posti-letto disponibili, rispetto al

    4% in Germania, al 7% in Francia, all’11% nel resto del Canada ed in Italia, al 12% nel Regno Unito ed in Spagna, al 13% in Ontario, al 16% negli Stati Uniti. E questo perché la capacità ospedaliera del Québec è decisamente inferiore a quella del resto del mondo. La provincia francofona, infatti, ha 1.865 letti per milione di abitanti, contro i 2.500 del Canada, i 3.200 dell’Italia, i 5.800 della Francia, i 7.900 della Germania, i 12.400 della Corea del Sud ed i 12.800 del Giappone. C’è poco da aggiungere. “Tutto ciò dimostra che non abbiamo alcuno spazio di manovra: non possiamo permetterci che il virus circoli come in altri Paesi”, ha commentato l’epidemiologo Benoît Mâsse, professore all’Université de Montréal. Il problema è antico. In un rapporto sulle prestazioni del sistema sanitario pubblicato nel 2016, il Commissario per la Salute e il Welfare (CSBE) aveva sottolineato che, nei 20 anni precedenti, cioè dal 1996 in poi, il numero dei posti letto era diminuito costantemente, senza che i servizi ambulatoriali, che avrebbero dovuto fare da contrappeso, fossero stati potenziati. La colpa, dunque, è dei governi Legault, Couillard, Marois, Charest, Landry e Bouchard. Nessuno escluso. A Legault, oggi, non chiediamo di costruire un ospedale in 10 giorni come ha fatto la Cina, ma in 10 giorni il Primo Ministro può preparare un piano decennale di rilancio del servizio sanitario pubblico. Costruendo nuovi ospedali, migliorando le condizioni di lavoro dei medici e degli infermieri, con posti fissi e salari più competitivi (come in Ontario), e specificando, già nel prossimo decreto flussi, che una quota importante degli immigrati ammessi in Québec (nel 2022 sono 70.500) abbia una Laurea in Medicina o in Scienze Infermieristiche. Ci sarebbe la fila. Ed i nostri figli e nipoti ci ringrazierebbero.

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  • Basta promesse: contano solo i fatti

    Basta promesse: contano solo i fatti

    IL PUNTO di Vittorio Giordano

    Italiani internati a Petawawa durante la Seconda Guerra mondiale

    “Tutto bene quel che finisce bene” o “Meglio tardi che mai”: così avremmo voluto commentare – ad una prima lettura semplicistica, superficiale e romantica – la decisione del Primo Ministro Justin Trudeau di scusarsi ufficialmente con gli Italo-Canadesi internati durante la seconda Guerra Mondiale. A chiudere il cerchio non poteva che essere un Premier liberale, visto che fu proprio un esponente del PLC, il Primo Ministro William Lyon Mackenzie King, ad autorizzare gli arresti indiscriminati nel 1940, quando circa 700 connazionali furono rinchiusi in veri e propri campi di concentramento come quello di Petawawa, in Ontario. In tutto il Paese, circa 31 mila Italo-Canadesi finirono sotto la stretta sorveglianza della Gendarmeria Reale del Canada (RCMP), perché “stranieri nemici”. Senza uno straccio di accusa, senza un processo e, ovviamente, senza una condanna. Colpevoli, loro malgrado, di essere di origine italiana. Salvo, poi, essere liberati senza scuse e senza un risarcimento per i beni confiscati. Ben venga, dunque, la decisione di “lavare”, una volta per tutte, l’onta della deportazione, saldando un debito con la storia e rimarginando una ferita mai completamente cicatrizzata. Già nel 1990, il Primo Ministro conservatore Brian Mulroney aveva presentato le scuse pubbliche ai “compagni canadesi di origine italiana” per il trattamento “abusivo, ingiusto ed illegale” subìto ad opera della polizia federale. Ma lo aveva fatto in occasione della biennale del Congresso nazionale degli italo-canadesi a Toronto. Scuse solenni, ma pronunciate senza il sigillo istituzionale della cornice parlamentare. Nel 2010 ci ha provato l’ex deputato di St-Léonard/St-Michel, Massimo Pacetti, con la proposta di legge C-302, che però, dopo essere stata approvata alla Camera, è stata insabbiata al Senato. Nel 2013 il Comune di Montréal ha aperto un solco, proclamando il 10 giugno come “giornata ufficiale della commemorazione dell’internamento dei membri della Comunità italiana”. Lo scorso settembre, poi, la RCMP ha espresso ufficialmente il suo “rammarico” con una cerimonia a Ottawa, che si è conclusa con la piantagione di un acero  in memoria degli internati italo-canadesi. Ora è stato annunciato l’ultimo tassello, quello più atteso, quello definitivo: le scuse ufficiali del governo federale in Parlamento. Per riscattare definitivamente una pagina nera della storia canadese. Come il governo Trudeau ha già fatto per altre Comunità etniche ingiustamente discriminate. Un’attesa durata 14 anni: la prima richiesta di scuse formali risale al 2005, sottoscritta da 4 organismi comunitari: il Congresso Nazionale Italo-Canadese, la Fondazione Comunitaria Italo-Canadese, la Federazione nazionale della CIBPA e l’Ordine Figli d’Italia. Qualche segnale di apertura si era intravisto già lo scorso dicembre: prima con la richiesta esplicita dell’ex deputato Nicola Di Iorio alla Camera dei Comuni; poi con l’annuncio del presidente del Congresso, l’avv. Tony Sciascia, in occasione del tradizionale cocktail di Natale: “Abbiamo chiesto al Primo Ministro Trudeau le scuse per l’internamento ed un risarcimento che servirà ad aprire 3 Centri Studi a Montréal, Toronto e Vancouver”. Venerdì 14 giugno la svolta, con il leader liberale che ha promesso di scusarsi ufficialmente in Parlamento. Ma non subito: dopo le elezioni del 21 ottobre. Dando per scontato la rielezione, nonostante gli ultimi sondaggi lo diano in ritardo di 8/10 punti dai Conservatori. Tralasciando la “formalità” della rielezione, in politica la tempistica dei provvedimenti non rappresenta un orpello formale e accessorio, ma un particolare sostanziale e decisivo. Siamo certi che protocolli e cerimoniali rendano quasi impossibile questo tipo di evento solenne già nei prossimi 120 giorni, tra pausa estiva e campagna elettorale. Ma perché ridursi agli ultimi mesi dopo una legislatura di 4 anni, sostenuta da un’ampia e solida maggioranza? E allora, come direbbe Giulio Andreotti: “A pensar male si fa peccato, ma molto spesso ci si azzecca”. “La domanda sorge spontanea”, aggiungerebbe Antonio Lubrano: non è che per caso Trudeau sta cercando di ingolosire gli italo-canadesi con una promessa d’effetto per compiacerli ed ottenere in cambio il voto di una Comunità la cui lealtà non sembra più granitica come una volta? La tempistica di queste scuse post-datate agli italo-canadesi non ci convincono e puzzano di ‘do-ut-des’ elettorale. Guai, però, a giocare con le emozioni di famiglie che hanno subìto l’onta della discriminazione, il disonore della rovina, l’infamia del pregiudizio! Ogni promessa è debito e noi vogliamo prenderLa in parola, egregio Primo Ministro. Facendo finta che il 21 ottobre sia un lunedì qualsiasi.

    Ma si ricordi che il sostegno della Comunità italo-canadese non è più scontato, ma va conquistato e meritato. Con i fatti. Le promesse non bastano più. Soprattutto alla vigilia delle elezioni. Perché, come diceva il grande Totò: “Cca nisciuno è fesso!”.

    Trudeau: scuse agli Italo-Canadesi

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  • La Comunità italo-canadese ormai è adulta

    La Comunità italo-canadese ormai è adulta

    IL PUNTO di Vittorio Giordano

    In occasione delle primarie del Partito liberale del Canada nella circoscrizione di St-Léonard/St-Michel, tra le più “italiane” del Canada, la Comunità italo-canadese ha subìto una sconfitta storica. Inutile cercare alibi o giustificazioni esterne: il primo errore, imperdonabile, è stato quello di esprimere due candidature. In questo modo, il voto italo-canadese si è diviso, favorendo il terzo candidato, votato in blocco dalla Comunità araba di Montréal. Tra i due litiganti, ha goduto il terzo ‘incomodo’, scaltro nell’approfittare delle divisioni della nostra Comunità, per dare scacco matto ed aggiudicarsi una contea appannaggio degli italo-canadesi dal 1984. Erano 35 anni, infatti, che la Comunità italiana esprimeva un candidato, poi puntualmente eletto alle elezioni federali. La circoscrizione di Saint-Léonard/St-Michel è sempre una roccaforte liberale (anche grazie anche al voto italo-canadese) dalla sua costituzione nel 1984 ed è stata rappresentata negli anni da Alfonso Gagliano, Massimo Pacetti e Nicola Di Iorio. Detto questo, se la Comunità italo-canadese si è data la zappa sui piedi, il Partito Liberale non è apparso super-partes. In primo luogo, non ha controllato che tutte le persone in fila fossero effettivamente registrate e avessero perciò ‘diritto di voto’. Non sono da escludere a priori, infatti, strategie ostruzionistiche di chi si è messo in fila al solo scopo di rallentare le procedure di voto. In secondo luogo, il partito liberale non ha trattato allo stesso modo due fasce sociali deboli, come le mamme e gli anziani: a causa dei bambini piccoli, molte mamme, spesso accompagnate da coniugi e familiari, hanno potuto usufruire di una ‘corsia preferenziale’, mentre molti anziani, sia uomini che donne, sono stati costretti a fare la fila senza che il partito, tanto comprensivo e accomodante con le mamme, si scomodasse per fornire loro una sedia. Una disparità di trattamento clamorosa. Tanto che molti anziani, stanchi e affaticati dall’estenuante attesa, hanno alzato bandiera bianca rinunciando ad un loro legittimo diritto. Tra coloro che sono riusciti ad arrivare alle urne, in molti sono stati respinti perché non erano in possesso di un documento d’identità munito di fotografia. Ignorando – ci auguriamo in buona fede – che molti anziani con più di 75 anni, come prevede la legge provinciale, non sono tenuti ad avere una foto sulla loro carta malattia. La cosa più grave, però, è che il partito ha convocato i membri iscritti al partito entro il 30 aprile soltanto via email, ‘discriminando’ di fatto chi non era in possesso di un indirizzo di posta elettronica. In questo modo, infatti, in molti non hanno saputo in tempo delle primarie e in tanti non hanno potuto conoscere la normativa che disciplina la partecipazione al voto delle primarie liberali. Ora gli italiani, delusi dal Partito Liberale che hanno sempre votato ‘a prescindere’, hanno due possibilità per esprimere il loro malcontento alle elezioni federali del 21 ottobre: disertare le urne, oppure votare in blocco per l’unico candidato italiano (ad oggi) in lizza, ovvero Ilario Maiolo del Partito Conservatore. La sensazione è che, dopo decenni di convinta militanza e ossequiosa lealtà, gli italo-canadesi siano pronti a voltare le spalle al Partito Liberale optando per un candidato che parla la loro stessa lingua e condivide la loro stessa storia e cultura. In questo modo la Comunità Italiana dimostrerebbe di essersi emancipata, di essere diventata ‘adulta’, recidendo il cordone ombelicale con un partito che ha commesso l’imperdonabile errore di dare per scontato, acquisito e sicuro il suo prezioso voto. Che magari, il 19 ottobre, sarà decisivo.

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  • A Pasqua riscopriamo noi stessi!

    A Pasqua riscopriamo noi stessi!

    IL PUNTO di Vittorio Giordano

    Nell’epoca dell’eterno presente, che rinnega il passato e ignora il futuro, con l’idolatria post-moderna del relativismo assoluto a spadroneggiare, la Santa Pasqua rappresenta l’occasione ideale per riscoprire i valori Cristiani che hanno plasmato l’identità occidentale, forgiandone il patrimonio storico-socio-culturale. Valori che negli ultimi decenni sono diventati sempre più scomodi e obsoleti, fuori moda, quasi anacronistici. Col risultato che oggi viviamo in una società senza spina dorsale, senza punti cardinali, senza bussola, con certezze ‘prêt-à-porter’. Dove è vero tutto e il contrario di tutto. Per il trionfo dell’individualismo più egoista e del consumismo più vorace. È la deriva dell’Illuminismo e della Religione dei Lumi, che, con il pretesto di risvegliare l’uomo dal torpore oscurantista della fede, ha aperto la strada al fanatismo della Ragione, in cui hanno trovato terreno fertile sistemi totalitari come nazismo, fascismo e comunismo, tre piaghe che hanno insanguinato la prima metà del Novecento. “Religioni” laiche che hanno conquistato i cuori e le menti di milioni di persone. Ma che hanno fallito. Costringendo l’occidente ad abbracciare nuove fedi “alternative”: egualitarismo, democratismo, capitalismo, femminismo, ambientalismo e mondialismo. Eppure, a tutte queste manca quello che il Cristianesimo offre all’uomo: uno scopo per cui vivere e per cui morire, ed anche un codice morale ‘con cui vivere’ – con la promessa che, alla fine di una vita vissuta secondo quel codice, c’è la vita eterna. “Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa’, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare qua e là da qualsiasi vento di dottrina, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio ‘Io’ e le sue voglie”. Così parlava il 18 aprile del 2005 il Cardinale Joseph Ratzinger, pronunciando l’ultima omelia da porporato. Coraggiosamente, Papa Benedetto XVI ha denunciato i tentativi di scristianizzazione della società, tra i quali la negazione del riconoscimento delle radici cristiane dell’Europa e della civiltà occidentale. Il punto è che il Cristianesimo non è solo un credo religioso, con i suoi dogmi, i suoi riti ed i suoi precetti, ma, in quanto religione rivelata che è entrata nella storia dialogando con l’uomo, incarna la base della nostra etica sociale. Un’etica che ha messo al centro della sua dottrina la dignità dell’uomo nel contesto sociale attraverso principi come libertà, carità, pace e libero arbitrio. Una “legge” morale rivoluzionaria, che ha posto vincoli sul comportamento personale nell’interesse degli altri e che costituisce il fondamento stesso della moralità occidentale. Il Cristianesimo ha portato a una ‘visione della vita’ più grande e più degna della persona umana, perché ci eleva a figli di Dio e ci apre alla trascendenza divina. Perché l’uomo è, sì, “a immagine e somiglianza di Dio”, ma non è “Dio”. Come invece predicano, mentendo, le ideologie laiciste del nostro tempo. A Pasqua, riscopriamo le nostre radici cristiane; a Pasqua riscopriamo noi stessi!

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  • Il femminista Trudeau tradito dalle donne

    Il femminista Trudeau tradito dalle donne

    IL PUNTO di Vittorio Giordano

    “Chi è causa del suo mal pianga se stesso”, recita un adagio latino, tanto antico quanto attuale, che sintetizza al meglio il vicolo cieco in cui si è cacciato il Primo Ministro del Canada, Justin Trudeau. Un femminista convinto tradito da quelle stesse donne che ha voluto ostinatamente al governo, in nome di quella parità di genere sul cui altare ha sacrificato qualsiasi altra discriminante: come la competenza, il talento e l’esperienza. “Perché siamo nel 2015”, la giustificazione di Trudeau al momento dell’annuncio del suo primo esecutivo formato rigorosamente da 15 uomini e 15 donne. Uno scopo nobile e condivisibile, che a posteriori, però, ha assunto sempre più i contorni di una forzatura, di una parità disuguale, di una vera e propria ‘dittatura di genere’. Del resto, su 184 deputati liberali eletti in Parlamento, solo 50 sono espressione del ‘gentil sesso’, ovvero il 30%. Riprodurre la stessa proporzione anche nell’esecutivo non sarebbe stato un delitto di Lesa Maestà. Ma Trudeau ne ha fatto la “conditio-sine-qua-non” della sua ideologia politica: rinnergarla avrebbe significato tradire i suoi elettori. Salvo poi ritrovarsi, a 8 mesi dalle elezioni federali, con la ‘bomba a orologeria’ dell’affare SNC-Lavalin innescata dall’ex Ministra della Giustizia e Procuratrice generale, Jody Wilson-Raybould, l’unica donna indigena (di origini Kwakwaka’wakw) del governo liberale. Lo stesso governo che dal primo istante si è speso per la riconciliazione con i popoli autoctoni, in nome del multiculturalismo. Eppure, paradossalmente, proprio una donna autoctona lo ha “pugnalato alle spalle”, insieme ad un’altra esponente liberale del gentil sesso: Jane Philpott, l’ormai ex presidente del Consiglio del Tesoro, che si è dimessa per aver perso fiducia nel governo. Come se non bastasse, ci ha pensato un’altra parlamentare-donna a deteriorare l’immagine già compromessa del leader liberale, in preoccupante calo di consensi secondo gli ultimi sondaggi: la settimana scorsa, infatti, la deputata Celina Caesar-Chavannes ha denunciato pubblicamente l’ostilità e la rabbia del Primo Ministro quando, per telefono, gli ha preannunciato l’intenzione di non ricandidarsi alle elezioni del prossimo 21 ottobre. Una vera e propria “congiura” femminista, che si è consumata alle idi di marzo, come successe con Caio Cassio e Marco Bruto contro Giulio Cesare. “Trudeau ama a tal punto le donne – scrive l’analista politica Denise Bombardier sul Journal de Montréal – da nominarne alcune come Ministre, solo perché donne”. E fa nomi e cognomi: “Pensiamo in particolare a Mélanie Joly, il cui lavoro al Ministero dei Beni culturali è stato triste, e a Maryam Monsef, la cui inesperienza al dicastero delle Istituzioni democratiche è apparsa subito evidente”. Per salvare il salvabile, nei giorni scorsi, Justin ha evocato perfino il nome del padre Pierre Elliott come “paladino della giustizia”. Non lo aveva mai fatto prima, per evitare di “subire” l’ingombrante luce riflessa dell’autorevole genitore, che ha segnato la storia del Paese (celebre la frase “Just watch me” in occasione della crisi di ottobre del 1970). Uno statista carismatico che le donne idolatravano. E che non avrebbero mai osato tradire. Ma quelli erano altri tempi…

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  • 2018, un anno intenso e incerto

    2018, un anno intenso e incerto

    di Vittorio Giordano

    Non è stato un anno banale o di transizione: il 2018 ci ha tenuto col fiato sospeso per 12 mesi, settimana dopo settimana, giorno per giorno, nel bene e nel male. Facendoci divertire, ma anche disperare. Un anno altalenante, dagli umori volatili e cangianti, soprattutto per le controverse scelte di politica economica del Presidente americano Donald Trump, che ha costretto ad un nuovo accordo di libero scambio Messico e Canada (30 novembre), ma soprattutto ha incrinato i rapporti con la Cina per una guerra sui dazi commerciali dai risvolti ancora incerti e, proprio per questo, allarmanti. Una strategia aggressiva e protezionistica destinata a condizionare le sorti di un mondo sempre più diviso tra “ sovranisti” e “globalisti”.
    Il 2018 è stato, quindi, un anno intenso, contraddittorio e profondamente significativo, con diversi accadimenti che hanno caratterizzato la cronaca e la storia canadese, italiana e mondiale. Con un finale che sintetizza plasticamente il senso (discordante e ambiguo) di un anno giunto ormai al capolinea: la Comunità italo-canadese annuncia, insieme alla Croce Rossa, la costruzione di un Centro Comunitario a Muccia e l’allargamento della Casa dello Studente dell’Università degli Studi di Camerino grazie ai fondi raccolti con “SOS ITALIA” (2 milioni $) dopo il tragico terremoto che, nell’agosto 2016, ha martoriato l’Italia centrale (6 dicembre). Una notizia che ci ha inorgoglito, ma che è stata puntualmente ‘oscurata’ dall’attentato di Strasburgo (11 dicembre), costato la vita a 5 innocenti, tra cui Antonio Megalizzi, il giornalista trentino in Francia per il progetto radio Europhonica. Un equilibrio instabile che ha rappresentato il fil-rouge di tutto il 2018. Come si evince dai fatti più importanti che ci lasciamo alle spalle.

    10 febbraio: Ermal Meta e Fabrizio Moro vincono il Festival di Sanremo. 9/25 febbraio: il Canada conquista 29 medaglie (11 d’oro) e l’Italia 10 (3 d’oro) ai XXIII Giochi olimpici invernali in Corea del Sud. 4 marzo: muore il capitano della Fiorentina Davide Astori. 4 marzo: alle elezioni politiche italiane, M5S è il primo partito, la Lega supera Forza Italia, crolla il Pd. 18 marzo: Russia, Putin vince elezioni con il 76,6% (è record). 26 marzo: muore il conduttore tv Fabrizio Frizzi. 18/20 aprile: Cuba, Miguel Mario Diaz-Canel Bermudez succede a Raul Castro. 23 aprile: Toronto, un furgone travolge un gruppo di pedoni (10 morti e 15 feriti). 5 maggio: Massimo Ranieri si esibisce al Place Bel di Laval.13 maggio: la Juve è campione d’Italia per la settima volta di fila. 19 maggio: Gran Bretagna, il principe Harry e Meghan Markle convolano a nozze. 28 maggio: Claudio Baglioni mattatore alla festa della Repubblica di Montréal. 1º giugno: dopo la rinuncia di Cottarelli, entra in carica il governo Conte. 8/9 giugno: il Canada ospita il 44º vertice del G7 a La Malbaie, in Québec. 13 giugno: Fifa, la Coppa del Mondo 2026 si svolgerà in Nord America, tra Canada, Usa e Messico. 19 giugno: Claudio Bisio a Montréal in occasione del Festival del Cinema Contemporaneo. 19 giugno: dal gala “INSIEME” al CLDV 1.800.000 $ per il futuro della Comunità. 15 luglio: la Francia vince i Mondiali di calcio in Russia battendo 4-2 la Croazia. 7 agosto: scompare l’avvocato e uomo politico italo-quebecchese Giambattista (John) Ciaccia. 12 agosto: si chiude la 25ª edizione della Settimana Italiana di Montréal con la Bohème di Puccini.
    14 agosto: crolla il Ponte Morandi a Genova. 5 settembre: il Presidente della Camera dei Deputati Roberto Fico in visita all’ospedale Santa Cabrini di Montréal. 1º ottobre: la CAQ di François Legaul si aggiudica le elezioni in Québec con 75 deputati ed il 37.48% dei consensi. 5 ottobre: Pupo show al Centre Embassy Plaza di Laval. 17 ottobre: Canada, la cannabis torna legale dopo 95 anni di proibizionismo. 20 ottobre: 350 mila dollari di solidarietà dal 33º Ballo dei Governatori della FCCI. 29 ottobre-3 novembre: il maltempo flagella l’Italia, 32 morti. 6 novembre: il Québec piange Bernanrd Landry, 28º Primo Ministro dall’8 marzo 2001 al 29 aprile 2003. 7 novembre: Midterm, Trump perde il Congresso ma conserva il Senato. 17 novembre: i gilet gialli scendono nelle piazze francesi contro il caro-vita. 17 novembre: 82º Gala della Casa d’Italia con raccolta-fondi a 1.4 milioni $. 24 novembre: la Commissione Europea boccia la manovra dell’Italia. 17 dicembre: manovra economica: accordo Salvini-Di Maio su tasse e pensioni, in attesa dell’intesa definitiva con l’Europa (che arriverà il 19 dicembre). 22 dicembre: il Console Generale d’Italia a Montréal, Marco Riccardo Rusconi, saluta Montréal, dall’8 gennaio sarà il Consigliere Diplomatico del Ministro dell’Ambiente Sergio Costa.

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  • Caro Trudeau, oltre alla cannabis c’è di più

    Caro Trudeau, oltre alla cannabis c’è di più

    IL PUNTO di Vittorio Giordano

    Pierre Elliott Trudeau, padre dell’attuale Primo Ministro, è stato un politico carismatico ed illuminato: ha governato il Canada per più di 15 anni (1968–1979 / 1980–1984) lasciando un segno indelebile. Il popolo canadese lo ha quasi idolatrato, alimentando un sentimento di euforia passato alla storia come “Trudeaumania”. Trudeau-padre, è passato alla storia per aver abolito la pena di morte, legalizzato il divorzio, depennalizzato l’aborto e l’omosessualità, ufficializzato il bilinguismo di stato (inglese e francese) e “rimpratriato” la Costituzione nel 1982 (che ha sganciato il Canada dalla Monarchia britannica) ispirando l’adozione della storica “Carta canadese dei diritti e delle libertà”. Questo, Trudeau-padre.

    Trudeau-figlio, invece – Justin – rischia di passare alla storia per la legalizzazione della cannabis. Un provvedimento legittimo, che segna la fine del proibizionismo bigotto, intercetta lo spirito di un’epoca e probabilmente anticipa ancora una volta i tempi. Senza contare che gli anni di governo sono solo 3: fra 12 il paragone sarà più completo e attendibile. Ad oggi, però, è lo ‘spinello di Stato’ il provvedimento-caratterizzante del governo Trudeau. Ci auguriamo che non sia l’unico. Anche perché la marijuana resta una droga, leggera ma pur sempre una droga. Il Trudeau-pensiero, comunque, è condivisibile: visto e considerato che i canadesi fumano marijuana, tanto meglio fornirgli l’erba giusta, certificata, nelle dosi opportune, sottraendo alla malavita ingenti fondi, che serviranno a costruire scuole e ospedali. Del resto, succede già con le sigarette e gli alcolici. Le controindicazioni, però, restano allarmanti e irrisolte: a parte la babele dei regolamenti provinciali, comunali e perfino municipali, permangono le incognite sulla sicurezza stradale, sui rischi per la salute, sui controlli negli acquisti on line, sulla possibilità di farsi uno spinello nei condomini in affitto, sulle restrizioni a cui saranno sottosposti i dipendenti pubblici in posti di autorità, come poliziotti, pompieri, medici, insegnanti, giudici, ecc. Senza sottovalutare le contromosse della criminalità organizzata, che –  purtroppo – non batterà in ritirata senza colpo ferire: con le poche succursali aperte, la malavita proverà a reagire con una distribuzione più capillare, costi più abbordabili e soprattutto valori da sballo (THC) più accentuati. Una ‘via di fuga’ anche per gli under 18, banditi dalle boutiques di stato. È non è da sottovalutare neppure l’effetto-curiosità: ora che la cannabis è sdoganata, non saranno pochi quelli che faranno una capatina ingenua in filiale per provare l’ebbrezza dello spinello. Con il rischio che, da semplici avventori, si trasformino in assidui consumatori. Con lo Stato che, in questo caso, diventa complice di una dipendenza da sostanza stupefacente. Capitolo Québec. Legault ha scelto i suoi 26 Ministri (13 donne per la par condicio di genere), optando per un esecutivo tutto sbilanciato sulle periferie: visto che Montréal è rimasta strenuamente liberale, eleggendo solo 2 deputati cachisti, ci auguriamo che la scelta del neo Primo Ministro non sia una ‘rappresaglia’ per punire la metropoli. Si ricordi, Monsieur Legault, che Montréal era, e resta, il motore culturale, commerciale ed industriale della Belle Province. Una provincia che sarà meno bella, se la sua città di punta non verrà messa nelle condizioni migliori per esprimere tutto il suo potenziale. Un potenziale arricchito anche dalle sue varianti etniche. Come quella italiana, a cui il suo governo non ha voluto dare alcuna rappresentanza. Una scelta che ci auguriamo non sia stata dettata, anche questa volta, da ripicche o pregiudizi.

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  • Due Matteo sono troppi: Renzi lascia

    Due Matteo sono troppi: Renzi lascia

    IL PUNTO di Agostino Giordano

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    Alla luce dei fatti, l’unico sondaggio della vigilia confermato dal voto reale è stato quello della Coalizione di Centrodestra, data al 37-38%, e così è stato. Tutti gli altri sondaggi sono risultati sbagliati. Sbagliato ‘per eccesso’ per il Pd di Renzi, crollato al 19%; sbagliato ‘per difetto’ per il M5S, che è invece schizzato al 32%, confermandosi primo partito. All’interno del Centrodestra, poi, – dove si giocava un sotterraneo ‘derby’ (come l’ha definito la Meloni) tra Lega e Forza Italia, per stabilire chi dei due partiti ne avrebbe conquistato la leadership – è avvenuto un altro vistoso terremoto: la Lega quadruplica, con il 17.6%, i voti del 2013 e sorpassa Forza Italia, che scivola al 14%; la Meloni, nel suo piccolo, col 4.3% raddoppia i voti delle precedenti politiche. Un voto insperato, sia per Salvini che per Berlusconi; ambedue hanno lavorato sodo, ma il primo è stato premiato, il secondo è stato punito; ambedue ci hanno messo la faccia, ma Salvini come candidato, Berlusconi come non-candidato. Evidentemente l’elettore ha percepito questo gap del Cavaliere come un ostacolo effettivo alla sua leadership, anche come regista, e ha scelto il giovane Salvini come leader del Centrodestra. E questo resta un cruccio per Berlusconi e per quanti maledicono Strasburgo e la sua Corte per i Diritti Umani, che non gli ha restituito in tempo utile l’ ‘agibilità politica’, da lui a gran voce reclamata: gran bella giustizia, lenta, miope e partigiana! I Cinquestelle, come primo partito, reclamano il diritto di essere ricevuti per primi dal Quirinale e il diritto di formare il governo, pur non avendo i numeri per farlo, ma accettando l’aiuto di altre forze che volessero firmare il programma grillino. Da forza politica solitaria, i Cinquestelle ora non disdegnerebbero inciuci con chi ci sta. A sinistra naturalmente, non certamente a destra. Di Maio, tutto impettito, parla di terza Repubblica, ‘Repubblica dei cittadini’, e sfodera il suo compitino con tutte le sue promesse lavate e stirate. Ma il vero perdente, in quanto anche responsabile politico del governo uscente, è Matteo Renzi, che, dopo la scoppola, ha annunciato di dimettersi dopo l’insediamento del nuovo governo, e dopo essersi insediato al Senato. Nella conferenza stampa di lunedì pomeriggio, il segretario Pd ha difeso l’operato piddino e ha attaccato tutti, compreso Mattarella, reo di non aver fatto votare l’Italia nel 2017. Eppure proprio gli errori di Renzi hanno catapultato al 32% i pentastellati, che hanno intercettato l’incontenibile voto di protesta del Sud, ignorato e rovinato dal quinquennio a trazione piddina. E gli elettori hanno bocciato i suoi Ministri: Minniti e Franceschini, Fedeli (per analfabetismo spinto) e Pinotti, ecc.., proprio per mano di candidati grillini sconfessati dal loro stesso leader. Si sono salvati la Boschi paracadutata a Bolzano dai Svp e l’ex ‘portaborse’ Casini, blindato nel collegio rosso bolognese, per meriti acquisiti nei confronti della Banca Etruria. I neo-comunisti di Liberi e Uguali, usciti dal Pd, sognavano un risultato a due cifre e si ritrovano al 3.4% e con i vertici tagliati: Grasso, Boldrini, Bersani e D’Alema seccamente perdenti! Un terremoto, insomma, che non si sa fino a che punto toglierà l’Italia dal pantano in cui l’ha infangata la sinistra renziana.  Non c’è una maggioranza che possa governarla: i Cinquestelle si arrogano il diritto di farlo, il Centrodestra si propone come soggetto politico solido e radicato nel territorio, per validità di proposta politica e per numero di voti. Salvini, in visita da Berlusconi ad Arcore, gli ha confermato la solidità dell’alleanza col Centodestra. Fra tre settimane, dopo l’insediamento del Parlamento, la costituzione dei gruppi parlamentari, e soprattutto dopo l’elezione dei presidenti dei due rami del Parlamento, si avranno le prime indicazioni politiche. E Mattarella, nella fase consultiva, valuterà e tirerà le somme. Se i Cinquestelle apriranno alla sinistra, si vedrà se Renzi si dichiarerà indisponibile o se, pressato dall’opposizione interna, accetterà la proposta indecente della sirena grillina. Allo stato attuale l’Italia sembra ingovernabile. Ultima annotazione: il sistema del voto all’estero, o viene riformato o è meglio cassarlo.

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  • Con Macron vince anche la Merkel

    Con Macron vince anche la Merkel

    IL PUNTO di Vittorio Giordano

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    Dopo l’exploit di Donald Trump negli Usa, in tanti temevano una replica in salsa francese, con Marine Le Pen in grado di fare le scarpe ad Emmanuel Macron, ultimo superstite del ‘fronte istituzionale’ dopo la ‘debacle’ dei due partiti tradizionali: il partito Socialista e quello Repubblicano. Un terremoto che avrebbe sconvolto l’Unione Europea dalle fondamenta, decretandone, di fatto, il ‘suicidio assistito’, soprattutto dopo la ferita mai rimarginata della Brexit, la vittoria ingombrante di Trump e l’ascesa dei movimenti euro-scettici nazionalisti. Sì, perché Macron, 39 anni, sarà pure giovane e alle prime armi, tanto da essere ribattezzato il ‘Justin Trudeau francese’ (come il Premier canadese ha studiato dai Gesuiti e fatto Teatro), ma è pur sempre espressione dell’establishment, nonostante non abbia perso occasione per smarcarsi dal sistema. In realtà, la crociata anti-istituzionale di Macron è solo di facciata e frutto di un calcolo utilitaristico da far impallidire il‘Principe’ di Macchiavelli: è il 31 agosto 2016, infatti, quando il Ministro dell’Economia Macron lascia il governo Valls dopo due anni di lavoro sotto la presidenza di François Hollande. Da successore designato dell’ex presidente uscente, nell’aprile 2016 fonda il movimento “En Marche!”, definito dallo stesso Macron “né di destra né di sinistra”, che lo catapulta all’Eliseo. Magicamente, per il solo fatto di aver sbattuto la porta in faccia al Partito Socialista (di cui è stato un iscritto dal 2006 al 2015), diventa un ‘capo-popolo’ anti-sistema. Poco importa se ha studiato all’Ena (École national d’administration), la scuola dove passa tutta la classe dirigente francese; se ha guidato l’Economia durante i tagli di Hollande, e se è stato un alto dirigente della potente Banque Rothschild. La sindaca socialista di Parigi, Anne Hidalgo, non usa mezzi termini: “Macron è un uomo che si presenta come anti-sistema, malgrado sia l’artefice di buona parte della politica economica adottata dal Paese negli ultimi anni”. Insomma, al netto dell’abito su misura che si è ritagliato negli ultimi 12 mesi, Macron è un personaggio certamente integrato nei centri nevralgici del potere finanziario e politico della Francia. Tanto che, nel suo primo discorso alla Nazione, promette di “proteggere” e “tenere unita” la Francia, così come di “difendere il destino comune dell’Europa”, sulle note dell’Inno alla gioia, l’inno dell’Europa, davanti alla piramide del Louvre. Quale Europa? Quella a trazione tedesca, naturalmente, che il neo Presidente non perde tempo di omaggiare: la prima telefonata ufficiale è con la Cancelliera Merkel e la prima visita di Stato è già stata programmata in Germania. Tutto, fuorché un’inversione di tendenza rispetto ad una UE da svecchiare e riformare. Anzi: un inchino compiaciuto allo status quo, al netto dei proclami elettorali. Esattamento lo scenario che Marine Le Pen continuerà a combattere. La leader del Front National è tutt’altro che “morta”: ha ottenuto più di dieci milioni e mezzo di voti, accrescendo di quasi tre milioni di preferenze il bottino ottenuto al primo turno; ed ha portato al suo massimo storico il partito, che ora punta a rinnovare nel nome e nella missione per completare il processo di normalizzazione e puntare a diventare la prima forza d’opposizione. Ad un mese dalle elezioni legislative. Se è vero che il 43% di chi ha votato Macron lo ha fatto per fermare l’ascesa di Marine LePen, e se è vero che il tasso di astensione è stato il più alto rilevato dal 1969 nelle elezioni presidenziali, il nuovo inquilino dell’Eliseo sarà probabilmente costretto a scendere a compromessi (magari con gli ex compagni Socialisti) per fornare una coalizione a sostegno del suo governo. Gettando, ‘obtorto collo’, la maschera di paladino anti-sistema. E tornando alle origini della sua cavalcata. La degna ‘quadratura del cerchio’.

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  • Distratto dal PD, il Paese arretra

    Distratto dal PD, il Paese arretra

    di Agostino Giordano

    Matteo Renzi
    Matteo Renzi

    A Carnevale ogni scherzo vale. Ma in Italia, dove di Carnevale si campa tutto l’anno, è impossibile distinguere tra il serio e il faceto. E così Grillo, di passaggio a Roma, non si sottrae al giochetto di prendere in giro Renzi: “Vorrei fare un appello a Matteo Renzi:resta! Il Paese ha bisogno di te. Siamo sull’orlo del baratro, ci manca solo una spintarella…”. Vedi chi parla! Un comico prestato alla politica che non riesce a far dimettere una Raggi qualsiasi a capo della giunta romana più scombiccherata della storia. Ecco, tra Piddini e Grillini, il cerchio è più che chiuso. E il palcoscenico è sempre quello del Colosseo romano, dove nel tempo i “saltimbanchi” hanno sostituito i gladiatori. Ma almeno Renzi, dopo il Referendum perso, si è dimesso da Premier; e lunedì 19 febbraio, dopo l’Assemblea Nazionale, si è dimesso pure da segretario Pd. La Raggi invece sta sempre lì, in Campidoglio, cocciuta nel difendere l’indifendibile. Renzi si dimette per poi ricandidarsi, è vero; la Raggi si dimetta e ritorni nell’anonimato del web, da cui l’hanno tirata fuori, un lustro fa. Ma andiamo per ordine. Perché Renzi si dimette da segretario? Non l’ha perso lui, da premier-segretario, il Referendum? Premier di un governo renziano, segretario di un Pd renziano? Si dimette per buttare fuori dal Pd la minoranza social-comunista? Se ci guadagna da questa operazione è tutto da verificare: magari quando sarà tardi per rimettere i cocci a posto. La minoranza parla del futuro Pd – depurato dei loro cromosomi comunisti – come del ‘Partito di Renzi’, alias partito di centrosinistra da prima Repubblica. Non si capisce, in sostanza, dove voglia andare a parare questa lunga commedia all’italiana: iniziata all’indomani dell’esito referendario, si concluderà a primavera inoltrata, cioè a conclusione del Congresso Pd. Fatti i conti, per sette mesi blocchiamo i taxi e assistiamo a questa pirandelliana messinscena. Sommati ai tre anni di governo renziano, l’Italia praticamente è ferma da un’eternità. Anzi no: mentre Renzi godeva tra i ‘fumi riformisti’, l’Italia è andata indietro, è alla deriva. Disoccupazione, povertà, tasse, ingiustizie, malcostume, insicurezza e immigrazione aumentano a vista d’occhio. Si potrebbe dire che Politica e Paese reale non si parlano più. Invece di fare l’interesse del Paese, la Politica pensa alle logiche di potere. Se i Grillini non sostituiscono la Raggi per non perdere la faccia, Renzi si cuce un Pd su misura per puro calcolo di potere. La Castellina, che già nel ‘70 usciva dal Pci fondando ‘il Manifesto’, non si dà pace. Ma la storia del Pci è costellata di scissioni, come quella della Dc. O, se vogliamo, come quella del  centrodestra di Berlusconi: il politico più tradito degli ultimi 20 anni. Se la sinistra Pd costituisse nuovi gruppi in Parlamento, creerebbe non pochi problemi alla funzionalità del Senato e di alcune commissioni parlamentari importanti, il che  bloccherebbe l’iter della nuova Legge elettorale. Un ginepraio non da poco. Da cui il popolo italiano si va allontanando sempre più, disgustato e inviperito. Cosa succede nel centrodestra, mentre il Pd si spappola, è tutta un’altra carnevalata. Salvini, Meloni e Fitto in primavera vogliono le primarie, da cui Berlusconi prende le distanze: Grillini e Piddini, con le primarie, si sono ritrovati in casa i Raggi e i Renzi! Il Cavaliere, fondatore e leader di Forza Italia, si guarda bene dal cedere ai refoli del ponentino. Alle pattuglie centrine o simil-tali, che reggono masochiste il moccolo al ‘Renzi-pensiero’,  dedichiamo questo ‘P.S.’ di Sallusti, indirizzato a Matteo, in coda al suo Editoriale del 20 c.m.: “Caro Renzi, – scrive A.Sallusti – quando ieri hai detto che in politica ricatti, tradimenti e scissioni ti fanno schifo, ti riferivi ad Alfano e Verdini grazie ai quali hai governato per tre anni? O no, gran paraculo”. I carri mi sembrano completi. La sfilata può iniziare.

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