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  • De Gustibus di Alessandra Cori. Italia fa segnare il primato di sicurezza alimentare in Europa

    De Gustibus di Alessandra Cori. Italia fa segnare il primato di sicurezza alimentare in Europa

    L’analisi dei residui negli alimenti non finisce mai. Un continuo processo di monitoraggio è in atto nell’Unione Europea che attraverso l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (Efsa) produce una relazione annuale sui livelli di residui di agrofarmaci negli alimenti distribuiti sul mercato europeo. Questi dati derivano a loro volta dai controlli nazionali effettuati dai vari Stati membri dell’Ue.

    Dal report pubblicato a febbraio scorso (relativo al monitoraggio effettuato nel 2020), è emerso come il 94,9% degli oltre 80.000 campioni complessivi esaminati sia risultato conforme alle normative europee, con i residui al di sotto dei livelli massimi consentiti. Il 5,1% ha invece superato le soglie ammesse. Oltre a misurare i residui, Efsa ha anche prodotto una valutazione del rischio acuto e cronico per la salute dei consumatori, stabilendo come “improbabile” che l’esposizione alimentare a questi livelli di residui rappresenti un rischio per la salute.

    Proprio quell’aggettivo tra virgolette imposto da una deontologia che impedisce di usare l’espressione più rassicurante “rischio zero” lascia la porta aperta a tante speculazioni ideologiche che fanno leva sul dubbio. La certezza, certo, non appartiene a questo mondo, ma spesso viene strumentalmente pretesa da chi può trarne profitto. Nell’ambito del rapporto Efsa, rientra anche un sottoinsieme di campioni, analizzati nell’ambito del programma di controllo pluriennale coordinato dall’Ue che riguarda i prodotti alimentari più consumati dai cittadini europei, distribuiti su un ciclo di tre anni, in modo che le stesse tipologie di prodotti vengano analizzati su base triennale.

    La situazione nel 2020 è stata quindi confrontata con quella del triennio precedente selezionando 12 prodotti come carote, cavolfiori, kiwi, cipolle, arance, pere, patate, fagioli secchi, riso integrale, chicco di segale, fegato bovino e grasso di pollame. Nel complesso, il 68,5% dei campioni di questi prodotti è risultato privo di livelli quantificabili di residui. I campioni che, invece, presentavano residui misurabili in laboratorio sono risultati entro i limiti legali in ragione del 29,7%. I limiti di legge sono stati superati da solo 209 campioni, pari all’1,7%. Di questi lo 0,9% sono risultati non conformi solo in base all’incertezza di misura, cioè risultati non conformi per poco o nulla.

    Ciò che occorre sottolineare a dimostrazione della sicurezza dei prodotti europei in termini di residui riscontrati è che la gran parte delle non conformità riguarda sostanze attive non autorizzate in Europa, derivandone come conseguenza che i campioni incriminati sono sicuramente di importazione extra Ue. Non a caso tra i campioni di provenienza estera esaminati dall’Efsa il tasso di non conformità alle normative europee sale a oltre il 16% senza contare i prodotti che vengono fermati per eccesso di residui dal sistema di allerta rapido sul cibo e sementi della Commissione Europea.

    Se già di per sé la relazione annuale di Efsa conferma gli alti livelli di sicurezza alimentare, in Italia questi dati sono addirittura migliori. L’Italia è il terzo Paese per numero di campioni analizzati e ha un tasso di regolarità del 99%, ampiamente superiore alla media Ue. L’Italia è quindi ai primi posti in Europa per la sicurezza alimentare. e per la promozione della ricerca e dell’innovazione tesa a favorire la sostenibilità e la tutela dei consumatori e dell’ambiente, garantendo al contempo adeguate produzioni agricole. I dati raccolti da Efsa sono una buona notizia anche per le esportazioni del nostro Made in Italy agroalimentare. Insieme al “buono” è così dimostrata anche la capacità di portare nel mondo produzioni “sicure” per la salute dei consumatori.

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  • De Gustibus di Alessandra Cori: sicurezza alimentare, la risposta dell’UE

    De Gustibus di Alessandra Cori: sicurezza alimentare, la risposta dell’UE

    La guerra che si protrae ormai da un mese in Ucraina ha ridotto alla fame gli abitanti delle città sotto assedio. Ma l’operazione bellica in atto, che non accenna ad allentare il suo effetto devastante in quel Paese, è destinata a far sentire duri contraccolpi sulla sicurezza alimentare anche in altre regioni del mondo, e in Europa in particolare, per un effetto domino di proporzioni globali.

    L’Ucraina, si sa, insieme alla Russia, è tra i primi cinque principali produttori a livello mondiale di grano. Il sistema alimentare è altamente interconnesso, minato dalla pandemia e già sofferente per le conseguenze dei cambiamenti del clima. Così, negli ultimi giorni, il prezzo del grano è arrivato ad un valore di 33,3 centesimi al chilo, un livello mai così alto dalla crisi del 2008. 

    A causa, poi, dell’interruzione degli scambi con Russia e Ucraina che insieme rappresentano il 25% del commercio mondiale di grano, e del blocco navale nei porti del Mar Nero, i prezzi di molte merci agricole sono balzati alle stelle. 

    La Commissione Agricoltura del Parlamento Europeo stima che la crisi agricola durerà ancora a lungo per la difficoltà compensare la dipendenza dalla Russia e dall’Ucraina, che rappresentano anche il 32% del commercio mondiale di orzo, il 17% per il mais e più del 50% per l’olio di girasole e di semi.

    L’Ucraina è il secondo fornitore di mais per l’Italia con una quota poco superiore del 20%, ma le forniture sono attualmente bloccate. E l’Italia sconta anche anni in cui la produzione nazionale è stata scoraggiata a causa dei bassi compensi riconosciuti ai produttori, con la riduzione delle terre destinate a queste colture.

    L’Europa potrebbe rimediare con i bancali di grano a prezzo inferiore provenienti dal Canada, ma la soluzione contrasterebbe con il divieto che vige in Italia di usare il glifosate nella fase di raccolta e trebbiatura. Per questo l’UE sta valutando possibili deroghe ai limiti massimi di residui fitosanitari per le principali commodity importate da Paesi terzi. 

    Un’alternativa sarebbe quella di rivolgersi a USA e Argentina per importare grano e mais. Ma qui i tempi di consegna delle merci e le differenze di normative in tema di sicurezza alimentare e disciplinari produttivi che regolano soprattutto alcune DOP europee non agevolano la decisione. Gli USA, infatti, sono i più grandi produttori al mondo di cereali OGM con 73,1 milioni di ettari, cui segue l’Argentina con 24,3 milioni di ettari.

    Preoccupa, poi, la situazione per l’olio di girasole se pensiamo che su 570 milioni di euro di prodotti importati da Kiev in Italia lo scorso anno, 260 sono stati spesi per questo tipo. Molti prodotti sono processati con quest’olio, come conserve, salse, biscotti, condimenti, fritture, sughi, e in alcuni casi anche pasta. Due sono i risultati più immediati: l’aumento dei prezzi delle scorte disponibili e il loro rapido esaurimento. 

    La risposta dell’Unione Europea, per permettere all’agricoltura del Vecchio Continente di far fronte a questa crisi, non si è fatta attendere. Sono stati stanziati 500 milioni di aiuti agli agricoltori per la sicurezza alimentare globale, per affrontare le perturbazioni del mercato per via dell’aumento dei costi di produzione e, ancora, per le restrizioni commerciali. 

    Altra misura pratica e di immediata esecuzione, è l’estensione della deroga per la coltivazione nelle aree ecologiche e nelle superfici sottratte a vario titolo alla produzione. Qui sono state autorizzate non solo le coltivazioni proteiche, ma anche quelle di cereali e di semi oleosi, per tutto il 2022 e il 2023, per un totale di 4 milioni di ettari. 

    Infine, per poter seminare le colture di cui oggi si ha più bisogno, l’Esecutivo comunitario ha previsto una deroga temporanea all’obbligo della diversificazione e della rotazione delle colture di cereali, sia per l’alimentazione umana che per quella animale.

    Il rischio reale che abbiamo di fronte è quello di assistere ad una penuria di prodotto che, gioco-forza, inciderebbe negativamente sia sulla produttività agro-industriale, sia sulla disponibilità di prodotti allo scaffale.

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  • Guerra Ucraina-Russia. Il Premier al telefono con i leader G7, UE e Nato

    ROMA – Sulla guerra in Ucraina dopo l’invasione della Russia, lunedì 28 febbraio “il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha partecipato ad a una conversazione telefonica con il Presidente Biden, il Presidente Macron, il Cancelliere Scholz, il Primo Ministro Johnson, il Primo Ministro Trudeau, il Primo Ministro Kishida, il Presidente Duda, il Presidente Iohannis, il Presidente del Consiglio Europeo Michel, la Presidente della Commissione Europea von der Leyen e il Segretario Generale della Nato Stoltenberg. È stata ribadita la più ferma condanna per la brutale e ingiustificata aggressione nei confronti dell’Ucraina, alla quale è stata da tutti assicurata la più grande solidarietà”.

    È quanto reso pubblico da un comunicato della Presidenza del Consiglio. “Nel riaffermare l’importanza della coesione e dell’unità di intenti sin qui dimostrata, sono state passate in rassegna le iniziative sinora adottate per sostenere il popolo e le istituzioni dell’Ucraina sul piano umanitario, economico e militare; le decisioni attuate in ambito Nato e le sanzioni disposte nei confronti della Federazione russa. I Leader hanno concordato di mantenere il più stretto coordinamento sugli sviluppi della crisi e le misure da intraprendere”, ha sottolineato ancora il comunicato di Palazzo Chigi.

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  • Ue, via libera all’accordo con il Canada

    Ue, via libera all’accordo con il Canada

    Dopo la firma di fine ottrobre, è arrivato il voto favorevole dell’assemblea pleanaria di Strasburgo: via libera all’accordo economico e commerciale globale fra Unione europea e Canada, il Ceta (Comprehensive Economic and Trade Agreement) 

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    BRUXELLES, (ITALPRESS) – Con 408 voti a favore, 254 contrari e 33 astenuti, il Parlamento Europeo riunito in sessione plenaria ha approvato l’Accordo economico e commerciale globale (CETA l’acronimo in inglese), un trattato commerciale di ampio respiro tra l’UE e il Canada.

    L’intesa sarà applicata in via provvisoria già dall’aprile 2017, ma è stato definito un accordo misto dalla Commissione europea nel luglio 2016 e dovrà ora essere anche ratificato dai Parlamenti nazionali e regionali.

    Dopo la votazione, il relatore Artis Pabriks (PPE, LV) ha affermato che “con l’adozione del CETA, abbiamo preferito l’apertura, la crescita e standard elevati al protezionismo e alla stagnazione. Il Canada è un Paese con il quale condividiamo valori comuni e un alleato sul quale possiamo fare affidamento. Insieme possiamo costruire ponti, invece di un muro, per la prosperità dei nostri cittadini. CETA sarà un punto di riferimento per gli accordi commerciali futuri in tutto il mondo”. L’accordo è stato approvato con 408 voti in favore, 254 voti contrari e 33 astensioni.

    Rilanciare il commercio – L’accordo CETA eliminerà i dazi sulla maggior parte dei beni e dei servizi e prevede il mutuo riconoscimento della certificazione per una vasta gamma di prodotti. Il Canada aprirà il mercato degli appalti pubblici federali e municipali alle imprese europee (per il Canada il mercato europeo è già accessibile). I fornitori europei di servizi quali il trasporto marittimo, le telecomunicazioni, l’ingegneria, i servizi ambientali e la contabilità avranno accesso al mercato canadese.

    Proteggere i prodotti agricoli e gli standard sociali – Durante i negoziati, l’UE ha garantito la protezione di oltre 140 indicazioni geografiche europee per cibo e bevande venduti sul mercato canadese. Sono state inoltre incluse clausole per uno sviluppo sostenibile, per salvaguardare gli standard ambientali e sociali e garantire che il commercio e gli investimenti le incrementino. “Per fugare le preoccupazioni dei cittadini che l’accordo dia troppo potere alle multinazionali e che i governi non possano legiferare per tutelare la salute, la sicurezza o l’ambiente – spiega il Parlamento Europeo in una nota -, l’UE e il Canada hanno entrambi confermato esplicitamente, sia nel preambolo dell’accordo sia nella dichiarazione comune allegata, il diritto degli Stati a rifarsi al diritto nazionale”.

    Eccezioni: servizi pubblici, audiovisivo, prodotti lattiero-caseari – L’accordo CETA non rimuoverà le barriere doganali per i servizi pubblici, i servizi audiovisivi e di trasporto e per alcuni prodotti agricoli, come ad esempio i prodotti lattiero-caseari, il pollame e le uova.

     Maggiore trasparenza nella protezione degli investimenti – In risposta alle pressioni parlamentari, il meccanismo di risoluzione delle controversie investitore-Stato è stato sostituito dall’Investment Court System (ICS) in modo da garantire il controllo del governo sulla scelta degli arbitri e migliorarne la trasparenza.

     Accordo strategico di partenariato UE-Canada – I deputati hanno anche approvato un accordo strategico di partenariato UE-Canada (SPA) con 506 voti a favore, 142 contrari e 43 astensioni. A complemento del CETA, questo accordo ha lo scopo di intensificare la cooperazione bilaterale UE-Canada per una vasta gamma di questioni non commerciali, quali la politica estera e di sicurezza, la lotta al terrorismo, la lotta alla criminalità organizzata, lo sviluppo sostenibile, la ricerca e la cultura.L’accordo CETA potrebbe applicarsi provvisoriamente dal primo giorno del mese successivo alla data cui entrambe le parti si sono reciprocamente notificate il completamento di tutte le procedure interne necessarie. Per i deputati tale data dovrebbe essere non prima del 1° aprile 2017.

     Tajani: “Buon accordo per i cittadini, Europa unita è più forte” – Il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani ha accolto con favore l’esito della votazione sull’accordo UE-Canada (CETA). “Si tratta di un buon accordo per i nostri cittadini. Permetterà di creare nuovi posti di lavoro e di stimolare la crescita portando vantaggi a imprese e consumatori e tenendo conto delle loro preoccupazioni. L’accordo garantisce standard UE elevati di protezione della salute, dell’ambiente e del lavoro – spiega Tajani -. Gli imprenditori europei sono leader dell’eccellenza e della qualità. Molte delle nostre PMI esportano nei mercati globali. L’Unione europea ha un forte interesse a promuovere una politica commerciale intelligente che punti all’apertura dei mercati nel rispetto delle regole e a parità di condizioni”. “Grazie all’eliminazione delle tariffe e degli ostacoli normativi e amministrativi, oltre che all’apertura degli appalti pubblici, questo accordo crea opportunità di crescita – in particolare per le PMI – e le rende più concorrenziali. L’intera economia reale, inclusi gli investimenti, la manifattura, i servizi, il commercio elettronico, l’agricoltura o la pesca, trarrà importanti vantaggi dall’accordo – aggiunge -. La nostra amicizia di lunga data con il Canada va ben al di là del commercio: si fonda su radici culturali comuni e valori condivisi, su una società aperta, diritti umani, Stato di diritto e sviluppo sostenibile, che sono alla base dell’accordo di partenariato strategico”. “Abbiamo dato ai nostri cittadini quello che chiedevano: un’Unione europea forte che affronta con successo le sfide globali, attraverso regole comuni e un solido partenariato in grado di offrire soluzioni efficaci – sottolinea il presidente del Parlamento Europeo -. Affinché l’Europa possa beneficiare pienamente del CETA, invito gli Stati membri a ratificarlo al più presto. Nel commercio, così come nella cooperazione politica, uniti siamo più forti”.

    • I PUNTI PRINCIPALI DELL’ACCORDO:

    L’entrata in vigore. Dopo il via libera del Parlamento europeo il trattato entra in vigore in fase transitoria, in attesa della ratufica dei singoli Parlamenti nazionali.

    Gli obiettivi. L’accordo tra Ue e Canada prevede l’abolizione del 99% dei dazi doganali. Dall’entrata in vigore del Ceta, il Canada abolirà dazi sulle merci originarie dell’Ue per un valore di 400 milioni di euro, mentre alla fine di un periodo di transizione la cifra – secondo le stime della Commissione – dovrebbe superare i 500 milioni l’anno.

     Apertura alle imprese Ue per le gare d’appalto. Con il Ceta, il Canada apre le proprie gare d’appalto pubbliche alle imprese dell’UE in misura maggiore rispetto a quanto abbia fatto con gli altri suoi partner commerciali. Le imprese europee potranno partecipare a gare d’appalto per la fornitura di beni e servizi non solo a livello federale ma anche a livello provinciale e municipale.

    Riconoscimento reciproco delle professioni. Il trattato elimina alcuni ostacoli significativi per alcune professioni regolamentate come quelle di architetto, ingegnere e commercialista che verranno reciprocamente riconosciute, rendendo più facile l’interscambio professionale tra queste categorie di lavoratori

    La tutela della proprietà intellettuale e del diritto d’autore. Il trattato prevede anche una maggiore forme di protezione della proprietà intellettuale e l’adeguamento e l’adeguamento del Canada agli standard europei delle norme sul diritto d’autore

    Nuovo modello per le controversie fra investitori e Stati.  Il nuovo meccanismo per la risoluzione delle controversie tra investitore e Stato, quando un governo legifera nell’interesse pubblico arrecando danni all’investitore, rappresenta uno degli elementi  più discussi del Ceta, così come lo è stato per il TTIP. La differenza sostanziale però è che il Ceta prevede un meccanismo diverso da quello inizialmente inserito nel trattato transtlantico, il cosiddetto ISDS, fondato sugli arbitrati privati, sostituito invece da un nuovo sistema giudiziario per la protezione degli investimenti (ICS), con un tribunale pubblico composto da giudici indipendenti e di carriera, nominati dall’Ue e dal Canada. Le procedure saranno trasparenti, grazie a udienze pubbliche e pubblicazione dei documenti. L’accordo prevede che, in caso di disputa, un soggetto pubblico non potrà essere costretto a modificare un testo di legge o condannato al pagamento di danni punitivi. Un compromesso che potrebbe attenuare uno dei rischi evocati più spesso dai detrattori dell’intesa, quello che uno Stato potesse essere giudicato da un tribunale privato per azioni che avessero danneggiato l’attività di una multinazionale.

    Agricoltura e Indicazioni di origine. Con il Ceta il Canada si è impegnato a aprire il suo mercato a formaggi, vini e bevande alcoliche, prodotti ortofrutticoli e trasformati. Tutte i prodotti importanti dovranno essere conformi alle disposizioni dell’Ue, per esempio sulla carne agli ormoni. Il Canada ha accettato di proteggere 143 prodotti tipici che beneficiano dell’indicazione di origine, come il formaggio francese Roquefort. Per l’Italia, il Ceta prevede la protezione di 41 prodotti di denominazione di origine: dalla bresaola della Valtellina all’aceto Balsamico di Modena, passando per la Mozzarella di Bufala Campana e il Prosciutto di Parma. I prodotti europei godranno di una protezione dalle imitazioni analoga a quella offerta dal diritto dell’Unione e non correranno più il rischio di essere considerati prodotti generici in Canada.

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  • Un Canada meno americano e più europeo

    Un Canada meno americano e più europeo

    Il Punto di Vittorio Giordano

    Libero scambio con l’UE

    Ha sempre fatto le veci del fratello minore, succube della ‘prepotenza’ economico-commerciale del suo unico e ingombrante vicino: gli Stati Uniti d’America. Tanto che ancora oggi in molti, troppi, dicono ‘America’ per intendere Stati Uniti. Una parte per il tutto: una particolare metafora che si chiama sinèddoche. Un ‘predominio’ sfociato in un pregiudizio culturale e, di riflesso, linguistico. Peccato, però, che geograficamente il Nord America contempli anche Messico e Canada. Il Paese degli aceri, in particolare, si è ormai convinto di mettere da parte le ‘stampelle a stelle e strisce’ per camminare sulle proprie gambe. Guardando meno verso sud e più verso est. Oltre oceano. Un orientamento rivoluzionario e antistorico (ma che rende giustizia alle radici più europee di un Canada culla della Nouvelle-France) che si è concretizzato domenica scorsa con la firma del trattato di libero scambio a Bruxelles. L’ultimo atto di un percorso di progressivo affrancamento dal ‘fratello maggiore’ americano. Un percorso periglioso e ‘irto d’insidie’ iniziato sette anni fa, il 6 maggio del 2009, quando il premier conservatore Stephen Harper, sostenuto dal Primo Ministro quebecchese dell’epoca, Jean Charest, ebbe la lungimiranza di aprire i negoziati con la controparte europea. Fino alla firma apposta da Justin Trudeau, che avrà anche accelerato il buon esito delle trattatative, ma ha solo completato l’opera del suo predecessore.

    Al netto dei personalismi, è evidente come il Canada, insolitamente vispo e sfacciato, appaia sempre più come un’ “anomalia” sulla scena internazionale: in un’epoca sempre più votata alla chiusura dei confini (la Brexit) e alla ‘fobia’ del diverso/immigrato (il muro col Messico, di Trump), il Canada apre le sue porte e sigla accordi inediti per liberalizzare i mercati. Delle merci, dei servizi, ma anche delle professioni. E lo fa con giudizio, diversificando la sua bilancia commerciale (ci sono negoziazioni in atto anche con Cina e India), fino ad oggi troppo sbilanciata verso gli Stati Uniti, che monopolizzano il 75% delle esportazioni canadesi, contro il 9.5% destinato all’Europa. Numeri che, francamente, fanno del Canada uno stato-satellite degli Usa. Uno scenario non più tollerabile perché, come direbbe Trudeau: “Siamo nel 2016”. Fino alla svolta di domenica scorsa, con un trattato storico che abroga il 99% di dazi doganali tra le due sponde dell’Atlantico e che permette alle imprese europee di partecipare alle gare per gli appalti pubblici in Canada (e viceversa), oltre a prevedere il reciproco riconoscimento di titoli professionali e nuove regole per proteggere il diritto d’autore e i brevetti industriali. Ad oggi, l’Ue rappresenta quasi il 10% del commercio estero canadese, mentre il Canada costituisce il 12º partner commerciale più importante dell’Ue (l’1,6% delle importazioni e il 2% delle esportazioni). I margini di miglioramento sono enormi e, potenzialmente, clamorosi per il futuro economico di entrambe le sponde dell’Atlantico. I più entusiasti prefigurano un aumento degli scambi pari al 20%. Una valutazione d’impatto del CETA, condotta dai vertici europei prima dell’approvazione del trattato, stimava un aumento delle entrate di circa 11,6 miliardi di euro per l’UE e 8,2 miliardi di euro per il Canada nei sette anni successivi all’attuazione dell’accordo. Oltre ad un sostanziale contributo della liberalizzazione degli scambi di servizi e all’aumento del PIL (50% degli aumenti totali per l’UE e 45,5% degli aumenti per il Canada). Previsioni da “magnifiche sorti e progressive”. Vietato cantare vittoria, però: manca ancora
    l’ “ultimo miglio”, quello decisivo, e che può (ancora) mandare tutto all’aria: fermo restando il voto del Parlamento Ue e della Camera dei Comuni canadese (entrambi scontati), si devono attendere i voti dei singoli Parlamenti nazionali. Con le ‘mine vaganti’ Austria e Germania. Per il momento, cioè, il trattato entra in vigore in maniera transitoria e parziale. E speriamo che diventi presto permanente. Almeno dal punto di vista delle aziende italiane, soprattutto quelle del settore vitivinicolo e lattiero-caseario, che saranno messe nelle condizioni di aumentare le esportazioni verso il Canada, un mercato in cui il ‘Made in Italy’ viene molto apprezzato, tanto che Ottawa ha riconosciuto le Indicazioni Geografiche Tipiche. La stessa Ottawa, però, è chiamata ad affrontare il fronte-interno: quello delle aziende casearie quebecchesi che chiedono di essere indennizzate per le perdite di 150 milioni all’anno legate all’arrivo di 18 mila tonnellate in più di formaggi europei. Questa volta, però, spetterà a Trudeau, che aveva accusato l’Europa di immobilismo sull’ostacolo Vallonia, trovare il ‘bandolo della matassa’.

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