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  • Com.It.Es di Montréal | Vittorio Giordano eletto presidente

    Com.It.Es di Montréal | Vittorio Giordano eletto presidente

     

    Il nuovo Comites di Montreal. Nella foto manca Daniela Fiorentino, che ha partecipato alla riunione via zoom dall’Italia.

    MONTRÉAL – Si è tenuta giovedì 16 dicembre, presso l’Istituto Italiano di Cultura di Montréal, la prima riunione del neo eletto Com.It.Es di Montréal, cui hanno preso parte anche il Console d’Italia a Montréal, Lorenzo Solinas, e la Cancelliera Amministrativa dello stesso Consolato, Gabriella Petrone.

    Come già annunciato, la lista INSIEME PER GLI ITALIANI (591 voti) si è aggiudicata le elezioni per il rinnovo del Comites di Montréal, conquistando la maggioranza relativa dei seggi con 7 eletti su 12: Vera Rosati, Vittorio Giordano, Anna Colarusso, Daniela Fiorentino, Marino De Ciccio, Anna Maria Buondonno e Margherita Maria Morsella. Gli altri 5 posti sono andati alla lista UNITALIA (494 voti): Renzo Orsi, Paola Miserendino, Luisa Rabach, Santino Quercia e Maria Ciccone. Nella circoscrizione consolare di Montréal, gli iscritti nei registri elettorali sono stati 1.718 su 37.247 iscritti all’Aire, ovvero il 4,61% degli eventi diritto. Alla fine, hanno effettivamente votato in 1.270, ovvero il 3,4% degli elettori potenziali. Al netto delle buste annullate (111), delle schede bianche (2) e delle schede nulle (72), i voti validi sono stati 1.085.

    Il post su Facebook del Consolato Generale d’Italia a Montreal che certifica l’esito della prima riunione del Comites appena insediato.

    La seduta d’apertura, come prevede la legge, è stata presieduta dal più votato dei candidati, il prof. Renzo Orsi, il quale, dopo aver espresso le proprie congratulazioni ai neo eletti consiglieri, ha proceduto con gli adempimenti previsti dalla normativa per la prima riunione. I consiglieri hanno quindi proceduto con l’elezione del Presidente, esprimendosi a maggioranza a favore di Vittorio Giordano. Come vicepresidente è stata scelta Vera Rosati. A completare il comitato esecutivo sono Anna Colarusso (che è stata altresì eletta Segretaria del Com.It.Es.) e Margherita Morsella, nelle veci di tesoriera.

    La presidente uscente, Giovanna Giordano, si è subito congratulata con il neo presidente, Vittorio Giordano, ripromettendosi di procedere, già nei prossimi giorni, al passaggio di consegne come previsto dalla Legge.

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  • Renzi ritira le Ministre, si apre la crisi di governo

    Renzi ritira le Ministre, si apre la crisi di governo

    Il Presidente Mattarella aveva lanciato l’appello a “uscire subito dall’incertezza” visto lo stato di emergenza in cui si trova il Paese

    ROMA – Crisi di governo atto secondo. Dopo le minacce dei giorni scorsi a l’apertura di mercoledì del presidente del Consiglio che avanza la proposta di un “patto di legislatura” invitando a scongiurare un frattura nell’Esecutivo in un momento così delicato per il Paese, Renzi annuncia l’uscita della delegazione di Italia Viva dal Governo, dicendo però che ora la palla passa a Conte che ha creato “un vulnus nelle regole del gioco, delle regole democratiche”. Questo, in sintesi, il film della giornata (13 gennaio 2021):

    – L’apertura del presidente del Consiglio e l’appello di Mattarella: “Una crisi? Spero di no”, ha afferma Giuseppe Conte rispondendo ad una domanda dei giornalisti al suo rientro a Palazzo Chigi dopo essere stato al Quirinale da Mattarella. “Oggi ho chiesto un colloquio con lui per aggiornarlo del fatto positivo dell’approvazione del Recovery. La bozza ci consente di andare avanti in questo progetto”, ha aggiunto. E a proposito della possibilità di una crisi per un eventuale strappo di Renzi, il premier osservava: “Ho sempre detto che il governo può andare avanti solo con il sostegno di tutte le forze di maggioranza”. “Credo che una crisi non sarebbe compresa dal Paese in un momento in cui ci sono tante sfide”, ha sottolineato Conte. “Le persone ci chiedono di continuare”, ha assicurato il Premier. “Io fino all’ultima ora lavorerò per rafforzare la coalizione. L’interesse dei cittadini viene prima di tutto”. ” Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte era salito al Quirinale per riferire sulle decisioni del Consiglio dei ministri di ieri e sullo stato dei rapporti della coalizione. E il presidente Mattarella aveva sottolineato la necessità di uscire velocemente da questa condizione di incertezza, a fronte dell’allarmante situazione causata dalla pandemia.

    Ma Renzi rilancia e annuncia le dimissioni delle Ministre di Iv. Ma Matteo Renzi fa orecchie da mercante all’apertura di Conte e all’appello di Mattarella e nella conferenza stampa che aveva convocato nel tardo pomeriggio alla Camera annuncia le dimissioni delle ministre di Italia Viva Teresa Bellanova ed Elena Bonetti e del sottosegretario Ivan Scalfarotto attaccando il governo e dicendo che “la crisi è aperta da mesi” e non l’ha aperta lui.

    Le prese di posizione nella maggioranza.

    “Massimo impegno per il bene dell’Italia, per creare fiducia e dare certezze alle persone. Per aumentare gli investimenti, creare lavoro, per un’Italia green e digitale. Per dare un futuro migliore ai giovani. Per un patto di legislatura”, ha scritto su Facebook il leader del Pd Nicola Zingaretti che dopo le dimissioni di Iv dal governo ha dichiarato: “Quello di Italia Viva è un errore gravissimo contro l’Italia. Abbiamo bisogno di nuovi investimenti, di combattere la pandemia e non di una crisi di governo”.

    “Le dichiarazioni di Conte sono positive, va rilanciata in tutti i modi questa maggioranza politica. Italia viva raccolga la disponibilità a sedersi attorno ad un tavolo”, ha scritto su Twitter il capogruppo Pd al Senato Andrea Marcucci. “Bene le parole di Conte sulla maggioranza e sul patto di legislatura. Questo è il tempo dei costruttori”, ha commentato su Twitter l’altro capogruppo Pd alla Camera Graziano Delrio.

    Le parole di Conte, dopo l’incontro con il Presidente Mattarella, interpretano lo stato d’animo del Paese. Siamo di fronte a prove terribili. La classe dirigente democratica deve sapersi unire per affrontarle al meglio nell’interesse dei cittadini. Ci sono le condizioni, dopo il buon lavoro con il contributo di tutti sul Recovery Plan, per definire un’intesa di fine legislatura, nei confini dell’attuale maggioranza che in questi mesi ha ottenuto risultati importanti”. Così con un post su Facebook Goffredo Bettini, dirigente nazionale del Pd, commenta le dichiarazioni di Conte al termine dell’incontro al Quirinale.

    “È importante che l’Italia possa contare, soprattutto in questo momento, sulla stabilità del governo e sulla lealtà e disponibilità al confronto delle forze di maggioranza. Su queste basi si può continuare a lavorare a fare il meglio per il Paese. Le parole del presidente Conte sono dunque pienamente condivise dal Movimento 5 Stelle”. Così i capigruppo di Camera e Senato del M5S Davide Crippa ed Ettore Licheri.

    “Italia Viva ritira le proprie ministre dal governo nel momento in cui il Paese vive un’emergenza sanitaria ed economica senza precedenti. Non c’è nessun merito nella fuga dalle responsabilità. Il MoVimento 5 Stelle continuerà a lavorare per i cittadini al fianco di Giuseppe Conte”, ha scritto su Fb il capodelegazione M5S e Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede.

    “Mentre il Paese affronta con fatica, impegno e sacrificio la più grave crisi sanitaria, sociale ed economica della storia recente, Renzi sceglie di ritirare la propria delegazione di ministri. Credo che nessuno abbia compreso le ragioni di questa scelta”: lo ha scritto in un post il capo politico del M5s Vito Crimi.

    Centrodestra: “Conte si dimetta, via maestra sono le elezioni”

    “Il centrodestra chiede che il presidente del Consiglio prenda atto della crisi e si dimetta immediatamente o, diversamente, si presenti domani in Parlamento per chiedere un voto di fiducia”. Questo l’appello contenuto in una nota congiunta dei leader di Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia. “Se non ci sarà la fiducia – prosegue la nota – la via maestra per riportare al governo del Paese una maggioranza coesa ed omogenea, con un programma condiviso e all’altezza dei problemi drammatici che stiamo affrontando, resta quella delle elezioni”. Quindi, concludono, “Ci affidiamo alla saggezza del presidente della Repubblica per una soluzione rapida: i partiti del centrodestra ribadiscono con chiarezza la loro indisponibilità a sostenere governi di sinistra”.

    I responsabili. Intanto al Senato è andata avanti per tutto il giorno la conta dei possibili “Responsabili” che potrebbero essere pronti a prendere il posto di Italia Viva a Palazzo Madama: si accredita l’uscita di 4 senatori dal gruppo di Renzi e ben 8 da Forza Italia. E sul punto è intervenuto anche Clemente Mastella chiamato più volte in causa da Renzi in questi giorni: “I responsabili? Qualcuno ce n’è, non so se in numero sufficiente, ma sono più di qualche unità, forse anche più di cinque…”. Esiste davvero l’idea di un governo Conte-Mastella, come sostenuto da Renzi? “Io non ne so niente, lo saprà lui, che vi devo dire. Lui mi cita per prendermi in giro, perché vuole svilire l’operazione di Conte. I Responsabili sono come l’amante: quando si scopre devi dargli dignità. Sono meno del necessario perché se non dai loro dignità politica rimangono nascosti”. Alla domanda sul numero esatto dei senatori disposti a sostenere Conte, Mastella aveva risposto evasivamente: “Non lo so, dipende se gli si dà dignità, non so se rimangono dormienti o si svegliano…”.

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  • Twitter non è al di sopra della Libertà

    Twitter non è al di sopra della Libertà

    IL PUNTO di Vittorio Giordano

    La censura è inconciliabile con la Democrazia. C’è il sospetto di un calcolo politico: Trump messo al bando solo alla fine del suo mandato. Eppure, per 4 lunghi anni, il suo linguaggio incendiario è stato ‘tollerato’. Con ricadute convenienti e remunerative per il Big Tech…

    Un’oligarchia digitale, un pugno di miliardari che controlla le più importanti piattaforme di comunicazione sul web, regolarmente quotate in borsa, dall’alto della loro “autorità morale”, si autoproclamano custodi della Verità e della Libertà e decidono unilateralmente di spegnere l’account del Presidente degli Stati Uniti d’America. Imprenditori come Jack Dorsey e Mark Zuckerberg assurgono ad arbitri supremi di cosa sia lecito dire, oppure no, nel dibattito pubblico. Senza possibilità di appello. Come nelle peggiori dittature. Con un clic, i Soloni di Twitter, Facebook, Instagram e Snapchat – ‘benefattori’ che la pandemia ha arricchito ancora di più – si arrogano il diritto di silenziare, censurare e imbavagliare il leader del paese-faro della Democrazia nel mondo. Danneggiando, di riflesso, i suoi 89 milioni di followers, solo su Twitter. E penalizzando gli oltre 74 milioni cittadini americani che lo hanno liberamente rivotato alle ultime elezioni. Da piattaforme di comunicazione senza intermediazioni a strumenti di controllo discrezionali: personaggi controversi come il presidente turco Erdogan e l’ayatollah iraniano Khamenei, infatti, continuano a cinguettare allegramente. Un vero e proprio attacco al principio irriducibile della libertà di manifestazione del pensiero. Un gesto condannato ‘senza se e senza ma’ anche dalla Cancelliera tedesca, Angela Merkel: “È possibile interferire con la libertà di espressione, ma secondo i limiti definiti dal legislatore, e non per decisione di un management aziendale”. Non stiamo parlando della Cina, dell’Iran o della Corea del Nord, dove gli oppositori politici vengono regolarmente perseguiti e perseguitati (per usare un doppio eufemismo), ma del Paese per antonomasia paladino della Libertà, tanto da volerla ostinatamente esportare; Paese fondato su una Costituzione il cui Primo Emendamento – il Primo, non il Secondo – tutela “la libertà di parola e di stampa”. Sia chiaro: una volta accertati i fatti, chi ha fatto irruzione in Parlamento causando la morte di 5 persone merita di essere processato e condannato. Ma dire che Trump abbia instigato all’insurrezione di Capitol Hill (come sostiene Twitter, per giustificare la chiusura dell’account) è una forzatura inaccettabile: il Presidente uscente ha chiesto alla sua gente, accolta poco prima nel giardino della Casa Bianca, di far sentire il proprio disappunto ai Parlamentari riuniti in seduta congiunta a Capitol Hill per certificare la vittoria di Biden alle ultime elezioni. Come succede in tutte le democrazie, con le manifestazioni fuori dai Palazzi del potere. Trump non ha mai chiesto ai suoi di mettere a ferro e fuoco il Campidoglio. Se qualche fanatico ha interpretato male il suo messaggio, è giusto che marcisca in galera. E non regge nemmeno la tesi della recidiva per il linguaggio violento e pericoloso che, oltre a costituire una minaccia per l’ordine pubblico, avrebbe violato il regolamento di aziende private che,  in quanto tali, hanno tutto il diritto di prendere provvedimenti, anche drastici, in piena autonomia. Ma davvero? Se ne sono accorti solo adesso? Dov’è stata l’‘Inquisizione digitale’ negli ultimi 4 anni? Donald Trump usa lo stesso linguaggio triviale, sboccato e incendiario dal primo giorno in cui ha messo piede nella Casa Bianca (20 gennaio 2017). Sono passati in cavalleria migliaia di cinguettii offensivi e talvolta volgari. Come mai i Giganti del web lo hanno silurato solo l’8 gennaio 2021? Francamente, il provvedimento appare tardivo e, quindi, sospetto. Sembra quasi che, per 4 lunghi anni, Twitter e company abbiano chiuso, non uno, ma due occhi sulle regole del gioco, per approfittare – in termini di visibilità e pubblicità – del privilegio di avere il presidente del Paese più potente al mondo usare in maniera rivoluzionaria le piattaforme digitali per alimentare il dibattito pubblico, anche nei rapporti internazionali. Un vantaggio formidabile, oltre che conveniente e redditizio, rispetto ai media tradizionali. Manna dal cielo. È innegabile che Twitter debba gran parte della sua fortuna proprio a questo “cliente” ingombrante, ma autorevole e influente. Salvo poi disfarsene a pochi giorni dalla fine del suo mandato, quando, guarda caso, i suoi tweet non hanno più lo stesso peso planetario. Il sospetto di un calcolo politico, figlio di una scelta ideologica, da parte di chi da sempre sostiene apertamente il Partito Democratico è più che legittima. E poi il paradosso dei paradossi: a togliere il megafono al presidente USA sono gli stessi giganti del digitale che per anni hanno difeso, non solo la totale libertà, ma anche l’assoluta irresponsabilità delle reti sociali per i contenuti diffusi. Fino all’8 gennaio; quando, all’improvviso, i magnati della Silicon Valley si sono riscoperti ‘salvatori della patria’, accollandosi anche la responsabilità sociale di vigilare sui contenuti. Uno spettacolare salto all’indietro con avvitamento carpiato. Vale tutto e il contrario di tutto. Ma chi controlla il controllore? Urge una regolamentazione dal punto di vista etico e giuridico: visto che il Big Tech dispone della nostra “vita e morte digitale”, non è più tollerabile che resti al di sopra della Legge, spesso sfruttando posizioni dominanti e anti-concorrenziali. Serve un’Autorità pubblica di garanzia, a cui appellarsi in caso di blocco, con possibilità di risarcimento e reintegro immediato. Dura Lex, sed Lex. È la Democrazia, bellezza! Perché la Libertà viene prima di tutto. Sempre. Elementare, Watson! 

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  • Ora Biden deve trattare

    Ora Biden deve trattare

    IL PUNTO di Vittorio Giordano

    Ha vinto Joe Biden, che si appresta a diventare il Presidente più votato di sempre, con oltre 75 milioni di voti (Obama si è fermato a 69.498.516). Ha perso Donald Trump, tradito da stati-chiave come Pennsylvania, Wisconsin e Michigan, che 4 anni fa si erano rivelati la tomba politica di Hillary Clinton. L’elettorato operaio bianco è tornato fedele alla sinistra anche in Georgia (salvo esiti diversi dal riconteggio), Arizona e Nevada. In generale, a premiare i democratici sono stati gli elettori delle grandi città (come Detroit, Phoenix, Atlanta, Filadelfia e Las Vegas), che, più sensibili ai rischi della pandemia, hanno scelto il voto postale, scrutinato solo dopo lo spoglio dei voti espressi al seggio, il 3 novembre. Trump, dal canto suo, ha incassato l’appoggio degli ispanici e degli afro-americani in Florida e, in generale, ha fatto breccia nelle zone rurali dell’entroterra. Il trumpismo è tutt’altro che sconfitto: oltre 71 milioni di americani hanno scelto l’attuale inquilino della Casa Bianca. A dispettto delle pesanti accuse di corruzione e collusione che hanno portato all’impeachment (poi fallito), e nonostante le continue critiche per parole, gesti e atteggiamenti poco ‘istituzionali’, Trump ha ricevuto quasi 10 milioni in più rispetto al 2016, quando i suffragi a suo favore si sono fermati a 62.984.828. In molti, evidentemente, hanno apprezzato il boom economico pre-Covid, gli sgravi fiscali alle imprese, la stretta sugli accordi commerciali multilaterali ed il disimpegno militare nel mondo. Al netto del voto popolare, che resta significativo ma non decide le elezioni presidenziali (in base all’arcaica e contorta legge elettorale vigente, sono i Grandi Elettori conquistati nei singoli Stati a fare la differenza), la sconfitta di Trump appare molto più risicata di quanto pronosticassero i sondaggi. E lo dimostrano i 6 giorni che ci sono voluti per lo spoglio in molti Stati in bilico. La vittoria di Biden non è stata eclatante, così come la sconfitta di Trump non è stata clamorosa. Il Paese resta diviso. Trump ha già denunciato brogli (tutti da dimostrare) e preannunciato ricorsi in tribunale. Con la Corte Suprema, a maggioranza repubblicana, che resta sullo sfondo. Venti anni fa, fu proprio il più alto tribunale del Paese a decidere la sfida tra Gore e Bush, dando ragione a quest’ultimo. Trump si ostina a non concedere la vittoria a Biden e, fino al 20 gennaio, data del passaggio di consegne, potrebbe continuare a governare a suon di decreti esecutivi. La transizione si annuncia complicata, ma inesorabile. Salvo colpi di scena, sarà il ticket Joe Biden-Kamala Harris a governare l’America per i prossimi 4 anni. Biden, però, se vuole unire un Paese lacerato, non potrà ignorare il messaggio degli elettori: non solo il 47,6% ha scelto ancora Trump, ma il partito Repubblicano ha guadagnato alcuni seggi al Congresso e, cosa ancora più determinante, sembra essere in grado di controllare nuovamente il Senato (il 5 gennaio si assegnano gli ultimi due seggi in Georgia). Ed è proprio la Camera Alta che approva le nomine più importanti del presidente, Ministri compresi. È qui che Biden dovrà dimostrare tutta la sua abilità di politico navigato, trattando, sia con l’ala più progressista del suo partito, che reclama riforme epocali – dalle energie rinnovabili all’assicurazione sanitaria più abbordabile – sia con i Repubblicani, che non daranno mai il via libera a provvedimenti che possano minare l’industria del petrolio, incrementare le tasse per le multinazionali o aumentare il numero dei Giudici alla Corte Suprema. Per questo motivo, si parla addirittura di Ministri repubblicani nell’amministrazione Biden. Del resto, nei suoi 47 anni di politica, Biden ha sempre brillato per le doti diplomatiche e l’inclinazione al compromesso. Ed ha già chiuso diversi accordi con il leader del Partito Repubblicano, Mitch McConnel, senatore da 36 anni, durante l’amministrazione Obama. Per continuare sulla strada della collaborazione, stretta ma necessaria, Biden dovrà tenere a bada i bollenti spiriti degli esponenti più progressisti del suo partito, capeggiati dal trio Bernie Sanders, Elizabeth Warren ed Alexandria Ocasio-Cortez. In caso contrario, sarà condannato ad un sostanziale immobilismo, costretto all’ordinaria amministrazione almeno fino al 2022, quando si voterà per il rinnovo del Congresso e di un terzo del Senato.  E l’America, alle prese con una pericolosa recrudescenza del coronavirus, al netto delle promettenti notizie sul fronte vaccino, non può proprio permettersi un Presidente già dimezzato.

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  • Elezioni USA 2016: è Donald Trump il 45° presidente

    Elezioni USA 2016: è Donald Trump il 45° presidente

    Hillary perde in Florida, Michigan, Ohio,  Pennsylvania e Wisconsin. Il magnate oltre la soglia di 270.  Smentiti i sondaggi. Camera e Senato restano repubblicani. Il neo presidente:  “Torniamo ad essere un Paese unito”

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    New York – Donald Trump è il 45esimo presidente degli Stati Uniti. Questo dicono i risultati della lunga notte elettorale americana: il tycoon ha conquistato gli Stati chiave – tra cui Ohio, Florida e Pennsylvania, dove dal 1988 hanno sempre vinto i democratici – e ad Hillary Clinton non è rimasto che riconoscere la vittoria dell’avversario. Stando ai dati della CNN, Trump ha conquistato 288 grandi elettori contro i 215 della Clinton (dati aggiornati alle 3.30 del mattino), superando ampiamente la soglia dei 270 necessaria per entrare alla Casa Bianca.

    Trump: “Torniamo ad essere un Paese unito” – Ha fatto il suo ingresso accompagnato da fragorosi applausi e grida dei suoi sostenitori, e in sottofondo una musica dal tono epico, il nuovo Presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Con lui anche la famiglia. Gli occhi lucidi, circondato dai suoi cari, ha attraversato il palco dell’’Hotel Hilton di New York stringendo le mani ai suoi collaboratori e al vicepresidente Mike Pence. “Grazie” la prima parola del suo discorso, ripetuta tre volte. “Mi dispiace avervi tenuto in piedi fino a tarda ora. Ho appena ricevuto una telefonata dal Segretario Hillary Clinton, che ha espresso le sue congratulazioni nei nostri confronti e per la nostra vittoria, e mi sono congratulato per la sua grande tenacia in campagna elettorale. Hillary ha lavorato a lungo – ha sottolineato ancora-  e a lei dobbiamo grande gratitudine. Ora dobbiamo cicatrizzare le divisioni e mi rivolgo a tutti gli americani: è giunto il momento di riunirci. Lancio un appello a tutti gli americani: siamo uniti”. “Noi abbiamo un piano economico efficace – ha poi aggiunto -: raddoppieremo la crescita e andremo d’accordo con tutti quei Paesi che vorranno andare d’accordo con noi”.

    Il trionfo di Trump – Trump ha vinto in North Carolina, uno degli stati più corteggiati da entrambi i candidati nell’ultima fase della campagna elettorale, ed ha superato Clinton anche in Pennsylvania. Cintura industriale maggiormente colpita dalla crisi, la Pennsylvania è stato uno degli stati più visitati durante la campagna, insieme al New Hampshire. In Florida, il vantaggio del magnate repubblicano è stato poco più di un punto percentuale, con circa 150mila voti, nonostante la massiccia partecipazione nel voto anticipato della comunità ispanica, favorevole alla candidata democratica. Trump ha vinto abbastanza facilmente in Texas (52% a 44%), anche se poche settimane fa i sondaggi sembravano far pensare che si potesse rompere la tradizione repubblicana con una vittoria Dem.

    La debacle di Clinton – Clinton, dal canto suo, grande favorita nei sondaggi, ha ottenuto la vittoria in Virginia per un soffio, mantenendo il suo vantaggio negli stati della costa ovest (California, Oregon e Washington), oltre a New York e New Jersey nella costa est. Trump si è imposto in roccaforti Gop come South Carolina e Indiana.

    Parlamento tutto repubblicano – Per quanto riguarda il Congresso, i repubblicani mantengono la maggioranza sia alla Camera dei rappresentanti (234 seggi a 183) che al Senato (51 seggi a 47). Il nuovo Congresso affronterà la particolare situazione di avere un presidente dello stesso partito che da molti leader Gop è stato delegittimato e con cui il miliardario ha litigato più volte. Il caso più esemplare: l’ex presidente George W. Bush che ha detto di aver votato scheda bianca pur di non votare per Trump.

    Pena di morte e  marijuana – Si è votato inoltre per i Governatori di 12 Stati, i deputati di 44 Parlamenti statali su 50, i sindaci di alcune grandi città come Baltimora, Milwaukee e San Diego, molte cariche locali, come sceriffi e procuratori distrettuali. Così come per la pena di morte in Nebraska, che gli elettori hanno scelto di ripristinare respingendo la decisione dello scorso anno di sospenderla, mentre California e Massachusetts è stata approvata la legalizzazione della marijuana per uso ricreativo.

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