Tag: Trudeau

  • Trudeau fra tradizionee qualche amnesia

    Trudeau fra tradizione
    e qualche amnesia

    Il Punto di Vittorio Giordano

    trudeau-trono

    Alleggerimento fiscale per la classe media (l’aliquota scende dal 22.5% al 20% per chi guadagna tra i 45 mila ed i 90 mila $, mentre schizza al 33% per gli over 200 mila $), investimenti ingenti nelle infrastrutture e nel trasporto pubblico (fino a 125 miliardi all’anno per 10 anni), accoglienza di 25 mila rifugiati entro febbraio, legalizzazione della marijuana (una ‘primizia’ tra i Paesi del G7), negoziati con le Province per un nuovo accordo sulla sanità (con i trasferimenti che, in base all’accordo vigente, aumentano ogni anno del 6%), rispetto delle istituzioni democratiche (basta alla pubblicità dei partiti con i soldi pubblici ed il ricorso alle leggi omnibus), difesa dell’ambiente (con un prezzo fisso sul carbone e la sensibile riduzione delle emissioni di gas a effetto serra), relazioni più strette con i popoli autoctoni (anche attraverso un’inchiesta sulle donne scomparse o assassinate), maggiore sicurezza (con il bando di pistole e fucili dalle strade) e riforma elettorale (con il superamento del maggioritario secco a turno unico). Queste le priorità del governo liberale, ‘declamate’, il 4 dicembre scorso, in tono solenne, dal Governatore generale,

    David Johnston, che rappresenta la Regina del Regno Unito, Elisabetta II. Sì, perché il Canada, insieme ad altri 52 Stati-membri (tra cui Giamaica, Australia e Nuova Zelanda), fa parte del celebre Commonwealth, l’organizzazione intergovernativa che ricalca i confini dell’ex Impero britannico e che conta una popolazione di 2.132.708.561. Sulle banconote canadesi da 20 dollari c’è un ritratto della regina. Non solo: chi vuole prendere la cittadinanza deve giurare fedeltà a Sua Maestà, che è anche il comandante in capo delle forze armate. Un rapporto con la Monarchia che soprattutto il Canada anglofono non intende spezzare (basti pensare al successo riscosso dalla visita di William e Kate nel giugno 2011, da novelli sposi). Tanto che il governo Harper ha addirittura reintrodotto il termine “Reale” nella denominazione ufficiale della Marina e dell’Aeronautica canadese. Con l’avvento dell’era liberale, che ha fatto dello slogan “Il vero cambiamento” il suo cavallo di battaglia, ed alla luce dell’ormai celebre e caustica risposta di Trudeau – “Perché siamo nel 2015” – per giustificare la parità di genere tra i Ministri, ci sembra doveroso, se non un formale distacco (malvisto dai ‘sudditi’ dell’ovest e complesso a livello procedurale), almeno una rivisitazione di alcuni riti anacronistici, che francamente ci appaiono troppo lontani dalla realtà odierna. Perché a volte, soprattutto in politica, la forma è sostanza. Forse i tempi non sono ancora maturi per un salto nel futuro. In sostanza, però, sui singoli provvedimenti, sugli orientamenti-chiave, sul progetto–Paese, il Primo Ministro è decisamente “faber fortunae suae”. In questo, Trudeau ci è sembrato a suo agio, ribadendo, fondamentalmente, quanto già promesso in campagna elettorale. In un “clima di collaborazione, innovazione e apertura”. Inchiodando l’opposizione ad un ruolo propositivo e costruttivo (rispetto alla politica del ‘divide et impera’ di conservatrice memoria). Salvo, però, ‘macchiarsi’ di qualche allarmante amnesia, che potrebbe tradire una posizione di debolezza, se non un vero e proprio ripensamento. Nel ‘catalogo dei buoni propositi’ liberali (in tutto 6 pagine, con 2 mila parole), non è passato inosservato, infatti, ai partiti di opposizione, così come agli analisti, il silenzio assordante su alcuni punti strategici: nessuna parola sulla fine dei bombardamenti in Iraq contro lo Stato Islamico; sul recente Accordo Transpacifico, che inquieta non poco l’industria casearia locale; sulle tariffe degli asili nido pubblici; sull’abbassamento dell’età pensionabile, da 67 a 65 anni; sulla consegna della posta a domicilio (che non sarebbe più così scontata); sulla dolce morte o eutanasia; e, soprattutto, sulla revisione della nuova legge C-51, che inaugura (pericolosamente) una cittadinanza ‘a due velocità’. Promesse tradite, incauta negligenza o semplice ‘passaggio in secondo piano’, a vantaggio di priorità più impellenti?

    Nell’incertezza, aspettiamo il governo al varco dei primi provvedimenti legislativi. Come sempre, al netto degli annunci in pompa magna, ai cittadini-elettori interessano solo i fatti.

    Condividi
  • Trudeau rallenta:25 mila siriani entro febbraio

    Trudeau rallenta:
    25 mila siriani entro febbraio

    Ottawa verserà 100 milioni $ all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite
    per i Rifugiati (HCR), mentre destinerà 2.65 miliardi $ alla lotta contro i cambiamenti climatici

    1297602170253_ORIGINAL

    Ottawa – Il governo di Ottawa si era impegnato ad accogliere 25 mila rifugiati siriani (che in questo momento si trovano in Turchia, Libano e Giordania) entro la fine dell’anno. Troppi, per poter garantire la sicurezza dei cittadini e completare gli esami medici previsti, specie dopo i tragici fatti di Parigi. Da qui la (saggia) decisione di rallentare i tempi: entro il 31 dicembre ne saranno accolti 10 mila, mentre gli altri 15 mila saranno accolti entro il 28 febbraio. La maggior parte dei nuovi arrivati saranno ospitati nelle basi militari, che si stanno preparando per il loro arrivo, e altri tipi di alloggi, tra cui alberghi e ospedali abbandonati. Il Canada sembrerebbe, però, orientato a limitare l’accesso solo a donne, bambini e famiglie. Secondo quanto reso pubblico da Cbc News, infatti, non verranno accettati i maschi single, con l’obiettivo di ridurre il rischio di far entrare estremisti nel Paese. C’è però un’eccezione, ovvero i maschi gay, il cui asilo spetta di diritto, secondo la norma allo studio delle autorità canadesi, perché in patria sono perseguitati. La misura ha suscitato le proteste di una certa parte dell’opinione pubblica, di diverse associazioni per i diritti umani, e degli stessi rifugiati. Ma il governo liberal di Trudeau è pronto ad andare avanti per la sua strada. Tanto che ha già annunciato che verserà 100 milioni di dollari all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (HCR) così distribuiti: 25 milioni all’HCR, 30 al Libano, 22 alla Giordania, 12 alla Turchia, 5 all’Iraq e 3 all’Egitto. Prolungata fino a dicembre anche l’iniziativa dell’ex Premier Harper: per ogni dollaro donato dai cittadini a organismi di beneficenza, Ottawa verserà un dollaro. La somma totale sarà poi devoluta al Fondo dei soccorsi d’urgenza per la Siria. Ma gli annunci non sono finiti qui. Su un altro versante altrettanto ‘incandescente’, quello del surriscaldamento atmosferico, Trudeau ha annunciato l’investimento di 2.65 miliardi $ in 5 anni, per aiutare i Paesi in via di sviluppo nella lotta contro i cambiamenti climatici. “Il Canada è tornato”, ha detto il Premier, spiegando che questo finanziamento servirà a ridurre le emissioni del carbone a favore delle fonti di energia rinnovabili. (V.G.)

    Condividi
  • Governo Trudeau |Una rivoluzione liberale senza italiani

    Governo Trudeau |
    Una rivoluzione liberale senza italiani

    IL PUNTO di Vittorio Giordano

    punto-trudeau-6534

    Siamo ancora nella fase (embrionale) degli annunci e delle scelte simboliche, ma Justin Trudeau non ha tradito le attese ed ha già tracciato un solco profondo rispetto al passato recente, tenendo fede a tutte le promesse ‘decantate’ in campagna elettorale. Una vera e propria rivoluzione liberale, che in tanti hanno già ‘glorificato’ con lo slogan avveniristico ‘Trudeaumania 2.0’. Stroncando i pochi ‘non-allineati’, che denunciano, invece, un’overdose di populismo e demagogia. La posta continuerà ad arrivare a domicilio, il Ponte Champlain non sarà a pedaggio, l’esercito non parteciperà più ai bombardamenti in Iraq ed in Afghanistan, il Canada ridurrà le emissioni di gas ad effetto serra, entro il 31 dicembre arriveranno 25 mila rifugiati siriani (di cui 6 mila in Québec). Ma, soprattutto, nel nuovo governo figurano 15 Ministri donne e 15 uomini. “Perché siamo nel 2015”, la giustificazione di Trudeau. Una decisione coraggiosa e significativa. Ma che ci auguriamo non abbia pregiudicato, in alcun modo, la competenza, il talento e l’esperienza. Altrimenti andrebbe rivisitata come forzatura, ‘discriminazione positiva’, parità disuguale o dittatura di genere. Del resto, su 184 deputati liberali eletti in Parlamento, solo 50 sono espressione del ‘gentil sesso’, ovvero il 30%. Forse sarebbe stato più giusto riprodurre la stessa proporzione anche nell’esecutivo. Trovando una sistemazione a ‘pesi massimi’ come Pablo Rodriguez, Anthony Housefather, Andrew Lesley, Bill Blair e lo stesso Nicola Di Iorio, rimasti clamorosamente fuori. Ma non ce la sentiamo di biasimare più di tanto Trudeau, che siamo certi si sia calato nei panni del miglior giocoliere ed equilibrista per trovare la quadratura del cerchio. Alla fine, infatti, ha disegnato un governo ‘diffuso’, composito e multiculturale: sono presenti tutte le Province (con Ontario e Québec sugli scudi), degli autoctoni, 4 sikhs, un ebreo, un musulmano, un geologo, uno scienziato, un astronauta, rifugiati politici e disabili. Oltre ad aver ripescato Stéphane Dion (Esteri) e ‘riesumato’ due Ministri del governo Chrétien, come Goodale (Sicurezza pubblica) e McCallum (Immigrazione). Tutte scelte oculate, ragionate e soppesate. Che paradossalmente, però, hanno escluso proprio gli italo-canadesi, da sempre fervidi e facoltosi sostenitori del Partito Liberale. Tredici, in tutto, i deputati di origine italiana eletti alle ultime elezioni federali: Anthony Rota, Marco Mendicino, Francesco Sorbara, Judy Sgro, Filomena Tassi, Mike Bossio, Nicola Di Iorio, Angelo Iacono, Joe Peschisolido, David Lametti, Francis Scarpaleggia, Bob Bratina e Sherry Romanado. Nessuno di loro ha meritato l’investitura a Ministro. Per carità, una scelta legittima (lo stesso ‘oblio’ è toccato a canadesi di origine cinese, greca e sudamericana). Eppure, lo diciamo sommessamente e senza toni polemici, ci saremmo aspettati un atto di riconoscenza verso una Comunità che, più di altre, ha contribuito, con la sua intraprendenza ed i suoi valori, allo sviluppo sociale, culturale ed economico del Paese.

    Da Carletto Caccia nel 1981 a Julian Fantino nel 2015, rispettivamente il primo e l’ultimo dei Ministri di origine italiana nella storia del Paese (senza trascurare nomi pesanti come Lisa Frulla e Alfonso Gagliano): si interrompe proprio con Justin Trudeau, paladino della rivoluzione liberale, sul piano ideologico e generazionale, il ‘tributo’ tricolore al governo di Ottawa. Un’assenza inaspettata ed immeritata, che ci amareggia e ci ‘derubrica’ a meri spettatori. Almeno in questa fase iniziale. Confidiamo nel primo rimpasto,
    magari a metà legislatura. Anche perché il voto italiano è prezioso e non va mai dato per scontato o preso sottogamba. Così come sarebbe grave se gli italiani, ormai alla 4ª generazione, fossero percepiti come canadesi ‘tout court’ e quindi assimilati. O peggio, se avessero ‘pagato’ il pregiudizio legato agli scandali della Commission Charbonneau.

    In ogni caso, il governo gode della nostra stima, ma lo giudicheremo in base ai fatti. Le nomine, al netto dell’orgoglio etnico, lasciano il tempo che trovano. Gli italo-canadesi, lo sappiamo, si rimboccheranno le maniche per dimostrare ancora una volta di meritare un posto nella ‘cabina di ‘pilotaggio’ di un Paese che hanno contribuito a rendere ricco, potente, rispettato e moderno.

    Condividi
  • Il governo Trudeauha giurato

    Il governo Trudeau
    ha giurato

    gov-canadese

    Ottawa Justin Trudeau, 43 anni, lo aveva promesso ed è stato di parola: il nuovo governo del Canada è più snello di quello precedente (30 Ministri contro 39) e la metà dei suoi componenti sono donne (contro i 27 uomini e le 12 donne dell’esecutivo di Harper). Sei, in tutto, i Ministri provenienti dal Québec, contro gli 11 dell’Ontario. Nessun italo-canadese tra i prescelti, nonostante 13 dei 184 deputati liberali siano di origine italiana. Quasi 50 anni dopo suo padre, dunque, Justin Trudeau ha prestato giuramento nella Residenza del Governatore Generale David Johnston, diventando il 23º Primo Ministro della storia del Paese. In sala anche due ex Primi Ministri liberali, oltre che Ministri del padre Pierre Elliott: Jean Chrétien e John Turner. Rompendo con la tradizione della limousine, Trudeau (mano nella mano con la moglie Sophie Grégoire) ed i suoi Ministri sono giunti a Rideau Hall in autobus. Per il Canada è l’inizio di una nuova era. Il primo segnale è arrivato dalla composizione dell’esecutivo: parità di genere, equilibrio nella rappresentatività provinciale e regionale, mix tra novità ed esperienza.
    Trudeau ha poi tenuto per sé due deleghe strategiche: quella per la Gioventù e quella per i Rapporti Intergovernativi. Due messaggi chiari: Trudeau punta a investire nelle nuove generazioni e intende occuparsi personalmente dei rapporti con le 10 Province ed i 3 Territori per produrre una sintesi costruttiva.  I lavori parlamentari prenderanno il via il 3 dicembre, seguiti dal Discorso del Trono, fissato per il giorno dopo. (V.G.)

    Condividi
  • Mulcair non convince:scatto Trudeau

    Mulcair non convince:
    scatto Trudeau

    IL PUNTO di Vittorio Giordano

    mulcair-trudeau--2015

    Harper incassa ma non arretra, Duceppe ‘morde’, Mulcair perde quota e Trudeau viaggia col vento in poppa: questo lo scenario – ancora ‘cangiante’, ma forse prossimo a cristallizzarsi – all’indomani dell’ultimo dibattito, che ha visto i leader dei principali partiti affrontarsi senza peli sulla lingua, a due settimane dalle elezioni federali (19 ottobre). Uno ‘status quo’ certificato anche dall’ultimo sondaggio realizzato da Nanos Research per CTV News e Globe and Mail, e pubblicato domenica scorsa, 48 ore dopo la disputa televisiva. Le intenzioni di voto confermano una tendenza che ormai dura da un paio di settimane: Liberali al 35,3%, Conservatori al 31%, Neodemocratici al 24,3%, Verdi e Bloc al 4,5%. Per quanto riguarda il Québec, l’NDP è sempre avanti, ma solo col 32,9% dei consensi (in precipitoso calo rispetto 50% di inizio settembre), mentre i Liberali inseguono al 27,3%, staccando i Conservatori (18,2%) e il Bloc quebecois (17,9%). Una considerazione su tutte: l’NDP è in caduta libera, soprattutto in Québec. Il ‘disinnamoramento’ della Belle Province nei confronti dei Neodemocratici è una realtà sotto gli occhi di tutti. Ma sarebbe semplicistico spiegarlo con la posizione (a dir poco temeraria) di Mulcair a favore dell’uso del niqab nei luoghi pubblici (come in occasione della cerimonia di giuramento per la cittadinanza). Un punto di vista azzardato che ha creato più di un mal di pancia tra i militanti e gli stessi candidati, ma che (da solo) non può giustificare la fine rovinosa della forza propulsiva di un partito fino a un mese fa sulla cresta dell’onda (anche in Ontario). Le ragioni della fine della ‘luna di miele’ con gli elettori, soprattutto quebecchesi (il cui consenso rappresenta la cartina di tornasole dello stato di salute del partito anche a livello federale), sono molto più profonde. Il Québec è da sempre una Provincia “recalcitrante” nel contesto canadese (di stampo britannico). Tre gli indizi che fanno una prova: la lingua e cultura francese, la spinta secessionista (per ora sopita) e l’inclinazione politica a sinistra. Per questo motivo, il Québec ha sempre cercato di fare quadrato nei rapporti con Ottawa: ecco spiegato perché alle elezioni del 2011, passato di moda il Bloc e la sua chimera indipendentista (due i referendum respinti), i quebecchesi hanno deciso di schierarsi compatti dalla parte dell’NDP di Jack Layton, partito in grado di controbilanciare lo straportere conservatore. Una scelta strategica, netta e incondizionata, a favore di uno schieramento politico che fungeva da preciso ‘vettore identitario’. Oggi questo “patto” si è spezzato: l’onda arancione di 4 anni fa sta per frantumarsi in mille rivoli e affluenti. E, a guadagnarci, sono tutti gli altri partiti: il redivivo Bloc di Duceppe, così come lo stesso Harper, che in fin dei conti rappresenterebbe pur sempre una garanzia su sicurezza ed economia. Ma, a fare incetta di voti, sarebbe soprattutto Justin Trudeau (favorito dalla somiglianza dei programmi e dei due bacini elettorali): i quebecchesi lo percepiscono sempre meno come “figlio di papà” e sempre più come un leader coraggioso e originale. La sua freschezza giovanile, il suo linguaggio semplice e immediato, il piano fiscale che prevede la riduzione delle tasse per la classe media a svantaggio dei più ricchi (quel famoso 1% che guadagna più di 200 mila $), la riforma delle istituzioni con il voto obbligatorio e l’introduzione del proporzionale, il no all’acquisto dei caccia F-35, l’abrogazione della recente legge sulla cittadinanza e gli investimenti massicci nelle infrastrutture “finanziati” da 3 deficit di bilancio, hanno colpito nel segno. Si può discutere sul merito dei provvedimenti, ma nessuno può rimproverare Trudeau per carenza di contenuti. Anche se il PLC è il partito più ‘antico’ e quello che ha guidato il Paese più a lungo, Trudeau incarna quel cambiamento su cui l’NDP sembra essersi incartato e che può contendere seriamente il potere ad Harper. Una percezione che potrebbe portare i quebecchesi a sottoscrivere un nuovo “patto”. Questa volta con i Liberali.

    Condividi
Online Shopping in BangladeshCheap Hotels in Bangladesh