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  • Il potere logora chi ce l’ha

    Il potere logora chi ce l’ha

    IL PUNTO di Vittorio Giordano

    ‘Il potere logora chi non ce l’ha’, amava ripetere Giulio Andreotti, personaggio-simbolo della Democrazia Cristiana e, per antonomasia, della Prima Repubblica italiana. Evidentemente, in Canada, il potere logora anche chi ce l’ha. È il caso del Primo Ministro Justin Trudeau, che, a Ferragosto, nel bel mezzo dell’estate e delle ferie per molti ancora in corso, con la quarta ondata della pandemia ormai alle porte (nonostante i vaccini) ed il mondo alle prese con la rediviva minaccia talebana (e la drammatica crisi umanitaria che sta per abbattersi sull’Afghanistan), ha convinto la neo Governatrice generale di indire le elezioni anticipate per lunedì 20 settembre. (Perchè poi si voti in un giorno lavorativo, piuttosto che di domenica, resta un mistero indecifrabile tutto canadese). Una chiamata alle urne di cui nessuno, tranne Trudeau naturalmente, avvertiva la necessità. La giustificazione avanzata dal leader liberale non convince: dopo 2 anni di gestione della pandemia, «spetta ai Canadesi stabilire come portare a termine la lotta al Covid-19 e come far ripartire il Paese. Hanno il diritto di esprimersi», ha sottolineato il leader liberale. Ci risulta che i Canadesi si siano espressi meno di 2 anni fa – era il 21 ottobre del 2019 – affidando a Trudeau il compito di formare un governo minoritario (potendo contare su 157 seggi, rispetto ai 181 appannaggio dei partiti di opposizione). Il messaggio è stato chiaro: affidiamo la guida del Paese a Trudeau, ma senza carta bianca: sui singoli provvedimenti, preferiamo che si confronti con gli altri partiti. Una scelta legittima, tanto che 4, delle ultime 6 elezioni, hanno partorito governi di minoranza. Un esito che Trudeau, sentendosi un leader dimezzato, non ha mai davvero accettato. Un disagio acuito dalla pandemia, un evento raro e imprevedibile, ma la cui gestione rientra tra le prerogative di qualsiasi governo democraticamente eletto. E così, con il pretesto dell’ostruzionismo delle opposizioni in Parlamento (sebbene ci risulti che il governo abbia legiferato senza troppi intoppi, grazie al sostegno spesso incondizionato dell’NDP), sulle ali della popolarità certificata dai sondaggi e mirando a capitalizzare il massiccio sostegno pubblico fornito ai cittadini (con la PCU) ed alle imprese (con il sussidio agli affitti), Trudeau ha forzato la mano, ed i tempi, per consolidare il suo potere puntando su un governo maggioritario. As simple as that. Naturalmente, il fine giustifica i mezzi. E così, il Canada spenderà 612 milioni di fondi pubblici (100 milioni in più, rispetto all’ultima volta) per mettere in moto la macchina elettorale. Poco importa se, nel frattempo, il deficit per il 2020/21 sia deflagrato a 354 miliardi e se il debito pubblico sia esploso a 1079 miliardi, il 49% del Prodotto Interno Lordo. ‘Quisquilie’, direbbe Totò. Fermo restando il diritto costituzionale di Trudeau di porre fine alla legislatura, resta la sensazione di un voto forzato, sicuramente né essenziale né pertinente, che assume più le sembianze di un referendum sulla sua gestione della pandemia. Trudeau scommette sulla generosità dei suoi programmi di sostegno, per ottenere la giusta ricompensa dai cittadini-beneficiari. Un rischio calcolato, forse rischioso e inopportuno, ma che alla fine dovrebbe premiarlo, anche per la manifesta inferiorità degli avversari politici. I leader dell’opposizione, infatti, continuano ad annaspare: O’Toole è freddo e poco carismatico, Yves-François Blanchet è solido e persuasivo, ma limitato ai confini identitari della Belle Province, mentre Jagmeet Singh fa demagogia con proposte anti-economiche da Repubblica socialista. Alla fine, a spuntarla potrebbe essere proprio chi, logorato dal potere, ha sparigliato le carte per avere ancora più potere: Justin Trudeau.

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  • Scuse sacrosante. E ora tre opere per non dimenticare

    Scuse sacrosante. E ora tre opere per non dimenticare

    IL PUNTO di Vittorio Giordano

    Campo di Petawawa, Ontario

    Giustizia è fatta. Dopo oltre 80 anni di colpevole silenzio, il cerchio si è chiuso e la dolorosa cicatrice dell’internamento può finalmente rimarginarsi. Il Primo Ministro Justin Trudeau ha mantenuto la promessa. E poco importa se ci saranno le elezioni il prossimo autunno. Le speculazioni elettoralistiche non ci riguardano: conta solo il risultato. Dopo l’annuncio del giugno 2019, il leader liberale ha fatto ‘mea culpa’ in Parlamento, a nome del governo, per il trattamento ingiusto e discriminatorio inflitto agli Italo-Canadesi durante la Seconda Guerra Mondiale, quando oltre 600 uomini e donne furono internati ed oltre 31mila finirono sotto la stretta sorveglianza della Gendarmeria Reale del Canada (GRC), in quanto “nemici stranieri”. Senza alcuna prova, senza un preciso capo di accusa, senza un giusto processo, con i beni confiscati e mai più restituiti. Un’intera Comunità, peraltro già integrata nel tessuto sociale ed economico del paese, messa alla berlina, vittima di odiosi pregiudizi, violenze gratuite e razzismo strisciante (con una diffidenza che si è trascinata per decenni), solo perchè di origine italiana. Ed è stato un bene che a cospargersi il capo di cenere sia stato Trudeau, visto che l’artefice di quei provvedimenti incivili è stato un altro Primo Ministro liberale, William Lyon MacKenzie King. È vero che già il Primo Ministro conservatore Brian Mulroney aveva presentato le scuse pubbliche nel 1990, parlando di trattamento “abusivo, ingiusto e illegale”, ma lo aveva fatto in occasione di un evento comunitario, senza il sigillo della cornice istituzionale. Tornando all’attualità, è ancora più significativo il fatto che Trudeau, nell’offrire le scuse, si sia rivolto in italiano (“Signor Presidente”) ad Anthony Rota, primo Italo-Canadese della storia a presiedere la Camera dei Comuni. Non poteva esserci finale migliore. Con buona pace di chi, ancora oggi, anche tra gli agguerriti storici di origine italiana, si ostina ad accusare il governo di lettura semplicistica dei fatti del tempo. La verità è che le autorità canadesi, adottando la ‘War Measures Act’ e sospendendo le libertà civili, hanno agito d’impulso e “sparato” nel mucchio per precauzione, sulla base di sospetti, congetture e supposizioni. Confondendo il patriottismo, l’attaccamento alle proprie origini con il sostegno al regime fascista. E così, temendo fantomatici atti di sabotaggio o di terrorismo, se non addiritttura un’inverosimile ‘Quinta Colonna’, hanno fatto degli Italo-Canadesi dei ‘capri espiatori’. Quando invece i pochi fanatici erano solo vittime ingenue della propria esuberanza (“Non hanno obbedito a nessuna considerazione di filosofia politica”, scrive Mario Duliani in ‘Città senza donne’, 1946). Mentre in tanti si sono arruolati da volontari nell’esercito di Sua Maestà, combattendo valorosamente sul fronte del Pacifico, fino a perdere la vita per difendere i valori della loro patria adottiva. Adesso manca solo l’ultimissimo tassello per completare l’opera: un indennizzo per finanziare progetti comunitari affinché questa pagina oscura della storia canadese costituisca un monito per le generazioni future. Non auspichiamo un risarcimento pari ai 300 milioni di dollari accordati ai 22 mila Canadesi di origine giapponese in occasione delle scuse formali del 1988, anche perché i ‘protagonisti’ sono ormai passati a miglior vita, ma un fondo simbolico per alcuni progetti specifici, così come emerge dalla proposta “Riconoscere, commemorare e insegnare” presentata al governo nel giugno del 2019 da tre Organismi in rappresentanza della Comunità: il Congresso Nazionale degli Italo-Canadesi, la Federazione Nazionale dell’Associazione della gente d’affari e dei professionisti Italo-Canadesi (CIBPA) e l’Ordine dei Figli e delle Figlie d’Italia del Canada. Le tre organizzazioni hanno prospettato al governo tre lodevoli iniziative: l’allestimento di una Mostra commemorativa al Canadian Museum for Human Rights di Winnipeg; la creazione di Museo permanente alla Casa d’Italia di Montréal sulla storia della Comunità Italo-Canadese; e l’attivazione di tre Centri di studio – in altrettante Università: Montréal, Toronto e Vancouver – per l’insegnamento del contributo Italo-Canadese allo sviluppo della società canadese. Tre proposte di buon senso e di stampo educativo: per non dimenticare e per investire in un futuro migliore. Affinché valori come resilienza, tenacia, coraggio, forza di volontà, senso della famiglia e spirito di sacrificio diventino valori imprescindibili e non negoziabili per tutti i Canadesi.

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  • Justin Trudeau chiede scusa agli Italo-Canadesi

    Justin Trudeau chiede scusa agli Italo-Canadesi

    Il MEA CULPA del Primo Ministro in Parlamento

    «NOI CI SCUSIAMO»

    La mozione è stata approvata all’unanimità, appoggiata anche dagli altri leader dei partiti in Parlamento: Erin O’Toole (PCC), Marie-Hélene Gaudreau (PQ), Jagmeet Singh (NDP) ed Elisabeth May (Verdi). Ecco il video degli interventi.

    OTTAWA – Il 27 maggio resterà una data storica per la Comunità Italo-Canadese. Alle ore 10:05, il Primo Ministro del Canada, Justin Trudeau, ha offerto le scuse ufficiali, in Parlamento, per l’internamento indiscriminato e ingiustificato perpetrato dalla autorità di Ottawa ai danni degli Italo-Canadesi, durante la Seconda Guerra Mondiale.

    Nel suo intervento alla Camera dei Comuni, Trudeau ha raccontato la storia di un Italo-Canadese, Giuseppe Visocchi, arrestato in occasione di un matrimonio sulla strada Dante, a Montréal, nel 1940. Il Primo Ministro ha illustrato così il danno arrecato alla Comunità italiana del Canada durante quel periodo buio della storia. Gli Italo-Canadesi arrestati furono internati a Petawawa, Kanaskakis, Kingston o Fredericton come “Nemici dello Stato”. “La politica dell’internamento è stata ingiusta», ha aggiunto Trudeau. «In alcuni casi l’internamento è durato pochi mesi, altri sono stati detenuti per anni, ma gli impatti si sono fatti sentire per tutta la vita». Nel caso del Signor Visocchi, l’internamento è durato due anni. “Due anni durante i quali i suoi sette figli avevano bisogno del padre – ha sottolineato Trudeau – : due anni durante i quali sua moglie non sapeva come sarebbe riuscita a nutrirli ed a prendersi cura di loro. Due anni durante i quali questa madre ha dovuto resistere da sola, senza soldi, e incapace di chiedere aiuto ai familiari per paura di rappresaglie”. Trudeau ha concluso il suo intervento ringraziando gli Italo-Canadesi per il loro contributo allo sviluppo della società canadese. «A tutti gli Italo-Canadesi che arricchiscono le nostre Comunità, da St. John’s a Vancouver, da Montréal all’estremo Nord, il vostro esempio ci ricorda che la diversità sarà sempre la nostra forza. Il coraggio, la resilienza e la ferma convinzione che insieme siamo più forti», ha detto in francese, inglese e italiano.

    Il 14 aprile scorso, il leader liberale si era impegnato nella Camera dei Comuni a “corregge questo torto perpetrato nei confronti della Comunità italiana”, in risposta ad un’interrogazione parlamentare del deputato Italo-Canadese Angelo Iacono.

    Un gruppo di Italo-Canadesi internati nel campo di Fredericton, 1941.
    FOTO: GLENBOW ARCHIVES

    Oltre 600 Italo-Canadesi – ricordiamolo – furono internati nei campi di concentramento (come quello tristemente noto di Petawawa, in Ontario), dopo che nel 1940 l’Italia decise di allearsi con la Germania e di entrare in guerra contro gli Alleati. Molti di loro avevano il passaporto canadese e alcuni erano addirittura nati in Canada. Senza alcuna specifica accusa e senza un giusto processo. Colpevoli solo di essere di origine italiana. Salvo poi essere liberati senza alcun risarcimento per i beni confiscati. In tutto il Paese, circa 31 mila Italo-Canadesi finirono sotto la stretta sorveglianza della Gendarmeria Reale del Canada (RCMP), perché “stranieri nemici”. Costretti ad affrontare sofferenze, angherie, vessazioni e discriminazioni.

    «I Canadesi di origine italiana – aveva dichiarato Trudeau in Parlamento il mese scorso – subiscono discriminazioni persistenti e stereotipi legati agli errori commessi dai nostri governi e dalle nostre istituzioni del passato che continuano a perseguitarli anche oggi”. “Giovedì – ha twittato qualche giorno fa il Primo Ministro – ho avuto degli incontri virtuali con alcune famiglie di Italo-Canadesi internati durante la Seconda guerra mondiale. Abbiamo parlato di questo momento oscuro della storia del Canada e di come la Comunità Italo-Canadese abbia sopportato per troppo tempo il peso di questa ingiusta politica”. “I Canadesi di origine italiana – ha poi aggiunto Trudeau in una nota ufficiale – hanno dato Un immenso contributo sociale, economico e culturale al nostro Paese. Non possiamo cancellare i nostri fallimenti passati, ma, presentando queste scuse, ci auguriamo di contribuire a rendere giustizia a chi ha sofferto e fare in modo che le lezioni apprese non siano dimenticate».

    Dopo 81 anni, il governo liberale ha posto rimedio ad una grave ingiustizia, visto che ad ordinare l’internamento era stato il Primo Ministro dell’epoca, il liberale Mackenzie King. Saldando, così, un debito con la storia e rimarginando una cicatrice che non si è mai completamente cicatrizzata.

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  • A maggio le scuse ufficiali agli Italo-Canadesi

    A maggio le scuse ufficiali agli Italo-Canadesi

    OTTAWA – La pazienza degli Italiani sta per essere premiata. I tempi sembrano essere finalmente maturi. Il 14 giugno 2019, il Primo Ministro Justin Trudeau si era pubblicamente impegnato a presentare le scuse ufficiali del governo alla Comunità italo-canadese per gli arresti indiscriminati e ingiustificati perpetrati durante la Seconda Guerra Mondiale. Poi è arrivata la pandemia, che ha sconvolto le nostre vite e dettato l’agenda del governo, per forza di cose incentrata sull’emergenza sanitaria ed economica. Con l’avvento dei vaccini, intravediamo la luce in fondo al tunnel. Ed è in questo solco di speranza, di fiducia e di rinascita che si inserisce l’annuncio del capo del governo canadese: Ottawa presenterà le sue scuse ufficiali nel mese di maggio (la data precisa non è ancora disponibile). Nel 1988, ricordiamolo, il Canada si è scusato formalmente offrendo risarcimenti pari a 300 milioni di dollari ai Canadesi di origine giapponese, 22.000 dei quali furono internati durante la Seconda guerra mondiale. Trudeau non ha specificato se ci sarà un indennizzo anche per gli Italo-Canadesi. Ci auguriamo, naturalmente, che questo annuncio non si riveli un mero calcolo elettorale, visto che si parla con sempre maggiore insistenza di elezioni imminenti già nel prossimo autunno. 

    In un comunicato ufficiale, il governo ha ricordato come oltre 600 Italo-Canadesi furono internati nei campi di concentramento (come quello tristemente noto di Petawawa, in Ontario), dopo che nel 1940 l’Italia decise di allearsi con la Germania e di entrare in guerra contro gli Alleati. In tutto il Paese, circa 31 mila Italo-Canadesi finirono sotto la stretta sorveglianza della Gendarmeria Reale del Canada (RCMP), perché “stranieri nemici”. Mercoledì 14 aprile, rispondendo ad un’interrogazione del deputato Angelo Iacono, Trudeau ha annunciato alla Camera dei Comuni che il suo governo “correggerà questo torto”. “Centinaia di Italo-Canadesi furono internati semplicemente perché di origine italiana”, ha detto Iacono nel corso del suo intervento, via Zoom, dall’ufficio di circoscrizione. “Sono stati sradicati dalle loro case, lasciando in molti casi i bambini senza padri e le famiglie senza uno stipendio per mettere il cibo a tavola. Delle vite e delle carriere, delle imprese e delle reputazioni sono state interrotte e rovinate, senza che mai nessuno sia stato ritenuto responsabile. Gli Italo-Canadesi convivono con questi ricordi da molti anni e meritano di voltare pagina».  Trudeau ha risposto che i Canadesi di origine italiana “subiscono discriminazioni persistenti e stereotipi legati agli errori commessi dai nostri governi e dalle nostre istituzioni del passato, che continuano a influenzarli fino ad oggi”. “Sono orgoglioso di alzarmi in piedi – ha detto il Primo Ministro, levandsi dal suo scranno – e di poter affermare che il nostro governo correggerà questo torto perpetrato verso la Comunità italiana, con delle scuse ufficiali a maggio”. Il comunicato stampa del governo ricorda come, nel 1939, il Regolamento per la difesa del Canada conferiva al Ministro della Giustizia il diritto di procedere a internarmenti, sequestrare beni e proprietà e limitare le attività dei residenti canadesi nati in paesi in guerra con il Canada. Nel 2018, la Gendarmerie Royale du Canada (GRC) ha rilasciato una dichiarazione in cui esprimeva tutto il suo rammarico per il coinvolgimento nelle operazioni di internamento. Decenni dopo l’internamento nella seconda guerra mondiale – continua la nota del governo –  gli Italo-Canadesi continuano a dichiarare la loro fedeltà al Canada. Queste scuse ufficiali onoreranno le famiglie di ciascuno dei 600 internati. È un atto di rispetto e riconoscimento per l’ingiustizia commessa nel 1940. Ai canadesi di origine italiana sono stati lesi i diritti civili, influenzando e cambiando le loro vite per sempre. Il Canada – conclude il comunicato – ospita oltre 1,6 milioni di Canadesi di origine italiana, una delle più grandi diaspore italiane nel mondo. Negli anni successivi alla guerra, questi hanno dato un contributo incommensurabile al tessuto sociale, culturale ed economico del Canada”. 

    La notizia è stata accolta con enorme soddisfazione dai 10 parlamentari liberali Italo-Canadesi: il Ministro della Giustizia David Lametti, il Ministro dell’Immigrazione Marco Mendicino, la Ministra del Lavoro Filomena Tassi, Judy A. Sgro, Francesco Sorbara, Angelo Iacono, Patricia Lattanzio, Francis Scarpaleggia, Chris Bittle e Mark Gerretsen (entrambi italiani da parte materna). “Diversi residenti Italo-Canadesi – hanno dichiarato in una nota ufficiale – hanno subito danni irreparabili. Il governo si scuserà ufficialmente con tutti i membri delle famiglie degli internati nei campi di Fredericton, Kananaskis e Petawawa. Il loro patrimonio culturale poteva essere italiano, ma erano prima di tutto canadesi. In qualità di deputati italiani, siamo grati a tutti coloro che, prima di noi, hanno messo in luce e contribuito a rendere queste scuse una realtà per le famiglie coinvolte e le nostre Comunità Italo-Canadesi”. (V.G.)

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  • Ottawa sospende i voli per Messico e Caraibi

    Ottawa sospende i voli per Messico e Caraibi

    Linea dura del governo Trudeau. Entro metà febbraio, entreranno in vigore le nuove regole per chi rientra nel Paese:
    quarantena obbligatoria in hotel al prezzo di 2.000 $ a testa. Air Transat interrompe tutti i voli fino al prossimo 30 aprile

    OTTAWA – Giro di vite del governo Trudeau per arginare le varianti da covid-19 ‘importate’ (quella inglese sembra essere più contagiosa e letale) che in questo momento rappresentano la preoccupazione numero uno dei governi di tutto il mondo, insieme allo scarso approvvigionamento dei vaccini. Su questo fronte, infatti, Trudeau ha fatto sapere che, al 50% di dosi in meno di Pfizer-BioNTech entro metà febbraio, si è aggiunto il 20% di dosi in meno di Moderna già questa settimana. Fatto sta che, in base ai dati aggiornati al 1º febbraio, il Canada ha vaccinato solo 955.198 persone nel Paese, cioè 2,53 dosi ogni 100 abitanti (siamo al 15º posto nella classifica mondiale). A partire dal 30 gennaio, e fino al 30 aprile, il governo federale ha raggiunto un accordo con i quattro principali vettori del paese – Air Canada, Air Transat, Sunwing e WestJet – per la sospensione dei collegamenti verso le località turistiche del Messico e dei Caraibi. E non è finita qui. Entro metà febbraio (la data definitiva non è stata ancora ufficializzata), tutti i viaggiatori in arrivo nei quattro scali che ancora assicurano collegamenti con altri Paesi – Toronto, Vancouver, Montréal e Calgary – dovranno sottoporsi ad un tampone obbligatorio. In attesa del risultato, questi viaggiatori dovranno effettuare la quarantena obbligatoria fino a tre giorni in hotel designati dal governo federale. Il costo sarà a carico dei viaggiatori e dovrebbe ammontare a 2.000 $ circa. Un prezzo salatissimo, giustificato dal fatto che, oltre al soggiorno alberghiero, dovranno essere sostenute anche altre spese, come i controlli di sicurezza, le misure per la protezione dei dipendenti, il trasporto dall’aeroporto ed e i costi sanitari per i tamponi. I viaggiatori che risultano negativi al test potranno continuare la loro quarantena a casa, ma saranno sorvegliati in maniera costante dal governo federale. Su questo punto Trudeau è stato chiaro: i controlli saranno rigidi e saranno operati da diverse compagnie di sicurezza privata (G4S Secure Solutions Ltd., GardaWorld e Paladin Risk Solutions), che si sono assicurate una commessa governativa di 2 milioni di dollari. Questi stessi viaggiatori, poi, dovranno sottoporsi ad un altro tampone, al decimo giorno di quarantena: “In questo modo – ha spiegato la responsabile della Sanità pubblica canadese, Theresa Tam – potremo tenere sotto controllo chi ha un periodo di incubazione più lungo, mettendolo in isolamento prima della fine della quarantena, qualora l’esito sia positivo”. Chi risulterà subito positivo, invece, dovrà continuare la quarantena presso una struttura sanitaria pubblica, questa volta a spese del governo. Tutte queste nuove misure si aggiungono all’obbligo di presentarsi all’imbarco per rientrare in Canada con un tampone negativo effettuato non oltre le 72 ore precedenti il volo. Alla domanda sulla scelta di noni ncludere la Florida tra le destinazioni vietate, il Ministro federale dei trasporti Omar Alghabra ha risposto: “Con le compagnie aeree abbiamo deciso di cancellare i voli per i Caraibi ed il Messico perché rappresentano le destinazioni più popolari per i viaggiatori canadesi”. In ogni caso, non ci saranno voli di stato per rimpatriare i canadesi all’estero: sarà loro responsabilità accordarsi con le agenzie di viaggie le compagnie aeree per il volo di ritorno. Air Canada e WestJet si sono già impegnate a mettere in atto piani di emergenza per i rimpatri, così come Air Transat, che contestualmente ha deciso di sospendere tutti gli altri volti per i prossimi tre mesi. Più nel dettaglio, Air Transat effettuerà diverse dozzine di voli nelle prossime due settimane per riportare i suoi passeggeri in Canada: chi ha un volo di rientro nel Paese da qui al 13 febbraio manterrà il volo originale, mentre i clienti, a cui verranno successivamente cancellati i voli,  verranno automaticamente reindirizzati su un altro volo Air Transat. (V.G.)

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  • Più della metà dei canadesi sarà vaccinata entro settembre

    Più della metà dei canadesi sarà vaccinata entro settembre

    di Giulia Verticchio

    OTTAWA Trudeau non ha date precise. Legault incalza. La ‘Santé publique du Canada’ evocava già lo scenario piuttosto ottimista in cui la maggior parte dei 38 milioni di canadesi potrebbero essere vaccinati entro la fine del 2021, ma il Primo Ministro del Canada è andato poi più lontano: “Ci sono buone possibilità che, se tutto va come previsto, si possa vaccinare la maggior parte dei canadesi di qui a settembre prossimo”, ha dichiarato Justin Trudeau, non potendo dare tuttavia dettagli su quando le prime dosi potrebbero essere somministrate, sottolineando che bisogna prima pensare alla ‘linea di arrivo’ che alla ‘linea di partenza’ della corsa, riferendosi a quella che sarà l’effettiva distribuzione dei vaccini da parte delle case farmaceutiche. Alcuni Primi ministri provinciali, spazientiti, reclamano un calendario chiaro, soprattutto François Legault. Le autorità federali tuttavia attendono la prima consegna dei vaccini candidati di Pfizer e Moderna negli Stati Uniti, previa approvazione del Food and Drug Administration (FDA), a partire da dicembre. Dopodiché, Health Canada procederà il più velocemente possibile. Ottawa si è riservata 40 milioni di dosi per questi due vaccini, con delle opzioni per 132 milioni di dosi supplementari.

    Un Maggior Generale responsabile della distribuzione. Trudeau ha anche annunciato che sarà il Maggior Generale Dany Fortin (nella foto a destra) delle Forze Armate Canadesi (FAC) il responsabile dell’operazione federale di distribuzione dei vaccini, dirigendo la logistica per la Public Health Agency of Canada. Quebecchese, originario di Montmagny, nella regione Chaudière-Appalaches, Fortin ha sulle spalle 35 anni di servizio, è stato Comandante della divisione militare che interviene in caso di catastrofi naturali, Comandante della 5° Brigata Meccanizzata del Canada a Valcartier, in Québec, schierato in Bosnia e in Afghanistan, nonché a capo della missione della North Atlantic Treaty Organization (NATO) in Irak. La sua scelta è stata accolta con favore dagli ambienti militari e anche dall’opposizione: il deputato conservatore Pierre Paul-Hus lo ha definito “molto organizzato e cartesiano, ma anche molto umano”. Circa 27 membri delle forze armate sono stati distaccati per sostenere l’Agenzia federale della Sanità Pubblica nell’operazione di immunizzazione. Il loro compito si preannuncia complesso data la geografia del paese, i requisiti per la conservazione del vaccino a temperature estremamente rigide e il necessario coordinamento tra i diversi livelli di governo. Ottawa ha acquistato 126 congelatori, 26 dei quali in grado di raggiungere la temperatura di -75°C. Anche il governo provinciale dell’Ontario, per dirigere l’operazione di vaccinazione sul suo territorio, ha designato il Generale in pensione Rick Hillier, ex Capo di Stato Maggiore della Difesa. Il Quèbec, invece, ha optato per l’alto funzionario Jérôme Gagnon.

    Chiusura della frontiera
    terrestre tra Canada e Stati Uniti estesa fino al 21 Gennaio
    . Justin Trudeau ha annunciato che, in accordo con le autorità governative americane, la chiusura del confine tra Canada e Stati Uniti per i viaggi non essenziali, che era stata stabilita fino al 21 Dicembre, è stata prorogata di altri 30 giorni, fino al 21 Gennaio. Ricordiamo che la frontiera tra due paesi più lunga del mondo è chiusa agli spostamenti non essenziali dal 18 Marzo. Il travel ban non si applica a coloro che devono attraversare la frontiera per garantire il flusso continuo di merci e servizi essenziali.(G.V.)

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  • Erin O’Toole è il nuovo leader

    Erin O’Toole è il nuovo leader

    OttawaErin O’Toole è il nuovo leader del Partito Conservatore del Canada (CPC): la sua elezione è stata ufficializzata domenica notte al terzo scrutinio ed al termine di uno scrupoloso conteggio. O’Toole si è aggiudicato le primarie con il 57% dei voti e 19.271 punti, mentre l’ex Ministro della Giustizia Peter MacKay, considerato il favorito alla vigilia, è arrivato secondo con il 43% e 14.528 punti. I punti necessari per spuntarla erano 16.901 (sui 33.800 che rappresentano le 338 circoscrizioni). Leslyn Lewis è stata eliminata al secondo turno (10.140 punti), mentre Derek Sloan non è andato oltre il primo turno. In tutto, ad avere diritto di voto erano 269.000 iscritti al partito ed il tasso di partecipazione è stato del 65%. Una partecipazione da record. In particolare, secondo le nostre informazioni, nella circoscrizione di Saint Léonard O’Toole ha riscosso il 70% dei consensi. O’Toole, è bene sottolinearlo, ha incassato l’appoggio di un esponente di spicco del partito conservatore come l’Italo-Canadese Vincenzo Guzzo (nella foto in basso), che ha occupato anche il ruolo di presidente del comitato di raccolta fondi durante la campagna elettorale. A favore di O’Toole, inoltre, si è espresso pubblicamente anche Ilario Maiolo, ex candidato conservatore nella contea di Saint-Léonard. Erin O’Toole, sostenuto anche dal Primo Ministro dell’Alberta Jason Kenney, succede così al dimissionario Andrew Scheer ed assume anche il ruolo di capo dell’opposizione ufficiale alla Camera dei Comuni, dove oggi i conservatori contano 121 deputati. Un ruolo che sembra calzargli a pennello, grazie ad una personalità più forte e ad un piglio molto più carismatico rispetto al precedessore. Lo ha dimostrato subito dopo l’elezione, attaccando a testa bassa Justin Trudeau: “Trudeau e il suo governo stanno indebolendo il nostro Paese – ha detto nel suo discorso di insediamento -. Dobbiamo continuare a mettere in risalto la corruzione e i fallimenti liberali, ma dobbiamo anche far conoscere ai canadesi la nostra visione per un Canada più forte, più prospero e più unito. Il mondo – ha poi sottolineato – ha bisogno di più Canada e di meno Justin Trudeau”. “I quebecchesi nazionalisti – ha quindi aggiunto per ingraziarsi  l’elettorato della Belle Province – hanno un peso importante in seno al partito conservatore”. “Noi saremo il partito dei cittadini dimenticati”, ha concluso. Il neo leader conservatore sembra già pronto a sfidare il Partito Liberale. Il governo di minoranza guidato da Justin Trudeau, che ha messo fine alla sessione parlamentare in corso, dovrà sottoporsi ad un voto di fiducia in occasione del Discorso del Trono fissato per il 23 settembre. Se non in autunno (poco probabile), già la prossima primavera potremmo essere in piena campagna elettorale. Con Erin O’Toole che sembra determinato a riconquistare il potere. 

    IL PROFILO. O’Toole, 47 anni, è nato a Montreal (padre irlandese e madre inglese), ma è cresciuto in Ontario (Bowmanville e Port Perry). Sposato e padre di due figli, dal 2012 siede in Parlamento come deputato, eletto nella contea di Durham. Nel governo Harper è stato segretario parlamentare del Ministro del Commercio internazionale, prima di essere nominato Ministro dei Veterani. In precedenza, è stato membro della Royal Canadian Air Force, prima di lasciare l’esercito per studiare Legge e intraprendere la carriera da avvocato a Toronto. Aveva già tentato di farsi notare nella corsa alla leadership conservatrice nel 2017, ma si era dovuto accontentare del terzo posto. Tre anni dopo, è tornato, questa volta corteggiando e conquistando l’ala più moderata del partito. Il suo programma di 50 pagine contiene impegni in una ventina di settori diversi. In particolare, O’Toole propone di creare una commissione d’inchiesta sulla gestione della pandemia; vuole conferire al Québec una maggiore autonomia su determinate questioni e punta a negoziare un accordo di libero scambio con altri membri del Commonwealth. (V.G.)

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  • Al Centro Dante zero contagi

    Al Centro Dante zero contagi

    La coordinatrice Nadine Zeidan: “Misure di protezione immediate, controlli frequenti e rigida formazione del personale”. Tra i casi più eclatanti, anche per la folta presenza di anziani Italo-Canadesi, ricordiamo la ‘Residenza Angelica’ a Montréal-Nord, dove si sono registrati ben 69 decessi (mentre in 162 sono guariti)

    Il Centro Dante

    Montréal  L’81% dei decessi legati al covid-19, in Canada, si sono verificati nei Centri di cura pubblici di lunga durata (CHSLD). Un’ecatombe che venerdì scorso, 3 luglio, è stato certificato anche dalla ‘Société royale du Canada’, la più antica organizzazione bilingue nazionale, che riunisce i più eminenti accademici, umanisti, scienziati e artisti canadesi, allo scopo di promuovere la conoscenza e la ricerca nelle arti, nelle lettere e nelle scienze. “Abbiamo agito male in Canada, in particolare in Quebec. Quello che è successo è spaventoso e non possiamo fare finta di niente”: sono le parole di Francine Ducharme, preside della facoltà di infermieristica dell’Università di Montreal e coautrice del rapporto, che ha stigmatizzato quanto accaduto come “tragico e prevedibile disastro”. Secondo gli ultimi dati disponibili, la pandemia ha fatto oltre 3.800 vittime nelle CHSLD in Québec, il peggiore bilancio di tutto il Canada. Secondo il presidente del Consiglio di protezione dei pazienti, Paul Brunet, “è stato un massacro”. “In effetti [il governo] ha trattato il popolo del Quebec come se esistessero due tipi di cittadini : –  ha poi rincarato la dose in un’intervista a TVA Nouvelles : – le persone sane, di cui si è preso cura immediatamente, e poi i CHSLD, gli anziani, di cui si è accorto solo a fine aprile-inizio maggio”. Un’accusa gravissima. Tanto che la Procura generale del Québec ha annunciato, nei giorni scorsi, un’inchiesta pubblica per fare luce su quella che si sta rivelando una vera e propria mattanza degli anziani nelle Case di cura. 

    Ecco la lista, pubblicata dal Journal de Montréal, dei CHSLD con più di 70 decessi:

    1. Centre Sainte-Dorothée, Laval: 100 morti, nessun caso attivo. 

    2. Centre Notre-Dame-de-la-Merci, Montréal: 94 morti, 3 casi attivi.

    3.  Centre Laurendeau, Montréal: 92 morti, 1 caso attivo.

    4. Centre Champlain-Marie-Victorin, Montréal: 84 morti, nessun caso attivo. 

    5. Centre Vigi de Mont-Royal: 81 morti, 1 caso attivo

    6. Centre Yvon-Brunet, Montréal: 72 morti, nessun caso attivo.

    7. Centre Saint-Jude, Laval: 71 morti, 9 casi attivi. 

    Tra le altre Case di cura, ce n’è una in particolare, la ‘Residenza Angelica’, gestita dalla Congregazione delle Suore di Carità di Santa Maria, nel territorio di competenza del CIUSSS du Nord-de-l’Île-de-Montréal, che, in base agli ultimi documenti in nostro possesso, ha registrato ben 69 decessi, e 162 residenti che invece sono riusciti a guarire. Facendo due calcoli, sui 345 residenti (di cui il 45% circa di origine italiana), 231 (69 + 162) hanno contratto il virus, ossia il 66%, i 2/3 dei residenti. Una proporzione enorme. Le famiglie degli anziani passati a miglior vita, però, non hanno mai nascosto la loro rabbia e frustrazione. E nelle scorse settimane, come ha riportato CTV News il 26 maggio scorso, hanno manifestato davanti alla Casa di riposo per chiedere chiarezza e trasparenza. L’accusa più grave è quella di negligenza, visto che il personale – dicono i familiari – era ridotto all’osso per le tante defezioni (in tanti hanno dovuto rinunciare, perché infetti loro stessi; altri si sono allontanati per paura), oltre ad essere esausto, visti i turni di lavoro massacranti a cui erano costretti. Senza contare, sempre secondo le famiglie, l’equipaggiamento inadeguato (maschere e visiere protettive) e la mancata separazione nelle stanze tra contagiati e non. Disorganizzazione, improvvisazione e scarsa trasparenza: questi i principali capi di accusa da parte dei diretti interessati.  Dal canto suo, la Residenza ha sempre respinto tutte le accuse: “L’assistenza e i servizi garantiti ai residenti hanno goduto dello stesso standard di qualità da 50 anni a questa parte”, ha dichiarato la portavoce Mélanie Aussant, aggiungendo che la struttura ha ricevuto la menzione d’onore dagli esperti in sanità di ‘Accreditation Canada’. Ciononostante, le famiglie sono sul piede di guerra e sono pronte ad adire le vie legali denunciando la residenza con una class-action. E giovedì 23 luglio, alle 15, hanno in programma una veglia davanti allo stabilmento, in memoria degli anziani deceduti.

    La Residenza Angelica

    Se i Centri sanitari pubblici di lunga degenza hanno rappresentato l’epicentro dei decessi in Canada, ci sono delle eccezioni che meritano di essere celebrate. Tra le 60 CHSLD pubbliche di Montréal, sotto la giurisdizione dei Centres intégrés universitaires de santé et de services sociaux (CIUSSS), solo tre non hanno registrato nessun contagio e, di conseguenza, nessun decesso dovuto al covid-19 : il Padiglione Camille-Lefebvre, a Lachine, che dipende però dal Centre universitaire de santé McGill (CUSM); il CHSLD Father-Dowd (CIUSSS du Centre-Ouest-de-l’Ile-de-Montréal) ed il CHSLD Dante (CIUSSS de l’Est-de-Montréal), che tuttora è chiuso ai visitatori come misura precauzionale. Il ‘Centro Dante’, ricordiamolo, ha compiuto 39 anni lo scorso giugno. L’apertura del Centro nel 1981 ha realizzato il sogno di un’intera Comunità, desiderosa di offrire ai suoi anziani, immigrati di prima e seconda generazione, una “casa” dignitosa dove trascorrere gli ultimi giorni in un ambiente familiare. Fin dalla sua istituzione, il Centro Dante accoglie gli anziani con scarsa autonomia, offrendo loro un ambiente imperniato sul “comfort culturale”, avendo cura di perpetuare i valori culturali, gli usi, i costumi e le abitudini alimentari del loro Paese di provenienza. Il Centro d’accoglienza Dante, che fa parte dei 15 CHSLD integrati dell’est di Montréal, offre 100 posti letto di lunga durata, 3 letti per soggiorni temporanei ed un centro diurno che può accogliere fino a 100 persone. Abbiamo chiesto a Nadine Zeidan, coordinatrice del Centro Dante, il segreto di questo successo: “Il merito va al grande impegno, sia dei dipendenti che dei dirigenti, che hanno saputo mantenere chiusa ermeticamente la struttura verso l’esterno, implementando tutte le misure di protezione dall’inizio della pandemia, fin dai primi indizi della sua diffusione, fin dai primissimi casi in Québec e a Montréal. Misure come il divieto per il personale di spostarsi in altre residenze, la prevenzione ed il controllo di malattie ed infezioni (con la verifica di tutti i sintomi da covid, come tosse e febbre, tra i dipendenti all’inizio del turno di lavoro), e la rigida formazione del personale, con il lavaggio frequente delle mani e l’obbligo di indossare maschere e visiere. A partire dal 13 marzo, le famiglie non hanno più potuto rendere visita ai propri cari, se non per motivi strettamente umanitari e di fine vita. Visite che sono riprese solo il 18 giugno scorso, sempre nel rispetto di misure igienico-sanitarie molto stringenti. Senza dimenticare – ha concluso scherzando – il buon vino, la pasta e la salsiccia e tutte le ricette della cucina italiana….”. (V.G.)

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  • Il covid-19 è “pacifista”

    Il covid-19 è “pacifista”

    L’EDITORIALE

    Cinema e teatri chiusi; ristoranti, pizzerie e negozi sull’orlo del fallimento; matrimoni e funerali annullati, cene in famiglia proibite, festival e concerti rimandati, stadi vuoti. Per settimane, mesi, ci siamo sottomessi, senza colpo ferire, in religioso silenzio, al diktat di scienziati, virologi e autorità sanitarie, che ci hanno imposto, di fatto, gli “arresti domiciliari”, in nome del famoso ‘distanziamento sociale’, diventato all’improvviso (almeno per noi cristiani) l’11º comandamento. Un dogma. Un precetto da non disattendere. Pena una multa salatissima e la sgradevole disapprovazione sociale. Per settimane, mesi, abbiamo subito il “terrorismo psicologico” di specialisti che, tutte le ore del giorno e della notte, ci hanno bombardato con le loro raccomandazioni in tv, per debellare una pandemia viscida e pericolosissima. “Non uscite, oppure rischiate di contrarre il virus e contagiare i vostri genitori e nonni, soprattutto se anziani o malati, condannandoli a morte”, uno dei messaggi più in voga. Tutti i media, allineati e coperti. Ci abbiamo quasi creduto. Atterriti. Poi, all’improvviso, l’evento rivelatore: un poliziotto bianco uccide un afroamericano a Minneapolis (omicidio che condanniamo, senza se e senza ma) e scoppia la rivolta sociale. Il poliziotto-killer, linciato dall’opinione pubblica, viene condannato al patibolo prima ancora di essere processato. Sarà condannato all’ergastolo. Giustamente. Ma solo dopo un processo, con il sacrosanto diritto alla difesa. Fino a prova contraria, la nostra civiltà è fondata sullo stato di diritto. Gli altri 3 poliziotti-complici saranno condannati ad almeno 20 anni per favoreggiameno. Giustamente. Quindi giustizia è fatta? Macchè! Da quasi 2 settimane, in migliaia si riversano sulle strade americane, e del mondo intero, protestando contro il razzismo e la brutalità poliziesca. Addirittura c’è chi chiede l’abolizione della polizia. L’abolizione del monopolio della forza in uno stato di diritto. (!!) Fatto sta che, dalle immagini televisive, ma anche in presa diretta per le strade di Montréal, abbiamo appreso che la pandemia è finita. Non ce ne siamo accorti, ma è finita. Evidentemente era tutto un gioco, una messa in scena, un bluff. Tutti fuori. Tutti insieme. Appassionatamente. Allegramente. Con le mascherine (non sempre), ma mai a distanza di sicurezza (2 metri). Altro che Organizzazione mondiale della Sanità, scienziati, virologi e autorità sanitarie (che hanno fatto del distanziamento sociale una conditio sine qua non)! Così hanno deciso gli onniscienti “pacifisti” del nuovo ‘ordine mondiale’. E, se la pandemia non è scomparsa, abbiamo scoperto che il covid-19 è “pacifista”: se marci per una “buona” causa, sei immune al virus. Miracolosamente. Magicamente. Clamorosamente. Perfino il Primo Ministro del Canada, Justin Trudeau, che per mesi ha predicato prudenza ed avallato restrizioni alle nostre libertà fondamentali, si è inginocchiato, a Ottawa, urbi et orbi, circondato da migliaia di manifestanti. Nel bel mezzo di una pandemia. Non è un film, è tutto vero: la pandemia è scomparsa, o è stata messa tra parentesi, per motivi ideologici. Il problema, però, è che… ‘Cà nisciuno è fesso’!  Se la  pandemia c’è, c’è sempre. Ed il distanziamento sociale è un obbligo imprescindibile. Non è a piacimento, a comando, o a convenienza. Se la pandemia è una presa in giro, una macchinazione, un’invenzione, – visto che il distanziamento sociale è diventato all’improvviso un optional – allora abbiamo scoperchiato il ‘vaso di pandora’: le istituzioni e le autorità pubbliche hanno perso ogni credibilità e autorevolezza, perché non agiscono in nome dell’interesse dei loro cittadini, ma secondo l’agenda occulta di un nuovo ‘ordine mondiale’.

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  • Legault: “Le scuole non riapriranno prima di maggio”. Trudeau stanzia 82 miliardi per famiglie e imprese

    Legault: “Le scuole non riapriranno prima di maggio”. Trudeau stanzia 82 miliardi per famiglie e imprese

    In Canada 943 casi di coronavirus, 139 in Québec e 31 a Montréal. In Italia i casi sono 47mila, nuovo record di morti in un giorno: ben 627 nella notte tra giovedì e venerdì, 380 solo in Lombardia. Nuova stretta del governo Conte: chiudono parchi e giardini, sport da soli e vicino a casa. Stop a spostamenti verso seconde case nei festivi

    di Giulia Verticchio

    31 i casi nella regione di Montreal. Calo storico di utenti della STM. Metro e bus deserti. La sindaca Valérie Plante ha annunciato la proroga di 1 mese dell’ultimo versamento delle imposte fondiarie per i proprietari residenziali e commerciali, la nuova data limite è dunque posticipata dal 2 giugno al 2 luglio. Una tregua per i cittadini che priva le casse del Comune di 2 miliardi di liquidità, circa 1/3 del budget annuale. La sindaca rassicura che questo non avrà nessun impatto sui servizi ai cittadini, che non verranno compromessi. “Piuttosto, dobbiamo tutti rivalutare la nostra capacità di portare a termine certi progetti”. La Ville de Montréal stabilisce anche una moratoria di 6 mesi per il rimborso del capitale e degli interessi per le imprese che hanno avuto prestiti dai fondi PME MTL, Fondi locali di solidarietà e Fondi di commercializzazione delle innovazioni. In arrivo anche sostegni a 700 fondi PME che coprano le spese degli interessi di 1,3 miliardi di dollari per questo periodo. Previsto anche un aiuto d’urgenza di 5 milioni di dollari per i settori più mortificati dalla situazione, ossia imprese culturali e artistiche, commerci al dettaglio e di prossimità e industria del turismo. Non solo la vita quotidiana degli anziani cambia drasticamente, ma anche quella dei giovani: i campus di UdeM e Concordia stanno sfrattando di punto in bianco gli studenti dalle residenze universitarie, costringendoli a fare i bagagli e trovarsi un altro alloggio entro 4 giorni. Si spera almeno che la crisi di abitazioni a Montréal si attenui, se chi ha una camera in più normalmente disponibile sul tanto combattuto Airbnb, ora dovrà per forza maggiore riaffiatarla a lungo termine, visto lo stop degli introiti turistici. Autobus e linee metro sono molto meno utilizzati in questi giorni e si riflette sulla probabilità di cogliere l’occasione per abbassare l’ormai notevole costo di abbonamenti e biglietti della Société de transport de Montréal. 

    139 i casi in Québec. Difficile pensare di riaprire le scuole prima di maggio. Dopo gli aiuti del governo federale, anche il Ministro dell’economia e dell’Innovazione del Québec, Pierre Fitzgibbon, ha stanziato 2 miliardi e mezzo a sostegno delle imprese, parlando di prestiti da 50 mila dollari a tassi d’interesse di favore per tutte le attività. Misure speciali previste però per i settori più minacciati, come ristorazione, alberghiero, turistico e aeronautica.  François Legault ha commentato che “la priorità ora è la salute, ma anche quella economica è un’altra battaglia da non trascurare”. Il governo invita ad acquistare locale, prediligere i prodotti quebecchesi e aggiunge: “Non potremo salvare tutte le imprese, ma faremo il massimo possibile, con dei margini di manovra che fortunatamente sono importanti”. Il premier della CAQ ormai fa il punto della situazione con una conferenza stampa ogni giorno, giovedì 2 volte nella stessa giornata. Dopo le pubbliche condoglianze alla famiglia della prima vittima quebecchese del Covid-19, una persona anziana nella Lanaudière, ha raccomandato alla popolazione di non spostarsi da una regione all’altra del Québec, se non strettamente necessario, non abbassare la guardia e mantenere le misure di distanza sociale, non organizzare pranzi o cene in gruppo, nemmeno per sole 6-7 persone. Un appello anche ai giovani “non è questo il momento di riunirsi tra amici” e ancora una volta agli anziani “non andate assolutamente nei centri commerciali”. La capacità della provincia di 3000 test al giorno è salita a 5000. Il direttore della sanità pubblica Horatio Arruda ha ammesso che questa sarà “una lunga e dura battaglia” e raccomanda di non utilizzare le maschere che sono importanti solo per il personale sanitario, la popolazione deve solo lavarsi le mani, non toccarsi il viso e disinfettare le superfici. Intanto grandi catene come Ikea, Simons, la Baie d’Hudson, H&M, scelgono di chiudere temporaneamente i loro punti vendita. Un’apprensione aggiuntiva per il Québec è lo chemin Roxham, in Montérégie, alla frontiera americana, dalla quale arrivano spesso a piedi immigrati irregolari. Justin Trudeau ha dunque annunciato che gli immigrati clandestini che attraversano questa frontiera verranno d’ora in avanti respinti. 

    943 i casi in Canada. Il ministro degli Affari Esteri, François-Philippe Champagne, ha annunciato il decesso di un cittadino canadese in Giappone, per complicazioni di salute legate al coronavirus. Misure finanziarie del governo federale. Justin Trudeau (che lavora in isolamento precauzione essendo sua moglie Sophie Grégoire positiva al virus) e il suo Ministro delle Finanze Bill Morneau hanno annunciato un piano di sostegno finanziario a famiglie, lavoratori e imprese, stanziando 82 miliardi di dollari canadesi. Previsto un intervento diretto da 27 miliardi per i lavoratori, salariati o autonomi – chiamato Emergency Care Benefit o Allocation pour soins d’urgence – un’indennità per chi deve restare a casa senza congedo di malattia remunerato, ma anche per gli autonomi, chi è in quarantena obbligatoria e quelli in auto isolamento che non possono contare sui benefici dell’Employment Insurance. Anche per i lavoratori che devono rimanere a casa perché un parente stretto è stato contagiato dal Covid-19 o per via della chiusura delle scuole. Garantito un assegno bisettimanale di 900 dollari per un massimo di 15 settimane, per un valore di 10 miliardi di dollari. Aumentato il sussidio del Canada Child Benefit in media di 300 dollari al mese per ogni figlio a partire da maggio. 55 miliardi di esenzione fiscale per rispondere al bisogno di liquidità delle famiglie e sovvenzioni salariali del 10% per le piccole imprese per i prossimi 90 giorni, fino a un massimo di 1.375 dollari a impiegato e 25.000 dollari a datore di lavoro. Nel pacchetto di misure previsti anche 305 milioni di aiuti diretti per le popolazioni indigene, 157 milioni per i senzatetto e 50 milioni per le donne vittime di violenza che hanno bisogno di una sistemazione. La dichiarazione dei redditi è stata posticipata al 1º giugno, cosi come il pagamento di eventuali debiti all’erario al 31 agosto,  Intanto Ottawa e Washington hanno concordato la chiusura della frontiera tra Stati Uniti e Canada fino a nuovo ordine. Interrotti i viaggi non necessari, ma gli scambi commerciali non verranno compromessi e le catene di approvvigionamento soprattutto di cibo, medicinali e carburante non verranno interrotte. Il Canada ha chiuso le frontiere agli stranieri, ammessi al ritorno solo cittadini canadese, residenti permanenti e anche studenti e lavoratori con permesso temporaneo valido. La compagnia aerea AirTransat annuncia la graduale sospensione dei voli internazionali, annullati i voli di aprile da Montreal e Toronto verso Roma. AirCanada mette temporaneamente alla porta 5.000 agenti di volo.  

    In Italia oltre 4mila decessi: 627 tra giovedì e venerdì, di cui 381 in Lombardia. Venti febbraio, venti marzo: un mese scarso, 47mila contagiati e oltre 4mila morti. I dati forniti venerdì dalla Protezione Civile nella consueta conferenza stampa delle 18 segnano un altro record: quello dei decessi in 24 ore, ben 627, cifra che fa salire il numero complessivo delle vittime a 4.032. Ieri l’aumento era stato di 427. Salgono di tanto anche i contagiati: sono complessivamente 37.860 i malati di coronavirus in Italia, con un incremento rispetto a mercoledì di 4.670 e con il numero complessivo dei contagiati – comprese le vittime e i guariti – che ha raggiunto i 47.021. Le persone ricoverate in terapia intensiva sono 2.655, 157 in più rispetto al giorno prima. Di questi 1.050 sono in Lombardia. Dei 37.860 malati complessivi, 16.020 sono poi ricoverati con sintomi e 19.185 sono quelli in isolamento domiciliare. I guariti, invece, nel Bel Paese sono 5.129, 689 in più in 24 ore, quando l’aumento era stato di 415 unità. “Non sapremo mai quando sarà il picco, dicono gli esperti – ha ammesso Angelo Borrelli, capo della Protezione Civile – : si parlava ragionevolmente della settimana prossima o successiva, ma non c’è un dato scientifico. Ci sono tendenze o valutazioni. Le misure finora hanno dato risultati – ha aggiunto il capo dipartimento della Protezione Civile –. Il numero di persone positive è frutto della circolazione del virus precedente alla stretta e ci auguriamo che con misure attuali e che saranno prese ci permetteranno di fermare l’epidemia”.  I DATI REGIONE PER REGIONE. Dai dati della Protezione Civile emerge che venerdì erano 15.420 i malati in Lombardia (1.482 in più di giovedì), 5.089 in Emilia Romagna (+583), 3.677 in Veneto (+508), 3.244 in Piemonte (+490), 1.844 nelle Marche (+222), 1.713 in Toscana (+291), 1.001 In Liguria (+118), 912 nel Lazio (+171), 702 in Campania (+97), 555 in Friuli Venezia Giulia (+33), 600 in Trentino (+109), 530 in provincia di Bolzano (+109), 551 in Puglia (+102), 379 in Sicilia (+58), 422 in Abruzzo (+56), 384 in Umbria (+56), 39 in Molise (+1), 288 in Sardegna (+84), 257 in Valle d’Aosta (+48), 201 in Calabria (+37), 52 in Basilicata (+15). Quanto alle vittime, se ne registrano: 2.549 in Lombardia (+381), 640 in Emilia Romagna, (+109), 131 in Veneto (+16), 209 in Piemonte (+34), 137 nelle Marche (+22), 47 in Toscana (+9), 119 in Liguria (+28), 17 in Campania (+0), 43 Lazio (+5), 38 in Friuli Venezia Giulia (+2), 26 in Puglia (+1), 17 in provincia di Bolzano (+3), 4 in Sicilia (+0), 17 in Abruzzo (+6), 7 in Umbria (+5), 7 in Valle d’Aosta (+1), 13 in Trentino (+1), 4 in Calabria (+1), 2 in Sardegna (+0), 5 in Molise (+3). I tamponi complessivi sono 206.886, dei quali oltre 128mila in Lombardia, Emilia Romagna e Veneto. Il giro di vite del governo: chiudono parchi e giardini. Chiusi tutti i parchi, le ville e i giardini pubblici. L’attività sportiva resta consentita, ma solamente vicino a casa. Viene introdotto il divieto di spostarsi nelle seconde case nei giorni festivi. La nuova ordinanza del governo, per uniformare le regole del contenimento sull’intero territorio nazionale, è arrivata come previsto venerdì in tarda serata. Palazzo Chigi ha accolto le richieste di regole più stringenti per fermare il coronavirus, arrivate soprattutto dalla Lombardia, dopo che altre Regioni avevano deciso di agire in autonomia. Sempre nella serata di venerdì c’è stata una videoconferenza tra i sindaci lombardi e il governatore Attilio Fontana. Da Milano Giuseppe Sala ha annunciato al Tg1 la proposta dei sindaci di chiudere “anche i tabacchi“. Mentre da Bergamo, la città al momento più sotto pressione, il Sindaco Giorgio Gori ha chiesto al governo di “bloccare tutto ciò che non è essenziale“. L’esercito lungo le strade (giovedì le denunce sono state 9.400) per effettuare controlli – ad iniziare da Milano con 114 militari – potrebbe non bastare e per questo l’esecutivo valuta anche l’opzione di tracciare i cellulari per ricostruire i contatti. Intanto, però, la nuova stretta da Palazzo Chigi è arrivata: durerà fino al 25 marzo, giorno in cui scade il Decreto del presidente del consiglio che ha disposto la chiusura di bar e negozi.

    Oltre 11.000 morti nel mondo, 5.000 in Europa E mentre gli ospedali europei reclamano macchinari respiratori, in Africa mancano acqua e sapone. L’Unicef stima che il 40% della popolazione mondiale, circa  3 miliardi di persone, non hanno accesso ad acqua corrente pulita e sapone per lavarsi le mani. Il terzo triste podio, subito dopo Cina e Italia, per numero di contagi, è ormai la Spagna, con una precipitosa ascesa a oltre 20 mila casi. Seguono Germania, Iran, Stati Uniti e Francia. Alcune testate riportano che invece in Cina non è stato più registrato alcun caso di contagio “domestico”, interno, non arrivato dall’estero, per la prima volta dallo scoppio dell’epidemia. 

    A Londra, un bébé positivo al COVID-19 alla nascita. La mamma infetta. Le testate britanniche riportano il caso di una donna che era stata ammessa al North Middlesex Hospital di Enfield, nella periferia nord di Londra, qualche giorno prima del parto per dei sintomi pneumonici. Dopo la nascita del bimbo, entrambi sono stati dichiarati positivi al test coronavirus. I due sono stati purtroppo separati, dal momento che la madre è stata trasferita in un centro specializzato per le malattie infettive, mentre il neonato è rimasto nell’ospedale. I medici brancolano attualmente nel buio nell’identificare tempi e modalità del contagio, se durante la gravidanza attraverso la placenta, durante il parto attraverso i liquidi corporali o a contatto con la madre subito dopo la nascita. Dopo questo inquietante caso, un ospedale di Wuhan, la città cinese da cui è partita l’epidemia, ha analizzato liquido amniotico, sangue del cordone ombelicale, latte materno e gola dei neonati di 9 casi in cui le donne incinta avevano contratto il virus e nessun campione è risultato positivo. Da queste analisi sembrerebbe dunque che il virus non passi dalla mamma al feto. Il caso londinese resta dunque ancora un triste mistero scientifico ancora tutto da spiegare. La Terra respira. Crolla l’inquinamento atmosferico. Le immagini satellitari della Nasa e dell’Agenzia spaziale europea mostrano una drastica riduzione delle emissioni di biossido di azoto – quelle rilasciate da veicoli, centrali elettriche e impianti industriali – in primis in Cina e Italia del Nord. Si prevedono riduzioni dell’inquinamento atmosferico anche negli Stati Uniti. Secondo la Bbc, che incrocia dati forniti dalla Columbia University e da altri studi compilati negli ultimi giorni, rispetto allo stesso periodo del 2019, il monossido di carbonio, emesso per lo più dalle macchine, è diminuito del 50% come conseguenza della riduzione del traffico, in media del 35% su scala globale.

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