Tag: il punto

  • Con Trudeau il Québec torna al governo

    Con Trudeau il Québec torna al governo

    IL PUNTO di Vittorio Giordano

    Justin Trudeau che, di prima mattina, stringe le mani agli utenti della metro: il primo gesto pubblico del neo Primo Ministro, all’indomani della schiacciante vittoria elettorale, descrive perfettamente il personaggio (sempre sorridente, affabile e disponibile); ma soprattutto sintetizza il nuovo paradigma culturale, la piattaforma programmatica e l’ideologia politica alla base del futuro governo liberale. Un governo “cool&friendly”, lontano anni luce da quello – serioso, impaurito e ossessionato dai conti – del suo predecessore. Trudeau ha stravinto proprio per la sua carica emotiva, la sua umanità gioviale e la promessa di un Canada più simpatico, giusto e accogliente. Si è rivolto ai cuori degli elettori, accapparandosene sogni ed emozioni. La giusta valvola di sfogo, dopo 9 anni fin troppo freddi e razionali, dominati da calcoli finanziari decisamente invasivi, da una concezione quasi asfissiante della sicurezza e da un interventismo militare schiacciato sugli Usa. Ha vinto la nostalgia per altri tempi, quelli dei grandi progetti pubblici, della ridistribuzione fiscale, dellla giustizia sociale e della politica estera conciliante. La speranza di un futuro: questa, in sintesi, la ricetta vincente di Trudeau, che ha colpito nel segno. I canadesi, sferzati dal grigiore dell’austerità, gli hanno consegnato le chiavi del Paese. Una scommessa, a dispetto dei rischi di un leader che i detrattori giudicano ancora acerbo, inesperto e a tratti visionario. Per lui, invece, è arrivata un’investitura piena e convinta, che segna l’avvio di una vera e propria Trudomania 2.0. Per il Canada moderno si apre una nuova epoca, con il Québec più che mai protagonista della nuova legislatura. “Il Québec ha scelto di tornare al potere”, ha detto il nuovo Premier a caldo. È vero: con la sua campagna elettorale propositiva e “positiva”, Trudeau ha spento sul nascere ogni forza divisiva, restituendo alla Belle Province il ‘posto al sole’ che merita. E così, dopo 20 anni di ‘esilio volontario’ nello strenuo tentativo di ribadire la propria diversità (prima rifugiandosi nelle fila del Bloc e poi dell’NDP), i quebecchesi hanno ritrovato l’entusiasmo federalista, esprimendo un voto a favore e non contro, ‘sposando’, cioè, il nuovo corso liberale (con 40 deputati rispetto ai 7 di 4 anni fa). Solo 10, infatti, i seggi conquistati dal Bloc, quasi per inerzia, nelle tradizionali (e ultime) roccaforti, ormai svuotate, anch’esse, della forza propulsiva indipendentista, sempre più percepito come un retaggio di un passato lontano. Lo stesso Gilles Duceppe ha fatto il suo tempo: non eletto nel suo collegio, ha tolto il disturbo. Dal canto suo, l’NDP di Mulcair non ha saputo capitalizzare il vantaggio che tutti i sondaggi gli accordavano agli inizi della campagna elettorale: tornerà a ricoprire il ruolo marginale che ha preceduto il miracolo arancione di Jack Layton nel 2011. Con la speranza che possa rigenerarsi, perché questo Paese ha bisogno di un’opposizione social-democratica forte per un buon equilibrio nella gestione della ‘res pubblica’. Il futuro è federalista e, soprattutto, rosso liberale, con deputati di peso come Stéphane Dion, Mélanie Joly, Pablo Rodríguez, Marc Miller, Nicola Di Iorio e Anthony Housefather: destinati a concorrere per la formazione del nuovo governo. Bisogna tornare agli inizi degli anni ’80 (con Trudeau padre, più che Mulroney, al potere) per ritrovare un Partito Liberale così popolare tra i francofoni della Belle Province, sia in termini di voti che di seggi. Più in generale, alla luce dell’ultimo voto federale, il peso politico dell’ovest viene ridimensionato, soprattutto quello dell’Alberta e dello Saskatchewan, a favore dell’Ontario e del Québec. L’ago della bilancia del governo si sposta più al centro del Paese, verso l’Atlantico. Più ‘vicino’ all’Europa, più ‘lontano’ dagli Stati Uniti. Nello stile, nei toni e negli atteggiamenti. Con il multiculturalismo della Belle Province a fare da stella polare di quella che, in molti, hanno già battezzato come l’era Trudeau.

    Condividi
  • Roma è libera, l’Italia ancora no

    Roma è libera, l’Italia ancora no

    IL PUNTO di Agostino Giordano

    Il 13 ottobre 2015 sarà ricordato per due fatti rilevanti: a prima vista di segno opposto, ma in realtà ambedue negativi. Una maggioranza ‘arcobaleno’ vota la fine del Senato e il sindaco Marino, Pd, firma le sue dimissioni da Primo Cittadino della capitale. L’istituzione democratica per eccellenza della ‘res publica romana’ chiude. E non per ferie. In Italia finisce il ‘bicameralismo perfetto’, peraltro auspicato da tutti, centrodestra compreso; ma Renzi, da ‘Camera alta’ l’ha trasformata nella personale garçonniere. Non per niente i Grillini questa riforma istituzionale l’hanno battezzata “riforma prostituzionale”: un luogo per dopolavoristi regionali, in vena di gite romane. Se poi i deputati saranno eletti con la legge elettorale ‘Italicum’ stravolta da Renzi, il gioco è fatto: la Camera non avrà nessun contrappeso democratico: andrà al partito (o alla coalizione, è ancora decidere) che otterrà la maggioranza assoluta e governerà in maniera “dittatoriale” o quasi. Quando sarà. Intanto godiamoci questo governo a guida Renzi, dalla spiccata vocazione dittatoriale. Godiamoci questa sua voglia matta, adolescenziale, di vincere ad ogni costo. Una serie infinita di prove muscolari che non porteranno a un nulla di fatto: in primavera questa “riforma prostituzionale” del Senato verrà sottoposta a referendum popolare. E tutte queste ‘fatiche d’Ercole e di Sisifo’ cesseranno; e Renzi verrà ricordato, nelle cronache italiche, come una parentesi goliardica. Però Matteo ci prova: manda le sirene a Lampedusa, fa arrivare migranti a gogò accolti dalla banda della marina militare, li liscia con diarie e suite d’albergo, sta per approvare la legge sul ‘ius soli’(cittadinanza italiana in cambio di cinque anni di scuola e genitori regolarizzati), per poi “usarli”, irriggimentati, nel voto per sé e per il suo PD. Prendete il povero Marino Ignazio. Richiamato dagli Usa con l’aureola di scienziato, voluto come sindaco di Roma con tutti gli onori e poi bocciato con tutte le pernacchie del caso. Onori e pernacchie con targa Pd. Quel Partito che in Parlamento abolisce il Senato, è lo stesso Partito che dà il benservito a Marino. La persona sbagliata nel posto sbagliato. Un parvenu, un ciclista sui generis, un vaso di coccio in mezzo a mafie inveterate, uno che scappa davanti ai problemi, uno che cade su scontrini di poco conio. Bene: quel Renzi che in Parlamento spadroneggia, non può nulla contro le buche di Roma. Il Parlamento è lontano dalla realtà, i sindaci amministrano la realtà. Il Parlamento è vittima del Premier e dei suoi giochi di potere, il popolo ti presenta il conto senza tanti giochetti.  Al vedere Napolitano prendere la parola in Senato, i gruppi di Forza Italia e Cinquestelle sono usciti dall’aula; e Scilipoti ha messo sotto gli occhi di ‘re Giorgio’ un foglio con su scritto ‘2011’, per ricordargli il golpe contro Berlusconi. È una nemesi che si avvera. Per un reato mai commesso, il senatore Berlusconi venne espulso da Palazzo Madama; oggi, per un fatto puramente demenziale, il Senato ‘si suicida’ in blocco, come un branco di tonni che ha perso la bussola. A primavera si andrà alle urne per eleggere i sindaci di Roma, Milano, Napoli, Bologna: tutti a libro paga del Pd. Da lì si spera che parta lo scacco matto a Renzi. Urge cambiare aria. Roma docet.

    Condividi
  • Prima i Cristiani, poi gli altri

    Prima i Cristiani, poi gli altri

    IL PUNTO di Agostino Giordano

    L’Italia è una penisola. E nel suo dna ha la ‘migrazione’. Sia quella attiva che passiva. La vive o la subisce, come una ricchezza o una iattura. Terra di arrivi, terra di partenze, l’Italia. Da sempre. Ma dovunque è emigrato, l’italiano si è trovato di fronte a confini certi, a dogane inflessibili, a visite mediche obbligatorie, a schedature imprescindibili, a campi profughi organizzati e sorvegliati. Stati seri e governi forti non le subiscono le invasioni: le controllano, le gestiscono. Nell’Italia di Renzi, dall’accoglienza alla sorveglianza è tutto un ‘gratta e vinci’. In principio si pensava che gli extracomunitari nordafricani&c. approdassero nell’isola di Lampedusa scambiandola per l’’isola del tesoro’: in effetti erano i primi che testavano la gruviera delle frontiere italiane, il buonismo della guardia costiera, la facilità di evasione dai campi profughi. Ma perché questi arrivi, da sporadici diventassero continui e patologici, avevano bisogno di uno sponsor d’eccezione, di un invito ufficiale. Papa Francesco, due anni fa, andò a Lampedusa e invitò i migranti ad approdarvi in massa, perché l’Italia è generosa e ricca; ma con una raccomandazione non da poco: di non fermarsi all’’isola del tesoro’(Lampedusa) ma addentrarsi con convinzione nella ‘penisola del tesoro’(Italia). E, a fare da palo e da faro alle illuminate parole papali, in quell’isola dorata, ci andò pure la Boldrini, presidente della Camera Italica. Davanti a simili ‘visioni’, che oscurarono nientemeno che la fama di Medjugorje, i migranti si sentirono in dovere di muoversi per conoscere cotanto Bengodi. (Meno male che, avvisati che a Roma governa Renzi, in fretta e furia guadagnano la pianura padana e di là puntano decisi sulla Germania). Masse enormi, che ora, via terra, dalla Turchia vanno a scardinare confini e invadere nazioni di mezza Europa. Da Pakistan, Irak, Siria fuggono in Europa. E l’Europa reagisce scompostamente, disunita: reagisce chiudendo frontiere, schierando poliziotti, erigendo nuovi muri. Cercasi Lady Pesc disperatamente. Ma Lady Pesc – alias Mogherini Federica, imposta dal Renzi e impegnata a insidiare (!) la poltrona newyorkese di BanKi-Moon, prossima a scadere – non si vede; o meglio, usando un logoro idiomatismo, ‘fa la Pesc in barile’. E il nostro Renzi nel frattempo che combina? Riflette sul numero degli ‘immigrati’ in Italia, visita centri di accoglienza, verifica le domande di asilo, sovrintende ai rimpatri, gestisce il tutto come si dovrebbe? No, il premier va a New York, su aereo di stato, per tifare le tenniste italiane, va a chiudere feste dell’Unità scortato da 24 auto blu. Invece di pensare alle imprese italiane creditrici della P.A. di ben 70 miliardi di euro (e su cui Renzi aveva giurato di provvedere entro il 21 settembre 2014!) , da settimane pensa solo alla Riforma del Senato. Cosa interessi agli italiani la riforma del Senato – mentre l’Italia è attraversata in lungo e in largo da orde di migranti, mentre i comuni imprecano contro Alfano e i suoi ‘quid’ – non è dato sapere. Di fronte alla proposta sensata del Giornale: “Noi prendiamo i cristiani”, Avvenire, il quotidiano dei vescovi italiani, ha risposto picche: non fa distinzioni fra migranti. Ma i vescovi irakeni accusano: “L’Europa garantisce i diritti di tutti ma non i nostri. E i visti li dà soltanto a chi appartiene ad altre religioni”. Che coraggio, quest’Europa fifona e apòstata! Aveva ragione Oriana Fallaci nel predire la deriva islamica dell’Europa. Obama guarda con diffidenza a Putin, cristiano ortodosso, che concretamente sta appoggiando il siriano Assad contro l’Isis. Papa Francesco sta visitando Cuba, nel tentativo di convincere i Castro che è finita l’epoca delle ideologie: oggi contano le persone. E Castro l’ha preso in parola: in Plaza de la Revolucion, dove il Papa ha celebrato la S. Messa, campeggiava una gigantografia di Che Guevara! Poi il Papa andrà in America del Nord, nel tentativo di convincere Obama che il denaro non basta. Certo è che, al suo ritorno a Roma, troverà Marino che si è tinto i capelli, Renzi e il suo Pd, dentro il suk del Senato, a disquisire del ‘sesso degli angeli’, mentre i problemi sono sempre lì, nella loro innaturale immobilità. E mentre la Grecia, incosciente, ha rivotato la sinistra, l’Europa non capisce che l’invasione dei migranti afro-asiatici può farle recuperare quella ‘religiosità cristiana’ che ha perso da decenni: accogliendo innanzitutto i migranti cristiani, che fuggono dalla persecuzione islamica. Una priorità ‘senza se e senza ma’. Nigeriani o siriani, i cristiani perseguitati devono trovare nell’Occidente non solo una sponda economica ma anche religiosa.

     

    Condividi
Online Shopping in BangladeshCheap Hotels in Bangladesh