Tag: Justin Trudeau

  • Giustizia, Immigrazione e Lavoro agli Italiani

    Giustizia, Immigrazione e Lavoro agli Italiani

    Il Primo Ministro ha scelto David Lametti, Marco Mendicino e Filomena Tassi

    IL PUNTO di Vittorio Giordano

    ‘Il Buongiorno si vede dal mattino’ e ‘Chi ben comincia è già a metà dell’opera’: sono due proverbi che calzano a pennello per sintetizzare il nostro giudizio sulla composizione del nuovo governo di minoranza guidato da Justin Trudeau. A questi potremmo aggiungerne un altro: “Date a Cesare quel che è di Cesare”. Finalmente, la folta e influente Comunità Italo-Canadese ottiene la giusta considerazione e trova una degna rappresentanza nel nuovo esecutivo liberale, con tre Ministeri strategici come Lavoro, Giustizia e Immigrazione. Tre settori-chiave per il buon funzionamento di uno stato di diritto. Il giusto attestato di stima verso una Comunità che, più di altre, ha contribuito, con la sua intraprendenza ed i suoi valori, allo sviluppo sociale, culturale ed economico del Paese degli Aceri. Senza trascurare la quasi innata ‘vocazione’ Italo-Canadese a votare in blocco per il Partito Liberale. Basti pensare che nei 33 collegi ad alta densità italiana (dove risiedono almeno 10mila Italo-Canadesi), gli eletti Liberali sono passati da 24 a 25. Insomma, la storica fedeltà italiana non ha vacillato, nemmeno dopo 4 anni di deficit galoppante, misure controverse e qualche scandalo di troppo. Trudeau ha voluto premiare chi lo ha sostenuto, nonostante il vento contrario. Facendosi perdonare per la ‘dimenticanza’ del 2015, quando ha varato un governo per la prima volta senza volti Italo-Canadesi: il ‘tributo’ tricolore al governo di Ottawa cominciato nel 1981 con Carletto Caccia, passando per Lisa Frulla e Alfonso Gagliano, si era bruscamente fermato a Julian Fantino nel 2015. Ora manca l’ultimo step per completare l’opera di “riconciliazione”: le scuse agli Italo-Canadesi per l’internamento arbitrario durante la Seconda Guerra Mondiale, come promesso il 14 giugno scorso, a Vaughan. Per saldare un debito con la storia e rimarginare una ferita mai cicatrizzata. Nel frattempo, ci rallegriamo per un governo che parla un po’ più italiano. Prima di tutto, ci sembrava un atto dovuto – e così è stato – confermare alla Giustizia David Lametti, entrato nella stanza dei bottoni del Consiglio dei Ministri nel secondo rimpasto della scorsa legislatura, a soli 9 mesi dal voto: anche nei panni di Procuratore Generale del Canada, Lametti ha avuto il merito di gestire con freddezza ed oculatezza il caso Snc-Lavalin, dopo la burrascosa uscita di scena di Jody Wilson-Raybould. Docente di Diritto all’Università McGill, il deputato Italo-canadese (nato a Port Colborne, in Ontario, da genitori marchigiani) si è lanciato in politica nel 2005, eletto nella contea di LaSalle-Émard-Verdun. Marco Mendicino, dal canto suo, è il nuovo Ministro dell’Immigrazione e della Cittadinanza. Eletto per la prima volta nel 2015 nella contea di Eglinton—Lawrence, in Ontario, Mendicino, 46 anni, originario di Cleto, in provincia di Cosenza, è il secondo calabrese, in ordine di tempo, ad essere investito di questa nomina, dopo Judy Sgrò, che aveva guidato il dicastero tra il 2003 e il 2005. Un pezzo di Calabria che si va ad aggiungere ai deputati eletti nell’ultima tornata elettorale, sempre nel Partito Liberale: oltre a Mendicino, hanno staccato il rinnovo del pass per Ottawa anche Judy Sgrò e Francesco Sorbara. Per Mendicino non sarà una passeggiata: avrà l’ingrato compito di svecchiare e snellire un sistema spesso farraginoso, appesantito da un iter burocratico e da requisiti stringenti che penalizzano gli stessi candidati italiani. Le cifre sono allarmanti: degli oltre 3,6 milioni di stranieri che hanno ottenuto la residenza permanente dal 2006 ai primi otto mesi del 2019, solamente 8.649 sono italiani: lo 0,23% del totale! Ad essere promossa, infine, è stata anche l’Italo-Ontariana Filomena Tassi, che dagli Anziani, dicastero senza portafoglio, è passata al Lavoro, che ha un valore specifico molto più rilevante. Eletta per la prima volta nel 2015 nella contea di Hamilton West-Ancaster—Dundas, Filomena è laureata in Giurisprudenza, oltre a vantare un Master in Educazione Religiosa.

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  • Ora le scuse per l’internamento

    Ora le scuse per l’internamento

    IL PUNTO di Vittorio Giordano

    Gli elettori Italo-Canadesi hanno confermato la loro fiducia in Justin Trudeau: ora ci aspettiamo qualche Ministro al governo, così come il rispetto della ‘parola data’ lo scorso giugno a Vaughan

    Il Parlamento canadese è pronto a ripartire con i seggi così suddivisi: 157 ai Liberali, 121 ai Conservatori, 32 al Bloc Québécois, 24 all’NDP e 3 ai Verdi. Nessun partito ha ottenuto i 170 seggi necessari per esprimere un governo solido e forte. I Liberali hanno perso 27 seggi rispetto a quattro anni fa (184), di cui 9 solo in Québec. Addirittura zero seggi in Alberta ed in Saskatchewan. Considerando che il Partito Conservatore si è aggiudicato il voto popolare, conquistando il 34,4% dei consensi contro il 33,1% dei Liberali, è indubbio che oggi il Canada sia un Paese profondamente diviso. Tra città e regioni, così come tra est e ovest. Trudeau dovrà essere conciliante: il suo sarà pure il governo minoritario più forte della storia, ma resta pur sempre minoritario. E quindi sarà alla mercè dei compromessi. È vero che nella storia del Canada ci sono già stati 13 governi minoritari (tra cui quello di Pierre Elliot Trudeau con i Neodemocratici nel 1972-74) ed è anche vero che spesso hanno partorito riforme epocali, come l’assicurazione sanitaria pubblica ed il regime pensionistico federale; ma è anche vero che in media durano 20 mesi. Meno della metà della durata naturale. Insomma, i primi mesi saranno cruciali. In occasione della manovra economica del 2021 o del 2022, i Neodemocratici potrebbero già staccare la spina. In ogni caso, il governo minoritario verrà alla luce il 20 novembre. Lo ha annunciato lo stesso Primo Ministro, che poi ha chiarito: “Non ci sarà nessuna coalizione”. Trudeau ha spiegato che dialogherà con tutti i leader delle opposizioni. La sua sarà una maggioranza mobile e flessibile: ci saranno provvedimenti in cui i Liberali cercheranno la sponda dei Neodemocratici (con il rischio di un boom del deficit), altri in cui cercheranno l’appoggio del Bloc; ed altri ancora, come nel caso del gasdotto, in cui potranno contare sul sostegno dei Conservatori. Una cosa è certa: i Liberali hanno potuto contare sul voto degli Italo-canadesi. Come certifica il Corriere Canadese, infatti, “nei 92 distretti federali dove la presenza degli italocanadesi è superiore a 5mila, i Liberali hanno ottenuto 67 seggi (72,8%), mentre i Conservatori non sono andati oltre a 21 collegi conquistati (22,8%)”. A questo punto ci aspettiamo una significativa presenza di Ministri Italo-Canadesi al governo. A cominciare dalla riconferma di David Lametti. Ma soprattutto, ci aspettiamo che il governo tenga fede alla promessa fatta il 14 giugno scorso, quando, in occasione di un evento a Vaughan, Justin Trudeau ha annunciato che avrebbe chiesto scusa agli Italo-Canadesi internati durante la Seconda Guerra Mondiale. “Le scuse si svolgeranno nella Camera dei Comuni nei mesi successivi all’insediamento del nuovo governo”, ha spiegato dalle nostre colonne lo stesso Ministro Lametti. La tempistica ci aveva fatto storcere il naso. Ora Trudeau può dimostrare tutta la sua buona fede e riscattare la memoria di 700 connazionali rinchiusi ingiustamente nei campi di concentramento. Saldando un debito con la storia e rimarginando una ferita mai cicatrizzata. Aspettiamo fiduciosi.

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  • Riconfermato, ma con riserva

    Riconfermato, ma con riserva

    IL PUNTO di Vittorio Giordano

    Il Canada resta liberale, ma questa volta la fiducia accordata al Primo Ministro non è stata totale e incondizionata: gli elettori hanno scelto ancora Trudeau, ma senza la stessa convinzione e compattezza del 2015. Trudeau ha mantenuto il potere, ma la sensazione è che questa volta si sia imposto più per la mancanza di alternative credibili che per meriti personali, acquisiti in quattro anni di governo. Nessuno dei leader è riuscito a convincere gli elettori, conquistando la maggioranza dei seggi necessari (170) per governare senza patemi d’animo fino al 2023: Andrew Scheer (Partito Conservatore) poco carismatico e autorevole,  Jagmeet Singh (NDP) troppo progressista, Elizabeth May (Partito Verde) troppo schiacciata sull’ecologismo militante, Yves-François Blanchet (Bloc Québécois) troppo Quebec-centrico e Maxime Bernier (Partito Popolare) troppo estremista. Alla fine i canadesi si sono affidati al vecchio adagio popolare: ‘Chi lascia la via vecchia per la nuova sa quel che lascia ma non sa quel che trova’. Da qui la scelta di rinnovare la fiducia a Trudueau, ma senza lasciargli campo libero. A limitarlo saranno le opposizioni, con cui Trudeau dovrà negoziare la sua azione di governo. Per un esecutivo ‘sotto tutela’. Una tutela neodemocratica o blocchista, con Singh favorito su Blanchet a fare da stampella all’esecutivo. Grazie ai 156 deputati liberali eletti, infatti, basterebbe aggiungere i 25 Arancioni e magari i 3 Verdi (183 in tutto, 13 in più rispetto ai 170 necessari) per formare un governo di centrosinistra. Una soluzione naturale e logica in teoria, ma difficilmente praticabile, visto che in campagna elettorale, sia la May che Singh non hanno risparmiato critiche feroci a Trudeau, accusato di predicare bene e razzolare male. Il Bloc di Blanchet ed i Liberali, d’altro canto, sono lontani anni luce su temi fondamendali, come la laicità dello stato ed i poteri della Belle Province, sulla dichiarazione dei redditi e sull’immigrazione. C’è poco da fare: a questo punto Trudeau dovrà turarsi il naso e negoziare. La colpa di questa evidente ‘diminutio’ è solo sua: gli elettori lo hanno ‘dimezzato’ per i troppi passi falsi compiuti: sia di immagine, come il viaggio-fiasco in India e lo scandalo del BlackFace, che di sostanza, come l’acquisto del gasdotto, il debito ed il deficit galoppante, la legalizzazione controversa della cannabis, l’intenzione di contestare in Corte Suprema la legge sulla laicità del Québec ed il tentativo di insabbiare le presunte condotte illecite di SNC-Lavalin. Errori di gioventù ed inesperienza, che gli sono costati popolarità e seggi.  Ora governerà con un esecutivo che rischia di diventare un governicchio, indebolito alla nascita dai necessari compromessi al ribasso che dovrà negoziare in Parlamento.

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  • Governo liberale minoritario

    Governo liberale minoritario

    Justin Trudeau è stato riconfermato Primo Ministro: guiderà il Paese per un secondo mandato di fila, ma dovrà scendere a patti con le opposizioni, non potendo contare su una maggioranza relativa in Parlamento

    Liberali sorpresi dal Bloc Québécois di Blanchet, che si aggiudica 32 seggi, 22 in più rispetto a 4 anni fa. Conservatori traditi dall’Ontario, dove conquistano solo 3 seggi in più rispetto al 2015

    Montréal – Il Canada ha scelto: Justin Trudeau resta Primo Ministro, ma guiderà un governo di minoranza. Nelle ultime 6 elezioni, si è già verificato 3 volte: nel 2004 con Paul Martin (PLC), poi nel 2006 e nel 2008 con Stephen Harper (PC). Lunedì 21 ottobre il Partito Liberale si è aggiudicato le elezioni numero 43 della storia federale, ma dovrà scendere a patti con le opposizioni, non essendo riuscito ad accaparrarsi i 170 seggi  necessari per ottenere la maggioranza relativa alla Camera dei Comuni. Un sorriso a metà per Trudeau, che ha vinto, ma non ha stravinto: gli elettori gli hanno rinnovato la fiducia, ma con riserva. La sua azione di governo sarà, per forza maggiore, condizionata dai patti che dovrà stringere verosimilmente con il Partito Neodemocratico ed il Bloc Québécois. Se il partito orange di Jagmeet Singh ha deluso le attese conquistando solo 26 seggi, a sparigliare le carte è stato il partito nazionalista di Yves-François Blanchet, capace di condurre una campagna elettorale magistrale e portare a casa addirittura 32 seggi (+22 rispetto a 4 anni fa).  Oltre 27 milioni di elettori, di cui 6,5 nella provincia del Québec, hanno eletto i deputati in 338 circoscrizioni elettorali. Nella legislatura precedente, i seggi erano così distribuiti: 177 ai Liberali, 95 ai Conservatori, 39 ai Neodemocratici, 10 ai Blocchisti, 2 ai Verdi, 1 ai Popolari, 9 Indipendenti e 5 vacanti. I parlamentari, il cui mandato dura quattro anni, sono stati eletti con il sistema maggioritario secco: ad aggiudicarsi il seggio, infatti, sono stati i candidati che hanno ottenuto il maggior numero di voti in ciascun distretto elettorale. Un sistema che produce spesso una distorsione tra il voto popolare e la distribuzione dei seggi. Tanto che, rispetto ai dati ufficiali aggiornati all’una di notte, i Conservatori vantano il 34,5% del consenso popolare, contro il 33 % del Partito Liberale, il 7,9 % del Bloc Québécois, il 15,9% del Partito Neodemocratico ed il 6,3% del Partito Verde. Se il vero vincitore di questa tornata elettorale è il blocchista Yves-François Blanchet, mattatore incontrastato in Québec, l’unico grande sconfitto è Andrew Scheer, che si è difeso bene nelle Province Atlantiche, salvo poi arretrare in Québec, dove ha conquistato 9 seggi rispetto agli 11 di 4 anni fa, e fare pochi progressi in Ontario, dove si è aggiudicato 37 seggi, solo 4 in più rispetto al 2015. Vano il ‘cappotto’ nelle Province dell’Alberta (33 seggi a zero) e in Saskatchewan (14 a zero), tradizionalmente blu; così come anche la sostanziale tenuta in British Columbia (17 seggi, +7 rispetto al 2015, contro gli 11 Liberali e gli 11 Neodemocratici). Rieletti tutti i leader dei partiti: Andrew Scheer nella contea di Regina—Qu’Appelle, Justin Trudeau a Papineau, Yves-François Blanchet a Beloeil-Chambly ed Elizabeth May a Saanich-Gulf Islands. Non ce l’ha fatta, invece, Maxime Bernier nella circoscrizione di Beauce. Col 96,61% dei voti scrutinati, l’affluenza registrata è stata del 62,7% (contro il 68,3% nel 2015 ed il 61,1% nel 2011).  (V.G.)

    In Québec è tornato il Bloc

    Montréal – Cavalcando l’onda lunga della vittoria di François Legault al governo provinciale, Yves-François Blanchet ha sorpreso tutti, analisti e avversari, facendo risorgere il Bloc Québécois: dopo una campagna elettorale misurata ed efficace, senza mai agitare lo spettro della secessione, il partito nazionalista delle Belle Province ha saputo convincere pure gli indecisi, portando il numero di deputati da 10 a 32. Un’Araba Fenice risorta dalla sue ceneri, dopo che nel 2011 i deputati del Bloc erano stati letteralmente decimati (solo 4). Una vittoria enorme, che fa del Bloc Québécois il vero ago della bilancia del nuovo governo liberale minoritario. Una vittoria che ha penalizzato i Liberali ed i Conservatori, fermi rispettivamente a 35 e 10 deputati eletti. Grande delusione per i Neodemocratici, che hanno portato a casa 1 misero seggio in tutta la Provincia. Montréal si conferma una città liberale con 24 deputati eletti, ma anche qui è arrivata l’onda nazionalista, con ben 14 seggi a favore del Bloc.

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  • Tony Loffreda nominato Senatore

    Tony Loffreda nominato Senatore

    Ottawa – Lo avevamo chiesto ad alta voce, e dal 23 luglio è realtà: il Primo Ministro, Justin Trudeau, ha annunciato che la Governatrice Generale Julie Payette ha nominato l’italo-canadese Tony Loffreda Senatore del Canada. Prenderà il posto di Ghislain Maltais, che si è fatto da parte ad aprile. L’ultimo, tra gli ‘italiani’, ad occupare questo prestigioso incarico è stato Consiglio Di Nino, imprenditore di Toronto, che si è dimesso nel 2012 per raggiunti limiti di età (75 anni). Per lo stesso motivo, nel 2006 ha lasciato il seggio senatoriale l’italo-quebecchese Marisa Ferretti Barth, fondatrice e presidente del CRAIC. Dopo 7 anni, dunque, un Italo-canadese torna ad occupare un seggio nella Camera Alta, con il Parlamento Canadese che adesso può contare su tutti e 105 senatori, senza seggi vacanti. “Sono felice di accogliere Tony Loffreda come nuovo senatore indipendente in Parlamento – ha dichiarato il Primo Ministro in una nota ufficiale -. Il suo scrupoloso servizio per la sua Comunità e la sua Provincia, insieme con la lunga esperienza in vari consigli d’amministrazione e commissioni, lo rendono un’ottima scelta per rappresentare i cittadini del Quebec. Non vedo l’ora di iniziare a lavorare con lui, e non ho dubbi che Loffreda offrirà un grande servizio per tutti i canadesi”. Con questa mossa, è evidente il tentativo di Trudeau di riavvicinarsi alla Comunità italiana, dopo i rapporti non proprio idilliaci degli ultimi tempi. A giugno il Primo Ministro ha promesso che nei prossimi mesi, qualore fosse rieletto, presenterà le scuse ufficiali per l’internamento arbitrario degli italocanadesi durante la Seconda Guerra Mondiale. Ora la nomina di Tony Loffreda, vice Chairman RBC, nonché presidente della Fondazione Comunitaria Italo-Canadese (FCCI): un professionista esemplare, un filantropo conosciuto e stimato nella Comunità italo-canadese, rispettato e apprezzato nel mondo degli affari a livello nazionale e internazionale.

    Ultimo di tre figli, Tony Loffreda è nato a Montréal, nel quartiere di Ahuntsic, nell’agosto del 1962, da genitori campani (mamma di San Gregorio Matese e papà di Dragoni, in prov. di Caserta). Sposato con Angelina da 34 anni, oggi Tony vive a Westmount ed ha due figli: Davide (26 anni) e Sophia (29). Contabile di formazione, Loffreda ha conseguito la laurea presso la Concordia University nel 1985, per poi ricevere il certificato di CPA (Certificato di pubblico contabile) all’Università dell’IIlinois, negli Usa. Nel 1991, dopo sei anni nel settore contabile, di cui quattro alla Raymond Chabot Grant Thornton come revisore, il salto nel settore bancario: fino al 2005 alla National Bank of Canada, quindi la svolta, il 13 giugno dello stesso anno, con il passaggio alla RBC Royal Bank. Qui la scalata fino alla nomina di vice Chairman. Ma Tony Loffreda è soprattutto un campione di solidarietà e di impegno civile: fa parte di numerosi consigli d’amministrazione e commissioni, tra cui il board dei Governatori dell’Università Concordia, il cda del CIUSSS de l’Ouest-de-l’île e la Montréal International. In passato è stato anche componente della commissione esecutiva della Camera di Commercio di Metropolitan Montréal e del cda della Camera di commercio italiana in Canada. Presiede eventi di raccolta fondi in tutta la provincia, per cause come la scuola Giant Steps, il Jewish General Hospital ed il Montreal Cancer Institute. Un’opera encomiabile per il sociale, che il Paese gli ha riconosciuto, premiandolo con la Medaglia d’oro del Luogotenente Governatore nel 2018, la Medaglia del 150° anniversario del Senato del Canada nel 2017, il ‘Caring Canadian Award’ del Governatore Generale nel 2014 e la Medaglia del Giubileo di Diamante della Regina Elisabetta II nel 2012. Loffreda è tifosissimo del Milan, dell’Impact e della Nazionale Italiana ed è stato uno dei principali promotori dei Mondiali di calcio 2026 che – come sappiamo – si disputeranno in Canada, Stati Uniti e Messico. I valori dell’integrità, del sacrificio sul lavoro, della dedizione e della trasparenza sono la sua filosofia di vita. Una vita votata alla famiglia, alla carriera, alla solidarietà ed all’italianità. Quell’italianità che ha saputo interpretare alla perfezione nella nuova terra che gli ha regalato il successo e che adesso lo premia con una nomina prestigiosa che inorgoglisce tutti noi italo-canadesi. (V.G.)


    Le parole del neo parlamentare

    “Onorato e orgoglioso”

    Tony Loffreda, 57 anni, è raggiante. L’ormai ex vicechairman della Banque Royale du Canada e attuale presidente della Fondazione Comunitaria Italo-Canadese non vede l’ora di cominciare questa nuova avventura in Parlamento. Una nomina da doppio record: è la prima volta, infatti, che un alto dirigente della RBC e che un italo-canadese nato in Canada fa il salto in Senato. “Un bell’attestato di fiducia del nostro Primo Ministro verso la Comunità italiana, che ha contribuito e contribuisce in modo straordinario allo sviluppo del Paese”, ci ha detto Loffreda. Lo aspettano 18 anni da Senatore, visto che a 75 anni l’incarico decade automaticamente. Due priorità su tutte: migliorare l’accesso all’istruzione per i giovani e quello al sistema sanitario per gli anziani. “Sono onorato di essere stato scelto dal Primo Ministro e nominato dal Governatore Generale per servire il Paese in qualità di Senatore”, ha aggiunto. “Così come sono particolamente orgoglioso – ha sottolineato – di essere stato selezionato attraverso la procedura aperta di candidature guidata dal Comitato consultivo indipendente per le nomine al Senato”. Una nomina basata sul merito e sul talento, non all’affiliazione politica e partitica. Una scelta che inorgoglisce tutta la Comunità italiana, di cui Loffreda è un esponente di spicco. “Il Primo Ministro si aspetta da parte mia un contributo significativo ai lavori del Senato, un contributo indipendente e non partigiano di fronte all’ampia gamma di sfide e opportunità che il Paese deve affrontare. Non vedo l’ora di servire la mia Provincia e il mio Paese in questa nuova veste. Vorrei che il mio contributo al Senato riflettesse gli ultimi 35 anni di carriera che ho svolto nel settore finanziaro, dove ho sempre lavorato con integrità, onestà e grande spirito di sacrificio”.

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  • Basta promesse: contano solo i fatti

    Basta promesse: contano solo i fatti

    IL PUNTO di Vittorio Giordano

    Italiani internati a Petawawa durante la Seconda Guerra mondiale

    “Tutto bene quel che finisce bene” o “Meglio tardi che mai”: così avremmo voluto commentare – ad una prima lettura semplicistica, superficiale e romantica – la decisione del Primo Ministro Justin Trudeau di scusarsi ufficialmente con gli Italo-Canadesi internati durante la seconda Guerra Mondiale. A chiudere il cerchio non poteva che essere un Premier liberale, visto che fu proprio un esponente del PLC, il Primo Ministro William Lyon Mackenzie King, ad autorizzare gli arresti indiscriminati nel 1940, quando circa 700 connazionali furono rinchiusi in veri e propri campi di concentramento come quello di Petawawa, in Ontario. In tutto il Paese, circa 31 mila Italo-Canadesi finirono sotto la stretta sorveglianza della Gendarmeria Reale del Canada (RCMP), perché “stranieri nemici”. Senza uno straccio di accusa, senza un processo e, ovviamente, senza una condanna. Colpevoli, loro malgrado, di essere di origine italiana. Salvo, poi, essere liberati senza scuse e senza un risarcimento per i beni confiscati. Ben venga, dunque, la decisione di “lavare”, una volta per tutte, l’onta della deportazione, saldando un debito con la storia e rimarginando una ferita mai completamente cicatrizzata. Già nel 1990, il Primo Ministro conservatore Brian Mulroney aveva presentato le scuse pubbliche ai “compagni canadesi di origine italiana” per il trattamento “abusivo, ingiusto ed illegale” subìto ad opera della polizia federale. Ma lo aveva fatto in occasione della biennale del Congresso nazionale degli italo-canadesi a Toronto. Scuse solenni, ma pronunciate senza il sigillo istituzionale della cornice parlamentare. Nel 2010 ci ha provato l’ex deputato di St-Léonard/St-Michel, Massimo Pacetti, con la proposta di legge C-302, che però, dopo essere stata approvata alla Camera, è stata insabbiata al Senato. Nel 2013 il Comune di Montréal ha aperto un solco, proclamando il 10 giugno come “giornata ufficiale della commemorazione dell’internamento dei membri della Comunità italiana”. Lo scorso settembre, poi, la RCMP ha espresso ufficialmente il suo “rammarico” con una cerimonia a Ottawa, che si è conclusa con la piantagione di un acero  in memoria degli internati italo-canadesi. Ora è stato annunciato l’ultimo tassello, quello più atteso, quello definitivo: le scuse ufficiali del governo federale in Parlamento. Per riscattare definitivamente una pagina nera della storia canadese. Come il governo Trudeau ha già fatto per altre Comunità etniche ingiustamente discriminate. Un’attesa durata 14 anni: la prima richiesta di scuse formali risale al 2005, sottoscritta da 4 organismi comunitari: il Congresso Nazionale Italo-Canadese, la Fondazione Comunitaria Italo-Canadese, la Federazione nazionale della CIBPA e l’Ordine Figli d’Italia. Qualche segnale di apertura si era intravisto già lo scorso dicembre: prima con la richiesta esplicita dell’ex deputato Nicola Di Iorio alla Camera dei Comuni; poi con l’annuncio del presidente del Congresso, l’avv. Tony Sciascia, in occasione del tradizionale cocktail di Natale: “Abbiamo chiesto al Primo Ministro Trudeau le scuse per l’internamento ed un risarcimento che servirà ad aprire 3 Centri Studi a Montréal, Toronto e Vancouver”. Venerdì 14 giugno la svolta, con il leader liberale che ha promesso di scusarsi ufficialmente in Parlamento. Ma non subito: dopo le elezioni del 21 ottobre. Dando per scontato la rielezione, nonostante gli ultimi sondaggi lo diano in ritardo di 8/10 punti dai Conservatori. Tralasciando la “formalità” della rielezione, in politica la tempistica dei provvedimenti non rappresenta un orpello formale e accessorio, ma un particolare sostanziale e decisivo. Siamo certi che protocolli e cerimoniali rendano quasi impossibile questo tipo di evento solenne già nei prossimi 120 giorni, tra pausa estiva e campagna elettorale. Ma perché ridursi agli ultimi mesi dopo una legislatura di 4 anni, sostenuta da un’ampia e solida maggioranza? E allora, come direbbe Giulio Andreotti: “A pensar male si fa peccato, ma molto spesso ci si azzecca”. “La domanda sorge spontanea”, aggiungerebbe Antonio Lubrano: non è che per caso Trudeau sta cercando di ingolosire gli italo-canadesi con una promessa d’effetto per compiacerli ed ottenere in cambio il voto di una Comunità la cui lealtà non sembra più granitica come una volta? La tempistica di queste scuse post-datate agli italo-canadesi non ci convincono e puzzano di ‘do-ut-des’ elettorale. Guai, però, a giocare con le emozioni di famiglie che hanno subìto l’onta della discriminazione, il disonore della rovina, l’infamia del pregiudizio! Ogni promessa è debito e noi vogliamo prenderLa in parola, egregio Primo Ministro. Facendo finta che il 21 ottobre sia un lunedì qualsiasi.

    Ma si ricordi che il sostegno della Comunità italo-canadese non è più scontato, ma va conquistato e meritato. Con i fatti. Le promesse non bastano più. Soprattutto alla vigilia delle elezioni. Perché, come diceva il grande Totò: “Cca nisciuno è fesso!”.

    Trudeau: scuse agli Italo-Canadesi

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  • Trudeau: scuse agli Italo-Canadesi

    Trudeau: scuse agli Italo-Canadesi

    In memoria degli internati della Seconda Guerra Mondiale

    Toronto – È ufficiale: il Primo Ministro del Canada, Justin Trudeau, chiederà scusa agli Italo-Canadesi internati durante la Seconda Guerra Mondiale. L’annuncio è arrivato venerdì scorso, 14 giugno, in occasione di un evento che si è tenuto a nord di Toronto, a Vaughan, per rendere omaggio al Mese del Patrimonio italiano. Una lodevole iniziativa nata nel 2015, quando la Camera dei Comuni ha approvato all’unanimità la mozione M-64 che proclama ufficialmente giugno come “Mese del Patrimonio Italiano”. Un omaggio istituzionale  per celebrare il contributo italo-canadese alla costruzione del Canada come uno dei Paesi più sviluppati, rispettati e amati al mondo. “Durante la Seconda guerra mondiale – ha dichiarato il leader liberale – centinaia di italo-canadesi sono stati internati: vite e carriere, imprese e reputazioni sono state rovinate. Eppure, nessuno è mai stato ritenuto responsabile”, ha sottolineato. “Dobbiamo affrontare questo capitolo oscuro della storia del nostro Paese – ha aggiunto : – gli italo-canadesi hanno vissuto con questi ricordi per molti anni e meritano di chiudere con il passato”. “Così, dopo che per decenni le famiglie hanno chiesto un riconoscimento significativo di ciò che è accaduto, mi impegno, davanti a tutti voi, di presentare le scuse ufficiali del mio governo alla comunità italo-canadese”. Senza però specificare quando. È stato il Ministro della Giustizia David Lametti, nella sua rubrica sul ‘Cittadino’, a specificare che la cerimonia si terrà nei mesi successivi all’insediamento del nuovo governo. Trudeau ha poi annunciato che il governo federale aprirà un Centro permanente per il Commercio a Milano, aggiungendo che il futuro tra Canada e Italia sarà radioso. “Come fiero canadese di origine italiana e primo italo-canadese a servire come Ministro della Giustizia e Procuratore generale del Canada – ha dichiarato Lametti – sono lieto che Justin Trudeau abbia preso questo impegno: è un riconoscimento che la nostra Comunità aspetta da decenni. È una questione di grande importanza per me ed altri deputati di origine italo-canadese, in particolare Marco Mendicino, Francesco Sorbara e Angelo Iacono, che ringrazio per la leadership ed il supporto. Naturalmente, ringrazio Trudeau per aver fatto la cosa giusta: il Canada va nella giusta direzione”. (V.G.)


    LA CIBPA NAZIONALE SI CONGRATULA

    La Federazione Nazionale della Canadian Italian Business and Professional Association (CIBPA), che celebra il 70° anniversario di fondazione quest’anno a Montréal, ringrazia il governo canadese per il riconoscimento dell’internamento dei Canadesi di origine italiana durante la seconda guerra mondiale. Attendiamo dunque con impazienza le scuse ufficiali in parlamento per l’ingiustizia fatta ai circa 700 Italo-Canadesi durante quel periodo penoso nella storia del nostro Paese.


    RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO

    Caramelle e cioccolatini

    Apprendiamo che il Primo ministro Justin Trudeau si scuserà presso la Comunità  italo-canadese per l’internamanto di centinaia di connazionali arrestati senza ragione poco prima della Seconda Guerra Mondiale e senza mai essere accusati. C’è voluto tempo, molto tempo, per ammettere che l’ingiustizia ed i danni causati alla Comunità italo-canadese possano essere risarciti. Ma quì è il problema. Il Primo Ministro ha fatto un annuncio molto timido in Ontario, anche se  tanti dei nostri connazionali sono stati arrestati proprio quì a Montréal. Per di più, il Primo Ministro ha promesso di aprire un Centro d’affari a Milano. Un centro d’affari. Quindi si tratta d’affari e non di scuse di risarcimento alla Comunità italo-canadese. Perchè il Primo ministro non ha offerto una donazione, per esempio, alla Casa d’Italia, luogo simbolico di tutti gli italiani, visto che gli internati non sono più con noi? Ho l’impressione che il Primo Ministro abbia altre ragioni, promettendo le scuse. Come mai quest’annuncio arriva, per puro caso, qualche mese prima delle elezioni? Sicuramente ci saranno ancora più caramelle e cioccolatini prima del 21 ottobre.

    Dominic Perri, consigliere di Saint-Léonard

    IL PUNTO di Vittorio Giordano:
    Basta promesse: contano solo i fatti

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  • Il femminista Trudeau tradito dalle donne

    Il femminista Trudeau tradito dalle donne

    IL PUNTO di Vittorio Giordano

    “Chi è causa del suo mal pianga se stesso”, recita un adagio latino, tanto antico quanto attuale, che sintetizza al meglio il vicolo cieco in cui si è cacciato il Primo Ministro del Canada, Justin Trudeau. Un femminista convinto tradito da quelle stesse donne che ha voluto ostinatamente al governo, in nome di quella parità di genere sul cui altare ha sacrificato qualsiasi altra discriminante: come la competenza, il talento e l’esperienza. “Perché siamo nel 2015”, la giustificazione di Trudeau al momento dell’annuncio del suo primo esecutivo formato rigorosamente da 15 uomini e 15 donne. Uno scopo nobile e condivisibile, che a posteriori, però, ha assunto sempre più i contorni di una forzatura, di una parità disuguale, di una vera e propria ‘dittatura di genere’. Del resto, su 184 deputati liberali eletti in Parlamento, solo 50 sono espressione del ‘gentil sesso’, ovvero il 30%. Riprodurre la stessa proporzione anche nell’esecutivo non sarebbe stato un delitto di Lesa Maestà. Ma Trudeau ne ha fatto la “conditio-sine-qua-non” della sua ideologia politica: rinnergarla avrebbe significato tradire i suoi elettori. Salvo poi ritrovarsi, a 8 mesi dalle elezioni federali, con la ‘bomba a orologeria’ dell’affare SNC-Lavalin innescata dall’ex Ministra della Giustizia e Procuratrice generale, Jody Wilson-Raybould, l’unica donna indigena (di origini Kwakwaka’wakw) del governo liberale. Lo stesso governo che dal primo istante si è speso per la riconciliazione con i popoli autoctoni, in nome del multiculturalismo. Eppure, paradossalmente, proprio una donna autoctona lo ha “pugnalato alle spalle”, insieme ad un’altra esponente liberale del gentil sesso: Jane Philpott, l’ormai ex presidente del Consiglio del Tesoro, che si è dimessa per aver perso fiducia nel governo. Come se non bastasse, ci ha pensato un’altra parlamentare-donna a deteriorare l’immagine già compromessa del leader liberale, in preoccupante calo di consensi secondo gli ultimi sondaggi: la settimana scorsa, infatti, la deputata Celina Caesar-Chavannes ha denunciato pubblicamente l’ostilità e la rabbia del Primo Ministro quando, per telefono, gli ha preannunciato l’intenzione di non ricandidarsi alle elezioni del prossimo 21 ottobre. Una vera e propria “congiura” femminista, che si è consumata alle idi di marzo, come successe con Caio Cassio e Marco Bruto contro Giulio Cesare. “Trudeau ama a tal punto le donne – scrive l’analista politica Denise Bombardier sul Journal de Montréal – da nominarne alcune come Ministre, solo perché donne”. E fa nomi e cognomi: “Pensiamo in particolare a Mélanie Joly, il cui lavoro al Ministero dei Beni culturali è stato triste, e a Maryam Monsef, la cui inesperienza al dicastero delle Istituzioni democratiche è apparsa subito evidente”. Per salvare il salvabile, nei giorni scorsi, Justin ha evocato perfino il nome del padre Pierre Elliott come “paladino della giustizia”. Non lo aveva mai fatto prima, per evitare di “subire” l’ingombrante luce riflessa dell’autorevole genitore, che ha segnato la storia del Paese (celebre la frase “Just watch me” in occasione della crisi di ottobre del 1970). Uno statista carismatico che le donne idolatravano. E che non avrebbero mai osato tradire. Ma quelli erano altri tempi…

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  • Trudeau e Legault: mala tempora currunt

    Trudeau e Legault: mala tempora currunt

    IL PUNTO di Vittorio Giordano

    Non è un periodo facile per i due Primi Ministri: Justin Trudeau (Canada) e François Legault (Québec) sono alle prese con questioni spinose e spigolose, che rischiano di comprometterne la luna di miele con l’elettorato. Anche perché, in politica, la percezione spesso supera la realtà. Chi rischia di più, naturalmente, è il capo del governo federale, con il voto del 21 ottobre che pende come una ‘spada di Damocle’ sul suo destino politico. La domanda lanciata dal ‘The Globe and Mail’ è la seguente: l’ufficio del Primo Ministro ha fatto o meno pressioni indebite sull’allora Ministra della giustizia, Jody Wilson-Raybould, per lasciar cadere un’inchiesta penale, sostituendola con una sanzione, riguardante la Snc-Lavalin, il gigante di ingegneria sospettato di aver pagato milioni di dollari in tangenti in Libia, all’epoca di Gheddafi? L’unico che può fare chiarezza è Trudeau (abbandonato anche dallo storico braccio destro, Gerald Butts), che però continua a fare melina, inchiodando la sua ex Ministra al “segreto professionale”. Tanto che la Commissione Giustizia della Camera, a ‘trazione’ liberale, ha respinto la richiesta di
    Neodemocratici e Conservatori di ascoltare i personaggi-chiave della vicenda, come la stessa Wilson-Raybould, che nel frattempo si è dimessa da Ministra dei Veterani. Una chiusura che alimenta il dubbio che il governo voglia insabbiare una vicenda scomoda, in nome della “ragion di stato”. È legittimo che l’esecutivo possa avere l’interesse politico (ed economico) di tutelare un’azienda che ha uffici in 35 Paesi, impiega 52 mila dipendenti in tutto il mondo e che, nel 2017, ha generato ricavi per oltre 9 miliardi di dollari. È comprensibile la sua premura di salvaguardare l’immagine e le finanze del Paese. Ma l’azione del governo non può mai sostituirsi alla magistratura: in uno stato di diritto, spetta ai giudici decidere se un’azienda, accusata di frode e corruzione, sia colpevole o innocente. Chi sbaglia deve pagare. Davanti alla legge siamo tutti uguali. La giustizia ed il rispetto delle regole non sono negoziabili. A nessun livello. È il sale della democrazia.

    Non se la passa bene nemmeno il Primo Ministro del Québec, François Legault. In nome di una riforma del sistema dell’immigrazione legittima e forse anche auspicabile (gli immigrati, nel numero e nella qualifica professionale, devono essere funzionali alle offerte del mercato, oltre a conoscere la lingua francese e ad aderire ai valori di libertà ed uguaglianza, che caratterizzano la società provinciale), il leader della CAQ è finito nell’occhio del ciclone dopo l’annuncio di voler “cestinare” 18 mila pratiche ricevute, ma non ancora trattate. I diretti interessati, circa 50 mila, che saranno rimborsati (chissà quando), potranno iscriversi al Programma dell’Esperienza Quebecchese (PEQ), se sono già in Québec, oppure riprovarci seguendo le linee-guida di una riforma non ancora approvata. Ma dove si è visto mai? Chi ha prodotto la propria domanda di immigrazione 3,4 o addirittura 5 anni fa, ha il sacrosanto diritto che la propria candidatura venga valutata (approvata o respinta, non importa) secondo le norme vigenti al momento della spedizione della documentazione. Tutto il resto è una forzatura retroattiva inaccettabile. Lo dice il buonsenso: fino a quando le nuove regole del gioco non entrano ufficialmente in vigore, valgono le regole precedenti. Legault proceda pure spedito con la sua riforma: nel momento in cui sarà approvata, tutti, nessuno escluso, dovranno rispettare le nuove procedure. Ma fino ad allora, il Ministero dell’Immigrazione non potrà che funzionare secondo le norme vigenti. Rispettando chi ha riposto nel Québec soldi, speranze e sogni.

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  • Un italo-quebecchese per il rush finale

    Un italo-quebecchese per il rush finale

    IL PUNTO di Vittorio Giordano

    Meglio tardi che mai. Lo avevamo chiesto ad alta voce ed a chiare lettere: Justin Trudeau ha rotto gli indugi, chiamando un italo-quebecchese capace ed esperto come David Lametti a dirigere un Ministero strategico e cruciale come il Ministero della Giustizia. Un atto dovuto, quello di Trudeau, visto il ruolo politico, sociale ed economico che storicamente svolge la Comunità italiana nella provincia francofona. Che purtroppo, nel 2015, all’alba dell’era Trudeau-figlio, era rimasta clamorosamente a bocca asciutta. Tanto che per tre lunghi anni nessun italo-canadese ha fatto parte della ‘sala di comando’ liberale. Fino alla nomina dell’italo-ontariana Filomena Tassi, lo scorso luglio, a Ministra degli Anziani, in un dicastero senza portafoglio. Un contentino che non ha soddisfatto la Comunità italo-canadese, che si è sentita ancora una volta sottovalutata, come se il suo sostegno alla causa liberale fosse scontato e automatico. Nonostante l’appoggio spesso incondizionato nelle tornate elettorali degli ultimi decenni. Un paradosso che ha fatto vacillare lo storico e tacito ‘patto’ tra Italo-canadesi e Partito Liberale del Canada.  Ben venga, quindi, questo gesto di “riconciliazione” nei confronti degli italo-quebecchesi. Solo la tempistica lascia un po’ a desiderare: Lametti avrà solo 9 mesi per dimostrare tutto il suo valore e guadagnarsi la riconferma per un eventuale secondo mandato liberale. Il rischio, infatti, è che, gettato nella mischia nella fase più delicata dell’azione di governo (con la tassa del carbone, la costruzione dell’oleodotto, il deficit in crescita e le tensioni con la Cina e l’Arabia Saudita, che hanno ‘intorbidito’ la luna di miele di Trudeau con l’elettorato), il deputato di LaSalle- Émard -Verdun possa ‘bruciarsi’, compromettendo il suo futuro politico. Uno scenario possibile, ma decisamente  improbabile, conoscendo la stoffa umana e professionale di David Lametti. Nonostante i tempi stretti, infatti, siamo certi che Lametti saprà svolgere al meglio il suo lavoro, mettendo al servizio del Paese le sue indubbie competenze giuridiche, ma soprattutto le sue profonde qualità umane. Qualità umane forgiate da valori italiani, come senso del dovere, spirito di sacrificio, umanità e solidarietà. Nella speranza che questo nuovo corso, nel rapporto tra Trudeau e gli italo-canadesi, possa segnare l’inizio di un rinnovato rapporto di fiducia. Ma attenzione: il voto degli italiani va conquistato e meritato. Se Trudeau darà continuità alla scelta di coinvolgere sempre più gli italo-canadesi nella sua azione politica, potrebbe cogliere i suoi frutti a ottobre. Ma che non sia solo un’operazione di facciata o un espediente di ‘marketing politico’: David Lametti rappresenta tutti noi italo-quebecchesi. Questa nomina last-minute può avere senso solo nel solco di una presa di coscienza più ampia e profonda: i tempi sono maturi per un vero allargamento della presenza degli italo-canadesi nel governo. Dal 2019 al 2023. Sempre che Justin Trudeau riesca ad avere la meglio sul leader dei Conservatori, Andrew Scheer. Che ha già cominciato ad ammaliare gli italo-canadesi più giovani, spesso ribelli e allergici ai ‘patti’.

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