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  • Trudeau “riapre” l’Ambasciata a Kiev

    Trudeau “riapre” l’Ambasciata a Kiev

    Il leader liberale annuncia altri aiuti militari per 50 milioni di dollari

    KIEV – Il Primo Ministro del Canada, Justin Trudeau, ha annunciato a Kiev, nel corso di una conferenza stampa congiunta con il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky, la progressiva riapertura dell’Ambasciata canadese in Ucraina. In precedenza, aveva accolto l’Ambasciatrice Larisa Galadza, partecipando alla cerimonia dell’alzabandiera. Domenica 8 maggio, accompagnato dalla Vicepremier e Ministra delle Finanze, Chrystia Freeland, e dalla Ministra degli Affari Esteri, Mélanie Joly, in un viaggio a sorpresa per motivi di sicurezza, il Premier ha promesso ulteriori aiuti militari per un valore complessivo di 50 milioni di dollari, compresi droni, immagini satellitari, armi di piccole dimensioni, munizioni e strumenti per lo sminamento.

    Trudeau ha poi annunciato la revoca dei dazi sulle importazioni ucraine e il pagamento di 25 milioni a favore del ‘Programma alimentare mondiale per contrastare l’insicurezza alimentare nel Paese’. “È chiaro che Putin è responsabile per gli odiosi crimini di guerra e deve risponderne”, ha quindi tuonato. Ottawa imporrà sanzioni contro altri 40 individui e cinque entità giuridiche russe: si tratta di oligarchi, stretti collaboratori del regime e del settore della difesa, “tutti complici della guerra di Vladimir Putin”.

    Zelensky, dal canto suo, ha espresso tutta la sua gratitudine per aiuti pari a 1,5 miliardi di dollari da parte del Canada, il contributo più consistente dopo quello degli Stati Uniti. Il Primo Ministro canadese si è poi recato a Irpin, sobborgo di Kiev. Lo ha reso noto il sindaco, spiegando che Trudeau ha potuto vedere con i suoi occhi la distruzione causata dalla guerra russa. La città era stata teatro di combattimenti particolarmente pesanti a marzo, quando le forze russe avevano tentato l’assalto alla capitale.

    Nelle stesse ore, anche Jill Biden, la moglie del presidente degli Stati Uniti, ha incontrato a sorpresa la sua omologa, Olena Zelenska, in Ucraina.Mrs Biden e la moglie del presidente ucraino Zelesnky si sono incontrate in una scuola di Uzhhorod, una città di 100 mila abitanti a pochi chilometridal confine con la Slovacchia.

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  • Ottawa sospende i voli per Messico e Caraibi

    Ottawa sospende i voli per Messico e Caraibi

    Linea dura del governo Trudeau. Entro metà febbraio, entreranno in vigore le nuove regole per chi rientra nel Paese:
    quarantena obbligatoria in hotel al prezzo di 2.000 $ a testa. Air Transat interrompe tutti i voli fino al prossimo 30 aprile

    OTTAWA – Giro di vite del governo Trudeau per arginare le varianti da covid-19 ‘importate’ (quella inglese sembra essere più contagiosa e letale) che in questo momento rappresentano la preoccupazione numero uno dei governi di tutto il mondo, insieme allo scarso approvvigionamento dei vaccini. Su questo fronte, infatti, Trudeau ha fatto sapere che, al 50% di dosi in meno di Pfizer-BioNTech entro metà febbraio, si è aggiunto il 20% di dosi in meno di Moderna già questa settimana. Fatto sta che, in base ai dati aggiornati al 1º febbraio, il Canada ha vaccinato solo 955.198 persone nel Paese, cioè 2,53 dosi ogni 100 abitanti (siamo al 15º posto nella classifica mondiale). A partire dal 30 gennaio, e fino al 30 aprile, il governo federale ha raggiunto un accordo con i quattro principali vettori del paese – Air Canada, Air Transat, Sunwing e WestJet – per la sospensione dei collegamenti verso le località turistiche del Messico e dei Caraibi. E non è finita qui. Entro metà febbraio (la data definitiva non è stata ancora ufficializzata), tutti i viaggiatori in arrivo nei quattro scali che ancora assicurano collegamenti con altri Paesi – Toronto, Vancouver, Montréal e Calgary – dovranno sottoporsi ad un tampone obbligatorio. In attesa del risultato, questi viaggiatori dovranno effettuare la quarantena obbligatoria fino a tre giorni in hotel designati dal governo federale. Il costo sarà a carico dei viaggiatori e dovrebbe ammontare a 2.000 $ circa. Un prezzo salatissimo, giustificato dal fatto che, oltre al soggiorno alberghiero, dovranno essere sostenute anche altre spese, come i controlli di sicurezza, le misure per la protezione dei dipendenti, il trasporto dall’aeroporto ed e i costi sanitari per i tamponi. I viaggiatori che risultano negativi al test potranno continuare la loro quarantena a casa, ma saranno sorvegliati in maniera costante dal governo federale. Su questo punto Trudeau è stato chiaro: i controlli saranno rigidi e saranno operati da diverse compagnie di sicurezza privata (G4S Secure Solutions Ltd., GardaWorld e Paladin Risk Solutions), che si sono assicurate una commessa governativa di 2 milioni di dollari. Questi stessi viaggiatori, poi, dovranno sottoporsi ad un altro tampone, al decimo giorno di quarantena: “In questo modo – ha spiegato la responsabile della Sanità pubblica canadese, Theresa Tam – potremo tenere sotto controllo chi ha un periodo di incubazione più lungo, mettendolo in isolamento prima della fine della quarantena, qualora l’esito sia positivo”. Chi risulterà subito positivo, invece, dovrà continuare la quarantena presso una struttura sanitaria pubblica, questa volta a spese del governo. Tutte queste nuove misure si aggiungono all’obbligo di presentarsi all’imbarco per rientrare in Canada con un tampone negativo effettuato non oltre le 72 ore precedenti il volo. Alla domanda sulla scelta di noni ncludere la Florida tra le destinazioni vietate, il Ministro federale dei trasporti Omar Alghabra ha risposto: “Con le compagnie aeree abbiamo deciso di cancellare i voli per i Caraibi ed il Messico perché rappresentano le destinazioni più popolari per i viaggiatori canadesi”. In ogni caso, non ci saranno voli di stato per rimpatriare i canadesi all’estero: sarà loro responsabilità accordarsi con le agenzie di viaggie le compagnie aeree per il volo di ritorno. Air Canada e WestJet si sono già impegnate a mettere in atto piani di emergenza per i rimpatri, così come Air Transat, che contestualmente ha deciso di sospendere tutti gli altri volti per i prossimi tre mesi. Più nel dettaglio, Air Transat effettuerà diverse dozzine di voli nelle prossime due settimane per riportare i suoi passeggeri in Canada: chi ha un volo di rientro nel Paese da qui al 13 febbraio manterrà il volo originale, mentre i clienti, a cui verranno successivamente cancellati i voli,  verranno automaticamente reindirizzati su un altro volo Air Transat. (V.G.)

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  • L’Europa riapre le frontiere, l’Italia e il Canada no

    L’Europa riapre le frontiere, l’Italia e il Canada no

    Trudeau non allenta la presa e blinda ancora di più i confini, ‘bandendo’ gli europei fino al 31 luglio. E conferma la quarantena al ritorno per i canadesi che decidono di partire. Anche Roma non si fida: 14 giorni di isolamento per i viaggiatori extra-EU

    ROMA-OTTAWA – L’Europa riapre i confini con 15 Paesi, ma Roma e Ottawa restano prudenti: mantengono chiuse le frontiere e confermano la quarantena di 2 settimane per chi arriva. È questa, in sintesi, la reazione di Italia e Canada alla decisione di Bruxelles, annunciata martedì 30 giugno,  di allentare la presa, anche per salvare una stagione turistica fortemente condizionata dalla pandemia.  “L’italia sceglie la linea della prudenza e mantiene in vigore l’isolamento fiduciario e la sorveglianza sanitaria per tutti i cittadini provenienti dai paesi extra Schengen. La misura si applica nel nostro Paese anche ai cittadini dei 14 Paesi individuati dall’Ue nella “lista verde”, da e per i quali ci si può muovere liberamente da domani”. Sono le parole contenute nell’ordinanza firmata dal Ministro italiano della Salute, Roberto Speranza, per evitare l’apertura dei confini alle nazioni selezionate a livello europeo che, dal primo luglio, potranno riattivare i collegamenti con l’Unione sospesi il 17 marzo causa Covid.

    Il timore è che, riaprendo ora le frontiere esterne, si possa riattivare la catena dei contagi. Per questa ragione l’Italia mantiene la quarantena obbligatoria per tutti coloro che arrivano da una nazione non Ue, anche se è transitato in un altro partner interno a Schengen. Al momento non cambia nulla invece per i Paesi europei interni a Schengen, tra i quali resta la libera circolazione decretata dal governo il 3 giugno e abbracciata da tutta Europa il 15 giugno.

    I paesi che l’Europa ha inserito nella lista verde sono Algeria, Australia, Canada, Georgia, Giappone, Montenegro, Marocco, Nuova Zelanda, Ruanda, Serbia, Corea del Sud, Tailandia, Tunisia e Uruguay. A questi si aggiunge la Cina, inserita in fondo alla lista con un asterisco: Pechino entrerà a pieno titolo nell’elenco Ue solo se garantirà la reciprocità all’Europa.

    L’Italia ha deciso, quindi, di tenere le sue frontiere esterne chiuse a tutti quanti. Resta il pericolo che cittadini di queste 15 nazioni entrino in un altro Paese europeo e poi arrivino in Italia grazie alla libera circolazione intra-Ue. Roma vuole evitare di chiudere Schengen, fatto che danneggerebbe del tutto la stagione estiva, e studia controlli diversi da quelli ai confini, come verifiche negli hotel: se si appurerà che una persona arriva da un paese extra-Ue, dovrà restare in quarantena per due settimane.

    L’Italia potrebbe non essere l’unico Paese a prendere tale decisione. La lista europea, infatti, non è vincolante, visto che la decisione sui confini esterni è di competenza nazionale. L’elenco mirava a raggiungere un coordinamento di massima tra partner dell’Unione, ovvero ad evitare l’apertura a paesi palesemente a rischio. Non a caso sono rimasti fuori dalla lista Usa, Russia e Brasile.

    Roma chiama, Ottawa risponde. Anche il Canada non vuole rischiare e blinda i confini. Proprio il 30 giugno, infatti, il governo di Justin Trudeau ha approvato un decreto che prolunga la chiusura delle frontiere a tutti i non cittadini e a tutti i non residenti fino al 31 luglio. I confini canadesi, ricordiamolo, sono chiusi da più di tre mesi a tutti gli stranieri, ad eccezione degli immediati familiari dei cittadini canadesi, dei lavoratori stagionali e degli studenti internazionali. I cittadini canadesi che invece decideranno di recarsi in Europa saranno poi obbligati ad osservare un periodo di 14 giorni di quarantena al loro ritorno in Canada.

     

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  • Il Coronavirus non si ferma: nuove misure in Québec e in Italia, stato di emergenza negli USA

    Il Coronavirus non si ferma: nuove misure in Québec e in Italia, stato di emergenza negli USA

    In Canada oltre 150 casi, 17 in Québec. Il Primo Ministro del Canada Trudeau in quarantena preventiva, dopo che la moglie Sophie Grégoire è risultata positiva al Covid-19. In Italia il virus continua a mietere vittime: 250 solo nelle ultime 24 ore, 1.266 in tutto. Dall’inizio della pandemia, sono 17.660 i casi di contagio nel Belpaese, con 1328 ricoveri in terapia intensiva

    di Giulia Verticchio

    MONTRÉAL – “Misure importanti per forza maggiore”. Il mantra delle istituzioni del Québec, del Canada, dell’Europa, degli Stati Uniti e del mondo intero, ora, è quello di frenare la propagazione del contagio il più possibile per evitare che il numero dei malati superi la capacità di carico dei sistemi sanitari.

    Donald Trump dichiara lo stato di emergenza negli USA. Venerdì pomeriggio, Donald Trump ha dichiarato l’emergenza nazionale negli Stati Uniti, dove cresce di ora in ora l’allarme per la diffusione del coronavirus, con i 1.900 casi superati in tutto il Paese ed almeno 41 morti. La mossa del presidente “apre al finanziamento di 50 miliardi di dollari, che saranno dati agli Stati, territori e località impegnati che nella lotta condivisa alla malattia”. La Casa Bianca ha promesso che saranno disponibili “mezzo milione di test la settimana prossima”, ma ha invitato i cittadini a non correre tutti a fare il tampone. “Gli Usa sconfiggeranno la minaccia del coronavirus — ha promesso —, saremo in grado di garantire più posti letto. Tutti gli ospedali si tengano pronti”.

    L’emergenza coronavirus arriva inesorabile anche a Montréal. La sindaca Valérie Plante alza il livello di intervento e chiude centri comunitari e culturali, biblioteche, piscine, arene e installazioni sportive, tra i quali Planétarium, Jardin Botanique e Centre Claude-Robillard. Diverse le manifestazioni culturali, artistiche, economiche e agonistiche annullate, compresi il Salon national de l’habitation de Montréal, i Campionati mondiali di pattinaggio artistico e le parate di San Patrizio. Obbligo di quarantena di 14 giorni per tutti gli impiegati della funzione pubblica quebecchese e del Comune di Montréal ritornati da un viaggio in qualsiasi destinazione. I viaggi d’affari sono vietati, quelli per ragioni personali fortemente sconsigliati. Il Comune di Montréal esorta le aziende alla flessibilità, favorendo il telelavoro da casa quando possibile e permettendo agli impiegati di evitare le ore di punta in metro per recarsi a lavoro. La STM, l’azienda del trasporto pubblico, aumenta la frequenza di pulizia della metro. È comunque raccomandato agli utenti di lavarsi accuratamente le mani prima e dopo aver usato i trasporti in comune. 

    In Québec sono 17 i casi di COVID19 confermati. Francois Legault, nel suo calmo ma risoluto discorso alla conferenza stampa dell’Assemblea Nazionale, ha fatto “appello alla solidarietà dei Québécois” in queste prossime settimane che “saranno critiche”, in una situazione che “essendo realisti, andrà avanti per mesi”, ma “supereremo questa prova tutti insieme”. Il Primo Ministro invita la popolazione a contattare il numero d’emergenza provinciale 1 877 644-4545 e sovraccaricare meno l’Info-Santé 811. E assicura che non c’è alcun rischio di penuria alimentare in Québec. Intanto le cliniche specializzate stanno per passare da 3 (all’Hotel-Dieu CHUM di Montreal e a Quebec City già aperte, e quella in Montérégie prevista per la prossima settimana) a 15. Il Québec segue l’Ontario nella decisione di chiudere garderie, scuole, cégep e università per 2 settimane. L’iniziativa dei governi provinciali arriva ben più tempestivamente di quella del governo federale che si è fatta attendere in un silenzio difficile da interpretate. Il governo quebecchese ha esortato quello federale a chiudere rapidamente le frontiere canadesi ai viaggiatori provenienti dall’estero, che per tutto questo tempo hanno continuato ad atterrare negli aeroporti del Paese, anche da Cina e Italia, senza alcun controllo sanitario. 

    Sophie Grégoire Trudeau è risultata positiva ai test Covid-19, di ritorno da un viaggio a Londra. Il primo ministro Justin Trudeau, pur non manifestando alcun sintomo, è comunque soggetto ad isolamento, accordandosi a distanza e senza incontri personali con i leader autoctoni e i primi ministri provinciali. La Camera dei Comuni ad Ottawa ha sospeso i lavori parlamentari fino al 20 aprile. Dalle autorità sanitarie arriva semplicemente l’indicazione formale ad evitare i viaggi non essenziali. Il ministro dei trasporti Marc Garneau ha confermato che le navi da crociera non potranno attraccare fino al 1 luglio, ma la stessa azienda di Costa Crociere ha annunciato che sospenderà volontariamente le operazioni delle sue navi sino al 3 aprile.

    In tutto il Canada, sono attualmente 157 i casi di coronavirus confermati positivi, tutti rientrati da viaggi all’estero in paesi a forte allerta contagio. Viene inevitabilmente da pensare che anche questi relativamente “pochi” contagi si sarebbero potuti evitare, se compagnie aeree e aeroporti avessero avuti disposizioni preventive. 

    In Italia sono 17.660 i casi totali, 14.955 gli attuali positivi, 1.328 i ricoverati in terapia intensiva, 1.266 i deceduti e 1.439 i guariti. 250 vittime in un solo giorno. Ecco il numero dei contagiati (totali) nelle singole regioni: Lombardia 9.820 (+1.095 rispetto a giovedì), Emilia-Romagna 2.263 (+316), Veneto 1.595 (211), Piemonte 840 (260), Marche 725 (133), Liguria 345 (71), Campania 220 (41), Toscana 470 (106), Sicilia 130 (15), Lazio 277 (77), Friuli-Venezia Giulia 257 (90), Abruzzo 89 (6), Puglia 129 (25), Umbria 76 (12), Bolzano 125 (21), Calabria 38 (5), Sardegna 43 (4), Valle D’Aosta 28 (1), Trento 163 (56), Molise 17 (1), Basilicata 10 (2). Le grandi città si preparano: a Genova si pensa ad una nave-ospedale. Chiusa la sede della Rai in Puglia per un positivo. A Roma metro e bus chiuderanno la sera dopo le 21. Nel Belpaese il Covid-19 ha una letalità fino a 12 volte maggiore rispetto ad altri Paesi, la più alta del mondo. “A contribuire a questo tragico primato sono l’eterogeneità dei trattamenti in tutto il territorio e la scarsa tracciabilità dei casi positivi asintomatici a cui non viene effettuato il tampone nonostante siano stati a stretto contatto con uno o più pazienti accertati, contribuendo in modo inarrestabile alla crescita del contagio”: questo il monito dell’Associazione mondiale delle malattie infettive e i disordini immunologici (Waidid), presieduta da Susanna Esposito, che lancia un forte appello per combattere la pandemia, anche sulla base dell’esperienza degli esperti cinesi: “Diagnosi precoce, isolamento e trattamento sono i cardini per tenere a bada l’epidemia. Ma la tracciabilità si rivela fondamentale”. 

    L’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiara l’Europa nuovo epicentro della pandemia. Le vittime nel mondo superano la quota 5.000.

    La Spagna, con ormai oltre 4.000 contagi, dichiara lo stato di emergenza per limitare la circolazione delle persone. Francia e Svizzera hanno chiuso scuole e università. Shock nel Regno Unito. Fa discutere la tesi espressa da Sir Patrick Vallance, una delle due massime autorità mediche del governo di Boris Johnson: “Il 60% dei britannici dovrà contrarre il Covid19 per sviluppare l’immunità di gregge”. Boris Johnson ha esplicitamente sostenuto che “Molte famiglie perderanno i loro cari”. Lo scarto tra i contagi recensiti (circa 800) e quelli ipotizzati e presunti (fino a 10 mila) sembra gestita con approssimazione, ma è in realtà una vera e propria scelta del governo quella di non fare fondamentalmente nulla, perché “bloccare il virus è impossibile”, tanto vale che “gli inglesi sviluppino anticorpi”, insistendo che prendere misure “draconiane” non farebbe grande differenza e potrebbe addirittura risultare controproducente.

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  • Sciascia: È colpa nostra, fiducia in Trudeau

    Sciascia: È colpa nostra, fiducia in Trudeau

    Interviene il presidente del Congresso Nazionale degli Italo-Canadesi, Regione Québec

    Montréal – La Comunità italo-montrealese riflette, si interroga e cerca di capire i motivi alla base della cocente sconfitta alle primarie liberali nella circoscrizione di Saint-Léonard-Saint-Michel. Il fatto che dopo 35 anni il candidato liberale non sia più un italo-canadese, è un segno dei tempi che cambiano. Ma può anche essere un incidente di percorso che, paradossalmente, finirà per rafforzare il nostro senso di appartenenza. Del resto, in una società che ama definirsi multi-etnica e multi-culturale come quella canadese (lontana anni luce dal melting-pot inclusivo e ‘assimilante’ di matrice americana), è giusto che ogni Comunità tiri l’acqua al suo mulino. Visto che in Canada, fino a prova contraria, le differenze sono una valore aggiunto, una forma di arricchimento reciproco. Giusto? Sta di fatto che l’analisi della sconfitta non porta a conclusioni condivise: la Comunità italo-montrealese è in fermento e in tanti si chiedono come reagirà alle prossime elezioni federali del 21 ottobre. Anche alla luce del recente annuncio del Primo Ministro Justin Trudeau, che ha promesso le scuse ufficiali in memoria degli italo-canadesi internati durante la Seconda Guerra Mondiale. Una promessa molto significativa, che ha un’unica grande controindicazione: potrà essere mantenuta solo in caso di vittoria liberale, visto che la cerimona si terrà solo nei mesi successivi alla tornata elettorale. In questa fase così delicata per la vita comunitaria, abbiamo sentito il presidente del Congresso Nazionale degli Italo-Canadesi, Regione Québec, l’avv. Tony Sciascia. Che ha voluto subito mettere le cose in chiaro, per quanto riguarda la sconfitta alle primarie liberali a Saint-Léonard-Saint-Michel: “Gli italiani non dovrebbero essere arrabbiati col Partito Liberale, ma con l’ex deputato della contea Nicola Di Iorio, perché, se non avesse fatto quello che ha fatto, non ci sarebbe stata questa divisione nella Comunità. La diffidenza degli italiani verso il candidato prescelto, Hassan Guillet, passerà. Certo, ognuno è libero di votare chi vuole, ma non penso che i delusi siano la grande maggioranza della Comunità, che è sempre stata liberale e non credo che questo cambierà. Fermo restando che il Congresso non si schiera, perché è un ente apolitico. La verità è che la colpa è nostra, perché ci siamo divisi: Guillet ci ha saputo fare, ha saputo organizzarsi e questa volta la Comunità italiana ha perso il treno. E una parte della colpa è di Nicola Di Iorio, che, dopo le dimissioni, si sarebbe dovuto astenere dallo schierarsi nella contesa delle primarie. E poi, non tutti gli elettori di Cavaleri e Lattanzio hanno espresso la seconda preferenza scegliendo il secondo candidato italiano in lizza. Se chi ha votato Cavaleri si fosse schierato nel secondo turno anche per la Lattanzio, quest’ultima avrebbe vinto”.

    “Per quanto riguarda le scuse di Trudeau agli Italo-Canadesi in memoria degli internati della Seconda Guerra Mondiale, almeno il Primo Ministro ha offerto qualcosa. Cosa ci offre il Partito Conservatore? Ha sempre bloccato ogni iniziativa per sistemare questa vicenda. Avevamo un’intesa nel 2005 e non l’ha rispettata. Così come nel 2010 ha bocciato il progetto di legge 302 di Massimo Pacetti. Il fatto che Trudeau si sia impegnato dà a noi italiani l’opportunità di andare a sollecitare anche gli altri partiti per capire cosa sono disposti a fare. E comunque la colpa è di nuovo nostra, perché abbiamo presentato la proposta l’11 giugno. Si tratta di una vicenda nazionale, di competenza del Congresso nazionale e del presidente Roberto Colavecchio, ma, dopo un anno e mezzo di inoperosità, sono dovuto intervenire io per preparare la proposta e sbloccare la situazione. La proposta è stata quindi sottoposta all’ufficio del Primo Ministro l’11 giugno. E nei giorni successivi, a pochi giorni dalla chiusura del Parlamento, Justin Trudeau ha dato l’annuncio delle scuse ufficiali. Sono cose che richiedono una certa preparazione, non si fanno da un giorno all’altro”.

    “In merito alla frase che mi attribuisce Joseph Facal su Journal de Montreal del 13 giugno scorso (“C’est un désastre. Ça nous met en tabarouette, en bon québécois. On a commis une grande bêtise”), è palesemente fuori contesto, visto che io mi riferivo alla divisione nella nostra Comunità: non ho mai detto nulla contro Hassan Guillet, che ha fatto il suo lavoro ed ha vinto”. (V.G.)

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  • Legalizzata la cannabis per uso ricreativo

    Legalizzata la cannabis per uso ricreativo

    Montréal – Svolta storica in Canada: dalle ore 10 di mercoledì 17 ottobre, 12 “boutiques” autorizzate in Québec (altre 3 apriranno nei prossimi mesi) sono state prese d’assalto da centinaia di ‘clienti’, soprattutto giovani, per acquistare il primo ‘spinello di stato’. Il 17 ottobre, infatti, è entrata in vigore la legge che, dopo 95 anni, depenalizza il possesso, il consumo e la vendita della cannabis in tutto il Paese. Con le dieci Province e i tre Territori che disciplineranno la materia con un piano normativo ad hoc all’interno della legge-quadro federale approvata dal governo liberale di Justin Trudeau. Nel Paese degli Aceri la marijuana era proibita dal 1923, anche se dal 2001 era possibile utilizzarla per finalità terapeutiche. A Montréal, la Sindaca Valérie Plante ha annunciato che il Comune applicherà le attuali disposizioni della legge provinciale relative al consumo negli spazi pubblici. In pratica, sarà vietato farsi uno spinello lì dove è già vietato fumare. Inoltre, il divieto sarà esteso alle pensiline degli autobus, alle aree esterne di attesa per i mezzi pubblici, alle piste ciclabili ed agli spazi nei paraggi degli Istituti scolastici post-secondari. Un approccio “permissivo” che è stato contestato da 5 Arrondissements della metropoli, che hanno deliberato il divieto di consumo ‘tout court’ negli spazi pubblici. Nei municipi di Saint-Laurent, Montréal-Nord, Pierrefonds-Roxboro,Rivière-des-Prairies-Pointe-aux-Trembles e Saint-Léonard, quindi, sarà proibito fumare cannabis vicino ai parchi o in prossimità delle scuole. Restano le incognite sulla sicurezza stradale, sui rischi per la salute, sui controlli negli acquisti on line, sulla possibilità di farsi uno spinello nei condomini in affitto, sulle restrizioni a cui saranno sottosposti i dipendenti pubblici in posti di autorità come poliziotti, pompieri, medici, infermieri, insegnanti, giudici, ecc… ‘Rompicapi’ che il governo federale non ha saputo risolvere in tempo e che adesso saranno probabilmente regolati dalle sentenze dei tribunali.

    Missione compiuta per Trudeau. Alla fine ha avuto ragione lui: dopo la Camera dei Comuni, Justin Trudeau è risucito a convincere anche il Senato, che il 19 giugno scorso ha approvato il Cannabis Act con 52 voti a favore, 29 contrari e due astenuti. Ora i cittadini canadesi maggiorenni potranno comprare e consumare legalmente la cannabis per uso ricreativo. “Era troppo facile per i nostri figli comprare marijuana e per i criminali trarne profitto. Da oggi, le cose cambiano”, ha dichiarato il Primo Ministro Trudeau. Una mossa “anti-proibizionista” che mira a contrastare la criminalità organizzata legata al contrabbando ed allo spaccio di droghe, oltre ad incrementare le entrate dello Stato.

    Il 70% dei canadesi è favorevole alla legalizzazione. Secondo un sondaggio realizzato dell’agenzia di consulenza Abacus Data fra il 4 e il 15 settembre – e pubblicato dal Corriere Canadese – su un campione di tremila cittadini maggiorenni, il 70% dei canadesi supporta o accetta la legalizzazione della cannabis. Questi due aspetti della questione – “supportare” e “accettare” – si spartiscono il dato con, rispettivamente, il 46% e 24%, una netta maggioranza rispetto al 30% che è contrario alla legalizzazione, a sua volta diviso fra un 12% di chi si dice moderatamente contro e un 18% invece fortemente contro. La media del consenso, da quanto si evince dallo studio, si mantiene più o meno costante per ogni provincia, con l’Ontario al 71%, il Manitoba ed il Saskatchewan al 76% ed il Québec al 63%.

    Tutto quello che c’è da sapere:

    • L’età minima per l’acquisto è di 18 anni. In Québec, però, il neo governo della CAQ ha già annunciato che porterà l’età minima a 21 anni.
    • Nonostante la legge federale preveda la possibilità di coltivare a casa fino a 4 piante di marijuana, il Québec proibisce la coltivazione tra le mura domestiche.
    • In Québec è possibile procedere all’acquisto in 12 “centri” autorizzati (15 nei prossimi mesi), ovvero 12 succursali della Société québécoise du cannabis (SQDC) secondo il modello di monopolio pubblico già applicato alla commercializzazione dei vini e degli alcolici.
    • In vendita sugli scaffali 110 prodotti di cannabis classificati secondo 3 categorie: “Sativa” (dagli effetti energizzanti ed euforici), “Indica” (dagli effetti calmanti e rilassanti) e “Ibrido” (una via di mezzo).
    • Tre i formati previsti: 1, 3.5 e 15 grammi
    • Per ogni transazione è possibile acquistare fino a 30 grammi.
    • Il prezzo varia in base al prodotto: da 5.3 $ a 10.10 $ per grammo.
    • Solo gli acquisti da negozi ufficialmente riconosciuti saranno legali. Vendere la marijuana ad una minorenne resta un crimine.
    • La posta in gioco è molto alta al confine con gli Stati Uniti, dove il possesso e il traffico di marijuana restano un crimine federale: i cittadini canadesi in possesso di prodotti a base di cannabis, dunque, rischiano il fermo da parte da parte delle autorità americane.

     

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  • Caro Trudeau, la nostra Comunità merita di più

    Caro Trudeau, la nostra Comunità merita di più

    Il Punto di Vittorio Giordano

    Nessun “italiano” tra i nuovi Ministri

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    In tournée attraverso il Canada, Premier sotto attacco per le vacanze natalizie ai
    Caraibi con la famiglia e amici liberali, a spese di Aga Khan, capo spirituale miliardario

    Primo rimpasto dell’era Trudeau: sei nuovi Ministri, nessun italo-canadese. Il ‘tagliando’ all’azione dell’esecutivo canadese è arrivato il 10 gennaio scorso, 15 mesi dopo la spettacolare vittoria elettorale che ha portato i Liberali da 36 a 184 seggi. Dopo 21 anni di “servizio”, Stéphane Dion lascia la vita politica (fatali le esternazioni anti-Trump durante la campagna elettorale americana) e cede la poltrona di Ministro degli Esteri alla giovane e rampante Chrystia Freeland, 48 anni, ex giornalista economica, che, nelle veci di responsabile del Commercio internazionale, si è distinta nei negoziati per l’accordo di libero scambio con l’Unione Europea, oltre a vantare un’ottima conoscenza della realtà geopolitica della Russia di Putin. Poliglotta (parla 5 lingue, tra cui russo e italiano), spetterà a lei ‘sfidare’ l’asse nascente tra New York e Mosca. A rimpiazzarla, al Commercio, sarà François-Philippe Champagne, avvocato 46enne con una trafila in diverse imprese internazionali, come il gruppo svizzero-svedese ABB, specializzato in tecnologie energetiche. Silurato anche l’economista 68enne John McCallum, che ha brillato per immobilismo (al netto dei quasi 40 mila rifugiati siriani accolti a braccia aperte) e potrà svernare in Cina nel ruolo di Ambasciatore: a guidare il Ministero dell’Immigrazione, dei Rifugiati e della Cittadinanza sarà il 41enne Ahmed Hussen, nato in Somalia e giunto in Canada a 16 anni come rifugiato. Sarà il primo cittadino somalo ad occupare un seggio a Parliament Hill. L’augurio è che non si occupi solo di rifugiati: la legge sulla cittadinanza, annunciata ‘urbi et orbi’, sta facendo la muffa al Senato. La 29enne Karina Goul eredita il Ministero delle Istituzioni democratiche da Maryam Monsef, 31 anni, che diventa Ministro della Condizione Femminile, al posto di Patricia A. Hajdu, che a sua volta assume la guida del Ministro dell’Occupazione, dello Sviluppo della Manodopera e del Lavoro. Escono di scena, dunque, due pesi massimi come Dion e McCallum. I Ministri restano 30, 15 del ‘gentil sesso’. Ma scende l’età media. “Perché siamo nel 2017”, direbbe Trudeau. Da bravo equilibrista, il leader liberale è riuscito nell’intento di svecchiare il governo, mantenendone inalterata l’intelaiatura di base fondata su principi-cardine come diversità, minoranze visibili, rappresentatività territoriale e parità di genere. Tutti criteri rispettabili e, in parte, condivisibili. Non meno, però, di criteri altrettanto importanti come la competenza, il talento, l’esperienza o l’appartenenza a Comunità, come quella “italiana”, che hanno fatto la storia del Canada. Possibile che tra i tredici (13) deputati di origine italiana – Anthony Rota, Marco Mendicino, Francesco Sorbara, Judy Sgro, Filomena Tassi, Mike Bossio, Nicola Di Iorio, Angelo Iacono, Joe Peschisolido, David Lametti, Francis Scarpaleggia, Bob Bratina e Sherry Romanado – nemmeno uno meritasse la promozione a Ministro? Non siamo i soli: lo stesso ‘oblio’ è toccato a canadesi di origine cinese, greca e sudamericana. Mal comune, mezzo gaudio? Non proprio! Gli italiani meritano di più: ci saremmo aspettati un atto di riconoscenza verso una Comunità che, più di altre, ha contribuito, con la sua intraprendenza ed i suoi valori, allo sviluppo sociale, culturale ed economico del Paese. Magari, ce lo auguriamo, se ne riparlerà al prossimo rimpasto. Anche perché il voto italiano (liberale a prescindere) è prezioso e non va mai dato per scontato o preso sottogamba. Così come sarebbe grave se gli italiani, ormai alla 4ª generazione, venissero percepiti come canadesi ‘tout court’ e quindi assimilati. O peggio, se, per colpa di una sparuta minoranza, ‘pagassero’ il pregiudizio legato ai recenti scandali della Commission Charbonneau. E ci fermiamo qui: lungi da noi rincarare la dose. Anche perché, per Justin Trudeau, piove sul bagnato: dopo le critiche degli ambientalisti (su tutti l’attrice e attivista Jane Fonda) per il ‘nulla osta’ all’oleodotto in Alberta, il premier è finito sotto inchiesta della Commissaria per le questioni etiche, Mary Dawson, sulle sue vacanze di Capodanno alle Bahamas, in cui ha raggiunto le isole caraibiche a bordo di un elicottero privato dell’Aga Khan, capo dei musulmani ismailiti, amico miliardario di famiglia, nonché capo di una Fondazione che dai governi canadesi negli ultimi anni (sia liberali che conservatori) ha ricevuto fondi per centinaia di milioni. Secondo le opposizioni, violando il regolamento etico e macchiandosi di conflitto di interesse. “Non ci vedo nulla di male, ma sarò felice di rispondere a qualsiasi domanda delle autorità”, la risposta del Premier, che intanto sta attraversando in lungo e in largo il Canada in una serie di incontri con i cittadini. La campagna elettorale, però, è finita: è tempo di legiferare e mantenere le promesse. Anche perché il 2016 è stato tra i meno produttivi della storia parlamentare: solo 15 leggi approvate. È necessario un cambio di passo. Che il rimpasto sia come la campanella a scuola: la ricreazione è finita!

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  • Il mondo alza le barricate, Trudeau apre le porte

    Il mondo alza le barricate, Trudeau apre le porte

    IL PUNTO di Vittorio Giordano

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    In un’epoca sempre più votata alla chiusura dei confini (vedi i ‘sudditi’ di Sua Maestà con la Brexit) ed alla ‘fobia’ del diverso/immigrato (vedi Trump con il suo ‘muro’ al confine col Messico), si erge un “anti-eroe dei tempi moderni”, un ‘Bastian contrario’, o forse un ‘leader-non allineato’, magari ‘diversamente illuminato’: Justin Trudeau.

    Il Primo Ministro del Canada non vuole saperne di chiudersi nella sua torre d’avorio e si oppone con straordinario coraggio al nuovo ordine mondiale, che sembra volersi abbeverare ai rigurgiti isolazionisti ed alle recrudescenze populiste. Nel vecchio continente, il trend è sotto gli occhi di tutti: le forze anti-sistema intercettano una fetta sempre più ampia di popolazione indignata con i partiti tradizionali, scettica sulle politiche di accoglienza dei rifugiati, preoccupata per l’aumento della criminalità ed il peso crescente dell’Islam. I successi della destra di “Alternative fuer Deutschland” (AfD) in Germania, come quello del Front National di Marine Le Pen in Francia, del polacco “Diritto e giustizia” di Jaroslaw Kaczynski o dei nazionalisti austriaci del Partito della Libertà (Fpoe) di Norbert Hofer, ma anche l’ascesa di Trump negli Stati Uniti, sono più di una semplice spia di allarme. Il sospetto, l’odio e l’intolleranza guadagnano terreno: gli attacchi terroristici sempre più ravvicinati, sanguinosi e indiscriminati sono altra benzina sul fuoco. La globalizzazione dei popoli (più quella economica) spaventa e spinge le singole nazioni a rifugiarsi nella difesa (e nella riscoperta) delle proprie radici. Forse perché il Canada un vero Paese non lo è mai stato, ha solo 149 anni storia, è ‘protetto’ da un oceano immenso ed è da sempre una terra multiculturale, multietnica e multireligiosa; fatto sta che, ‘guidata’ dal suo Primo Ministro, sembra voler percorrere la strada opposta: quella dell’apertura e dell’inclusione. Tra dicembre e febbraio, Ottawa ha accolto 25 mila siriani (per lo più sponsorizzati dai parenti, già accasati e sulla via dell’integrazione); rispetto ai 217 mila immigrati accolti nell’epoca Chrétien ed ai 250 mila sotto Harper, Trudeau punta ad ‘abbracciarne’ 300 mila nel 2016 (la nuova legge sulla cittadinanza che semplifica le procedure per il passaporto sarà approvata entro ottobre); il Canada punta a ratificare in tempi brevi sia l’accordo economico e commmerciale con l’UE (CETA) che il partenariato Trans-Pacifico (TPP) con altri 11 Paesi strategici come Australia, Giappone e Perù; nel recente summit con Usa e Messico, poi, Ottawa ha deciso di sollevare i turisti messicani dall’obbligo del visto ed ha convinto i 2 Paesi partners ad incrementare l’energia prodotta da fonti rinnovabili (già l’81% del suo fabbisogno è generato da idroelettrico, solare, eolico e nucleare). Ma non è finita qui: in un’epoca in cui il ‘nuovo’ ed il ‘diverso’ sono visti con sospetto, il Canada ha già approvato la legge sulla morte assistita ed ha annunciato la legalizzazione della marijuana, oltre a provvedimenti legislativi a favore dei transgender. Tanto che il Canada, oggi, è il secondo Paese al mondo per indice di progresso sociale (2016 Social Progress Index), dietro solo alla Finlandia. Lo stesso Trudeau  ha partecipato (è la prima volta nella storia) al Gay Pride, che si è tenuto domenica scorsa a Toronto. E il suo governo sta addirittura esplorando la possibilità di introdurre opzioni per il genere neutro nelle carte d’identità. Sarebbe una ‘prima’ mondiale. Per il Ministro degli Esteri, Stéphane Dion, Trudeau rappresenta l’antidoto alla xenofobia: “Incarna il sentimento della giustizia sociale e dell’accettazione delle differenze come un motivo di forza, non come una minaccia”, ha spiegato. Una cosa è certa: piaccia o non piaccia, dall’11 settembre la ‘strategia della tensione’ adottata dall’Occidente non ha pagato. Può apparire scomoda e rischiosa, ma se fosse proprio la “distensione inclusiva”, sulla quale Trudeau sta costruendo le sue fortune, la chiave di volta per un nuovo ordine mondiale?

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  • Nord America unito contro Brexit e Trump

    Nord America unito contro Brexit e Trump

    Vertice a Ottawa tra Trudeau, Obama e Peña Nieto

    Un segnale di grande unità, in un momento in cui sia in Europa che in America ci sono forze che spingono per disgregare e mettere in crisi i rapporti commerciali

    Vertice-Ottawa

    Entro il 2025, il 50% dell’energia verrà dalle fonti verdi e rinnovabili e dal 1º dicembre i cittadini messicani non necessiteranno più di un visto per entrare in Canada

    Ottawa – Le tre “Americhe” sono più unite che mai, contro Brexit e le possibili conseguenze sul commercio internazionale, così come contro Trump e la sua politica anti-immigrazione. I leader dei tre Paesi nordamericani, Justin Trudeau (Canada), Barack Obama (Usa) e Enrique Peña Nieto (Messico) si sono incontrati ad Ottawa, il 29 giugno scorso, nella cornice del Museo delle Belle Arti,  in occasione del vertice conosciuto anche come summit dei “Tres amigos”. “Le conseguenze a breve termine della Brexit – ha spiegato Obama – si possono gestire senza difficoltà. Ma nel lungo periodo, le disuguaglianze, le storture e le ricadute sociali non possono essere ignorate”. Oltre alla Brexit, i tre leader si sono focalizzati sul mercato interno, sul Nafta, che dal 1994 stabilisce il libero scambio tra 500 milioni di persone, e che Donald Trump ha a più riprese attaccato. Obama ha avvertito sui pericoli dell’isolazionismo: “Sono convinto che i valori transatlantici, che condividono tutte le democrazie fondate sul libero mercato, sono più profondi e più forti di qualsiasi avvenimento”, ha concluso il presidente americano. Un messaggio condiviso anche da Justin Trudeau, secondo cui il gli scambi commerciali non sono solo un bene per l’economia globale, ma anche per gli stessi cittadini. “Sappiamo che le industrie che esportano più beni – ha detto il Primo Ministro canadese – pagano salari del 50% superiori rispetto a quelle che privilegiano il mercato interno”. “Con questa partnership – ha aggiunto – i nostri Paesi saranno l’uno accanto all’altro in un lavoro che ha come scopo comune la competitività del Nord America, una maggiore crescita e la protezione del nostro patrimonio ambientale comune per le future generazioni”. Ed ha concluso annunciando che, a partire dal prossimo 1º dicembre, porrà fine al regime obbligatorio di visti per i cittadini messicani: un chiaro messaggio alle posizioni intransigenti di Trump, che ‘minaccia’ invece di costruire un muro al confine meridionale. Pena Nieto, a sua volta, ha annunciato che il Messico consentirà l’importazione di carne bovina canadese. E così, mentre nel mondo acquistano sempre più forza e popolarità posizioni neo-protezionistiche, i membri del Nafta rafforzano gli accordi di libero scambio e di cooperazione regionale. E lo fanno in maniera intelligente, con un occhio di riguardo anche verso lo sviluppo sostenibile. Tra i risultati più concreti conseguiti dai tre Paesi al vertice di Ottawa, infatti, c’è un nuovo accordo sul clima: il Nord America genererà il 50% della propria elettricità da fonti “pulite” – rinnovabili come eolico, solare e idroelettrico, ma anche nucleare – entro il 2025, a fronte del 37% del 2015. Il Messico si è anche impegnato a ridurre tra il 40 e il 45% le emissioni di metano, generate dal settore del petrolio e del gas, un obiettivo già fissato da Usa e Canada. La scelta dei tre Stati si inquadra all’interno dell’accordo sul clima siglato alla ‘Conferenza Onu’ di Parigi nel dicembre scorso, che punta a ridurre le emissioni di gas serra per contenere l’aumento della temperatura globale entro i due gradi centigradi. Oltre a contrastare il cambiamento climatico, tuttavia, l’obiettivo di rispondere a metà della domanda elettrica, con fonti che abbattono le emissioni, servirà anche all’economia. Come sottolinea la Casa Bianca, l’intesa nordamericana farà aumentare i lavoratori nel settore delle energie pulite, dagli attuali 700mila a 1,1 milioni. (V.G.)

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  • Quando le scuse ufficiali agli italo-canadesi?

    Quando le scuse ufficiali agli italo-canadesi?

    IL PUNTO di Vittorio Giordano

    Trudeau ha chiesto perdono agli Indiani per averli ricacciati in mare nel 1914

    Di Iorio: “La nostra Comunità deve essere riconosciuta per il suo contributo e le sue istituzioni, dicendo basta a qualsiasi altra forma di diffamazione”

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    “Pur sapendo che nessuna parola sarà in grado di cancellare completamente il dolore e la sofferenza vissuti dai passeggeri, presento le scuse più sincere, a nome del governo di Ottawa, per le leggi in vigore all’epoca che hanno permesso al Canada di restare indifferente alla triste sorte poi occorsa ai passeggeri di Komagata Maru. L’incidente Komagata Maru rappresenta un momento buio nel nostro passato. (…) Abbiamo imparato e continueremo ad imparare dagli errori del nostro passato, facendo in modo di non ripeterli più”. Sono le parole, profonde e solenni, pronunciate il 18 maggio scorso dal Primo Ministro del Canada, Justin Trudeau, alla Camera dei Comuni: scuse formali ed ufficiali che si riferiscono a quanto avvenne ad una nave giapponese che, nel 1914, salpò da Hong Kong, fece tappa in Giappone e poi si diresse in Canada con 276 passeggeri indiani, quasi tutti sikhs. Nonostante fossero nativi della provincia dell’Impero, e quindi di fatto cittadini britannici, solo 24 furono accettati, mentre gli altri 352 furono respinti e costretti a fare ritorno in India, dove in 19 vennero giustiziati dalle autorità britanniche e molti altri furono rinchiusi in prigione o costretti a darsi alla macchia. Una pagina nera della storia canadese che Trudeau ha fatto benissimo a stigmatizzare ed a condannare: nonostante siano passati oltre cento anni, non è mai troppo tardi per fare ‘mea culpa’. Ma c’è un’altra pagina nera della storia canadese che reclama, pretende, grida, urla… GIUSTIZIA. E visto che, soprattutto a livello istituzionale, sono ammissibili tempi diversi, ma non sono mai giustificabili due pesi e due misure, ci chiediamo quando arriveranno le scuse di Ottawa – formali, ufficiali, in Parlamento ed altrettando sacrosante – per tutti quegli italo-canadesi che durante la Seconda Guerra Mondiale furono discriminati perché dichiarati “enemy aliens” (stranieri nemici). Tanto che in più  di 600 (di cui 215 solo a Montréal) furono addirittura internati in veri e propri campi di concentramento come quello (tristemente noto) di Petawawa, in Ontario. In tutto il Paese, circa 31 mila italo-canadesi, senza nessuna prova di colpevolezza, sono finiti sotto la stretta sorveglianza della Gendarmeria Reale del Canada (GRC). Crediamo sia giunto il momento di “lavare”, una volta per tutte, l’onta della deportazione saldando un debito con la storia e rimarginando una ferita mai completamente cicatrizzata. Il Comune di Montréal ha già aperto un solco: 3 anni fa, infatti, ha proclamato il 10 giugno come “giornata ufficiale della commemorazione dell’internamento dei membri della Comunità italiana”. Ora manca l’ultimo sigillo, quello più atteso: le scuse ufficiali del governo federale. A dire la verità qualcosa si è già mosso: nel 1990, il Primo Ministro Brian Mulroney ha presentato le sue scuse pubbliche, “piene ed intere”, ai “compagni canadesi di origine italiana” per il trattamento “abusivo, ingiusto ed illegale” subito ad opera della polizia federale. Ma lo fa fatto in occasione della biennale del Congresso nazionale degli italo-canadesi a Toronto. Manca l’ultimo miglio, il passo decisivo per chiudere il cerchio: le scuse in Parlamento. Ci ha provato l’ex deputato di St-Léonard/St-Michel Massimo Pacetti con la proposta di legge C-302 (Loi de reconnaissance et d’indemnisation des Canadiens d’origine italienne), che prevedeva, oltre alle scuse ufficiali, anche la creazione di una fondazione (amministrata dagli organismi italo-canadesi) per lo sviluppo di materiali didattici sulla storia italocanadese, da usarsi nelle scuole e nei centri culturali, e l’emissione di un francobollo commemorativo. Peccato che la legge non venne mai alla luce visto che, dopo essere stata approvata dalla Camera dei Comuni (147 voti a favore e 134 contrari), non ha mai ricevuto il sigillo finale del Senato. Diventando, di fatto, carta-straccia. Non è mai troppo tardi per rimediare. La pensa così anche l’attuale deputato liberale eletto nella contea di St-Léonard/St-Michel, Nicola Di Iorio: “Per noi italo-canadesi – ci ha detto il parlamentare –  il 10 giugno del 1940 è una data che non potremo mai dimenticare visto che, ancora oggi, gli italiani in Canada, che sono circa un milione e mezzo, ne stanno pagando il prezzo. I nostri connazionali dell’epoca, poco istruiti, non hanno mai saputo perché sono stati internati, ma hanno subito convenuto che evidentemente il governo doveva avere una buona ragione per farlo: erano loro ad avere torto e si sono persino vergognati. Le generazioni successive ne hanno scontato le conseguenze: negli anni 50’ c’era chi, tra gli italiani, si sentiva in colpa per aver creato un dispiacere al governo. E, negli anni a venire, c’era chi ha continuato a sfruttare quell’ambiguità contro gli italiani facendo ricorso ad insinuazioni ed accuse infondate per costringerli sulla difensiva. Noi saremo in Parlamento per accertarsi che Justin Trudeau faccia le scuse anche agli italo-canadesi: i sikhs non sono i soli a meritare le scuse nella Camera dei Comuni. La nostra Comunità deve essere unita e seguire i suoi rappresentanti in Parlamento manifestando con insistenza il suo desiderio di essere riconosciuta per il suo contributo e le sue istituzioni, dicendo basta a qualsiasi altra forma di diffamazione”.

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