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  • Com.It.Es di Montréal | Vittorio Giordano eletto presidente

    Com.It.Es di Montréal | Vittorio Giordano eletto presidente

     

    Il nuovo Comites di Montreal. Nella foto manca Daniela Fiorentino, che ha partecipato alla riunione via zoom dall’Italia.

    MONTRÉAL – Si è tenuta giovedì 16 dicembre, presso l’Istituto Italiano di Cultura di Montréal, la prima riunione del neo eletto Com.It.Es di Montréal, cui hanno preso parte anche il Console d’Italia a Montréal, Lorenzo Solinas, e la Cancelliera Amministrativa dello stesso Consolato, Gabriella Petrone.

    Come già annunciato, la lista INSIEME PER GLI ITALIANI (591 voti) si è aggiudicata le elezioni per il rinnovo del Comites di Montréal, conquistando la maggioranza relativa dei seggi con 7 eletti su 12: Vera Rosati, Vittorio Giordano, Anna Colarusso, Daniela Fiorentino, Marino De Ciccio, Anna Maria Buondonno e Margherita Maria Morsella. Gli altri 5 posti sono andati alla lista UNITALIA (494 voti): Renzo Orsi, Paola Miserendino, Luisa Rabach, Santino Quercia e Maria Ciccone. Nella circoscrizione consolare di Montréal, gli iscritti nei registri elettorali sono stati 1.718 su 37.247 iscritti all’Aire, ovvero il 4,61% degli eventi diritto. Alla fine, hanno effettivamente votato in 1.270, ovvero il 3,4% degli elettori potenziali. Al netto delle buste annullate (111), delle schede bianche (2) e delle schede nulle (72), i voti validi sono stati 1.085.

    Il post su Facebook del Consolato Generale d’Italia a Montreal che certifica l’esito della prima riunione del Comites appena insediato.

    La seduta d’apertura, come prevede la legge, è stata presieduta dal più votato dei candidati, il prof. Renzo Orsi, il quale, dopo aver espresso le proprie congratulazioni ai neo eletti consiglieri, ha proceduto con gli adempimenti previsti dalla normativa per la prima riunione. I consiglieri hanno quindi proceduto con l’elezione del Presidente, esprimendosi a maggioranza a favore di Vittorio Giordano. Come vicepresidente è stata scelta Vera Rosati. A completare il comitato esecutivo sono Anna Colarusso (che è stata altresì eletta Segretaria del Com.It.Es.) e Margherita Morsella, nelle veci di tesoriera.

    La presidente uscente, Giovanna Giordano, si è subito congratulata con il neo presidente, Vittorio Giordano, ripromettendosi di procedere, già nei prossimi giorni, al passaggio di consegne come previsto dalla Legge.

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  • Trivellazioni, un Referendum nato morto

    Trivellazioni, un Referendum nato morto

    Il Punto di Vittorio Giordano

    “Solo” il 31,18% degli elettori ha votato

    Trivelle

    «Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di Stabilità 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?» Ma scusate: come si può pretendere di mettere TUTTI gli italiani – di ogni latitudine, censo e cultura – nelle condizioni di CAPIRE il quesito ed esprimere un voto consapevole e convinto? Se un referendum è POPOLARE, perché non usare un linguaggio accessibile, invece di fare inutile sfoggio di tecnicismo? In quanti, mi chiedo, hanno davvero capito il quesito? All’estero, tra i connazionali più attempati, che poi sono quelli più impegnati, un’esigua minoranza. Il referendum abrogativo è fallito anche per questo. È la settima volta su otto, negli ultimi vent’anni. Con l’unica eccezione della consultazione sull’acqua nel 2011: un tema immediato, che riguardava tutti. Come il divorzio e l’aborto. “Solo” il 31,18% degli elettori (oltre 13 milioni) si è recato alle urne. Addirittura il 19,73%, all’estero. Senza quorum (il 50% più uno dei votanti), il risultato finale non ha alcun effetto: per la cronaca, ha vinto il “Sì” con l’85,84%, contro il 14,16% del “No”. La Basilicata ha registrato la più alta affluenza, con il 50,5%. Ergo: nessuna piattaforma a 12 miglia dalla costa sarà smantellata, ma potrà proseguire con le trivellazioni fino alla scadenza dei giacimenti (e non delle concessioni). Esattamente come già deciso dal governo con la ‘Legge di Stabilità’. Resta la sgradevole sensazione che si sia trattato di un regolamento di conti interno al Pd, sulla pelle degli italiani: la minoranza interna capeggiata da Emiliano, governatore della Puglia, contro il ‘despota fiorentino’. Ora la partita si sposta sul referendum costituzionale di ottobre (con il nuovo ‘Senato dei 100’), che non necessita di quorum, ma che costringerà il Premier a serrare i ranghi, se non vuole replicare il tonfo di Berlusconi nel 2006. Punto due: non sarebbe stato più intelligente accorpare la data del referendum con quella delle amministrative in programma il 5 giugno? Lo Stato, ergo i contribuenti, avrebbero risparmiato quasi 400 milioni di euro. Che non sono noccioline o bazzecole. Soprattutto di questi tempi. Punto tre: il referendum è nato morto, visto che, nonostante i ‘richiami all’ordine’ dell’AGCOM (l’Autorità Garante delle Comunicazioni), è salito agli onori della cronaca solo all’indomani delle dimissioni del Ministro Guidi (“influenzata” dal compagno ‘portavoce’ degli interessi della lobby petrolifera), salvo poi assumere connotati politicizzati negli ultimi giorni: un “sondaggio” pro (No e Astensione) o contro (Si) Renzi (che ha invitato apertamente gli italiani a disertare le urne, così come Napolitano, ex capo dello Stato!). Il quesito referendario è stato ‘annacquato’, deturpato e strumentalizzato: temi strategici come il futuro dell’ambiente, la politica di approvvigionamento di petrolio, l’efficienza delle fonti rinnovabili sono diventati ‘accessori’. Alla fine, la questione si è ridotta ad una scelta radicale tra la difesa dell’ambiente ed il lavoro (13mila posti a rischio, una novantina gli impianti coinvolti). E di fronte al rischio disoccupazione, gli italiani (quelli che hanno interpretato il quesito in questi termini) non hanno sentito ragioni. Non tutti, però. Al netto del voto (o non voto) “a prescindere” pro-Renzi e dei “Si”, convinti che lo sfruttamento di gas e petrolio sia pericoloso e anti-storico, alcuni hanno disertato le urne semplicemente perché nauseati dalla politica, ed altri per menefreghismo, ignavia, o per amore del mare. Chi (in pochi, temo) ha deciso consciamente di disertare le urne, ha fatto una scelta precisa e condivisibile. Anche il nuovo Canada di Trudeau guarda alle fonti di energia rinnovabili per il futuro, ma non per questo ‘sacrifica’ il presente rinunciando alla sua proverbiale industria mineraria. Con tutte le proporzioni del caso, assodato che i fiori all’occhiello del Belpaese sono (e restano) l’agricoltura e la gastronomia, il turismo e la tecnologia, l’arte e l’artigianato, e appurato che la produzione nazionale di gas e petrolio in Italia vale solo 3 miliardi di euro, perché rinunciare a priori allo sfruttamento dei giacimenti naturali (in sicurezza), salvo poi importare elettricità dalla vicina (iper-nuclearizzata) Francia e l’olio nero dai vituperati Paesi arabi? Perché regalare i giacimenti dell’Adriatico a Croazia e Albania, che già li sfruttano? In attesa del mondo “verde e perfetto” di domani (fondato su innovazione ed efficienza energetica), l’economia di oggi (globale e competitiva) impone ad uno Stato scelte di “realpolitik”. Il futuro, per fortuna o purtroppo, è già oggi. E questo a prescindere dai calcoli politici di parte.

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  • Pollo arrosto? Megliolibero che di Stato!

    Pollo arrosto? Meglio
    libero che di Stato!

    Il Punto di Vittorio Giordano

    La rosticceria St-Hubert venduta a CARA

    stHubert

    Ha destato grande scalpore, nei giorni scorsi, la vendita della Rosticceria quebecchese St-Hubert (che esiste dagli anni ’50) alla società Cara, un gigante ontariano della ristorazione ‘pret-a-porter’ (le catene Swiss Chalet, Kelsey’s e Harvey’s i suoi fiori all’occhiello). Una transazione da 537 milioni di dollari, frutto di un accordo (con reciproca soddisfazione) tra due aziende che hanno deciso (senza nessuna pistola puntata alla tempia) di avviare le trattative e chiudere l’affare. Così come già successo, nel recente passato, ad aziende come Rona, Cirque du Soleil e Fido. È la legge (perfettibile ma imprescindibile) del libero mercato, vivaddio! Apriti cielo: nonostante siano passati decenni da quando l’occidente abbia ripudiato il comunismo a favore del capitalismo ed abbia partorito il cosiddetto “villaggio globale”, i leader dell’opposizione hanno puntato il dito contro il governo liberale (e gli organismi economici statali ‘affiliati’), reo di non essere intervenuto per scongiurare il passaggio di un bene quebecchese in mani straniere. In altre parole: colpevole di non aver optato per la nazionalizzazione di St-Hubert, ovvero acquistandola (o caldeggiandone l’acquisto da parte di un’altra azienda locale) con il ‘nobile’ scopo di preservarne l’identità nazionale. E creare, per la gioia dei contribuenti, il “pollo di stato”. Più nel dettaglio, Francois Legault (leader della CAQ) ha parlato di “declino tranquillo di un’economia di succursali”, mentre Pierre Karl Péladeau, capo del Parti quebecois, ha evocato “l’assenza di una visione politica e di una strategia economica di lungo termine”. L’impressione, però, è che questa volta le opposizioni si siano clamorosamente incartate: speculando sulla compra-vendita di St-Hubert, sono scadute nel populismo più demagogico. Una reazione impulsiva ed ingiustificata che conferma una celebre frase di Pierre Elliott Trudeau: “I quebecchesi sono più emotivi che razionali”. Più semplicemente, a determinare la cessione di St-Hubert è stata l’assenza della ‘réleve’ familiare: le politiche governative, a livello di fisco e burocrazia, c’entrano poco. Per caso la Belle Province è avulsa dal resto del mondo? Per caso in Québec vige un anti-storico ‘protezionismo’ statale che respinge gli ‘assalitori’ (sotto le mentite spoglie di spudorati investitori) provenienti da terre straniere? Per caso St-Hubert rappresenta un asset strategico come la Biblioteca Nazionale, Hydro-Québec, Bombardier, Rado-Canada o SNC-Lavalin, le cui dismissioni rappresenterebbero – quelle sì – un sopruso e un’offesa agli interessi nazionali? E poi, perché tutto questo ‘scetticismo preventivo’ verso una compagnia canadese, come Cara, con base in Ontario? Cos’è questo sciovinisimo anacronistico che mina la modernità – culturale, prima ancora che economica – della Belle Province? Con la mondializzazione dell’economia, le compravendite internazionali sono all’ordine del giorno. Sono i singoli imprenditori che decidono, senza nessuna ingerenza statale. E in questo, il Québec può dare lezioni di mercato globale alla sua stessa classe politica, che non si è clamorosamente accorta – distratta da ideologie ormai desuete o, ancora peggio, da meri calcoli elettoralistici – come dal 2010 ad oggi sono state 258 le aziende estere acquistate da società quebecchesi, contro soltanto 85 compagnie della Belle Province passate in mani straniere. In pochi sanno che qualche settimana fa ‘Alimentation Couche-tard’ ha acquistato 279 posti di ‘rifornimento-depanneurs’ Esso, soprattutto in Ontario: una transazione di 1,69 miliardi; ed ha messo le mani su 229 ‘caffè’ dell’ontariana Tim Hortons. Per caso Legault e Péladeau hanno battuto ciglio? Il problema, dunque, non si pone. Ciò che conta, invece, è che venga garantito il futuro di St-Hubert, con il potenziamento della produzione e dei posti di lavoro in Québec. Cosa che ‘Cara’, azienda già strutturata e affermata in Canada (e non solo), può garantire più di quanto avrebbero potuto fare la ‘Cassa dei depositi e prestiti’ e Investimenti Québec’, oltre al Gruppo MTY di Montréal, che pure hanno sottoposto un’offerta di acquisto a St-Hubert, che l’ha giudicata insufficiente. Il caso ‘Van Houtte’ è emblematico: acquistata da Keurig Green Mountain, ha beneficiato di investimenti pari a 55 milioni, tanto che oggi gli impianti ristutturati di Saint-Michel, quartiere popolare all’est di Montréal, soddisfano tutto il fabbisogno di caffè in chicchi del colosso a stelle e strisce. È il libero mercato, bellezza!

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