Tag: governo Trudeau

  • Immigrazione illegale: Ottawa corre ai ripari

    Immigrazione illegale: Ottawa corre ai ripari

    Ad aprile, circa 2500 immigrati, soprattutto nigeriani, sono entrati clandestinamente in Canada attraverso il Québec. Altolà del governo Trudeau, che ha annunciato nuove misure per contrastare il flusso illegale dagli Stati Uniti

    Ottawa – Il Canada è un Paese accogliente e generoso, ma le regole ci sono e valgono per tutti, nessuno escluso. È questo il messaggio del governo federale che, lunedì scorso, nel corso della conferenza stampa tenuta dai Ministri Ahmed Hussen, Marc Garneau e Ralph Goodale, rispettivamente responsabili dell’Immigrazione, dei Trasporti e della Sicurezza pubblica, ha riconosciuto che circa il 90% degli immigranti irregolari non soddisfa i criteri di ammissibilità per lo status di rifugiato e, che quindi, dovrà lasciare il Canada. “Quando i rifugiati non rispondono ai requisiti per ottenere lo status di rifugiato – ha spiegato Garneau – sono obbligati a lasciare il Paese. Certo, hanno la possibilità di andare in appello, prolungando così il loro soggiorno in Québec, ma quando gli viene notificato l’avviso di espatrio, nel momento in cui non lasciano volontariamente il Paese, vengono deportati, cioè accompagnati sull’aereo e riportati nei loro Paesi. Non abbiamo alcun motivo di credere che i Paesi di destinazione non li accetteranno”. Solo ad aprile, circa 2500 immigrati, soprattutto di cittadinanza nigeriana, sono entrati clandestinamente in Canada, attraverso il
    Québec, portando il totale a più di 7.300 dall’inizio dell’anno, un incremento vertiginoso rispetto allo scorso anno. “Un numero sproporzionato”, ha ammesso Hussen. Così, su richiesta del Canada, recentemente le autorità statunitensi hanno reso più stringente il processo di rilascio dei visti per i nigeriani e lo stesso Hussen si recherà in Nigeria nelle prossime settimane per discutere formalmente della questione con gli omologhi africani. Dopo gli Haitiani, dunque, è la volta dei nigeriani: nel 2017, oltre 21.000 richiedenti asilo di origine haitiana sono stati intercettati dalla Polizia federale, in seguito alla minaccia del presidente americano Donal Trump di espellere gli immigrati con i permessi scaduti (ovvero 60.000 haitiani entro il luglio 2019, 200.000 salvadoregni entro il settembre 2019 ed oltre 60.000 honduregni entro il gennaio 2020). Grazie anche alla campagna di dissuasione delle autorità canadesi presso la comunità haitiana negli Usa, questo flusso si è inaridito. Per fronteggiare la crisi dell’arrivo incontrollato di nigeriani, il governo federale ha stanziato 74 milioni $ in più per l’Immigration and Refugee Board of Canada, ha aumentato di 64 unità il numero di agenti impegnati a valutare le domande di asilo dei nuovi arrivati ed ha previsto la costruzione di nuove strutture di prima accoglienza (550 letti in tutto) a Saint-Bernard-de-Lacolle, vicino alla frontiera americana; oltre ad avviare i contatti con il governo dell’Ontario per convogliare alcuni immigrati anche nella Provincia limitrofa. Infine, tre rappresentanti di Ottawa si richeranno a Lagos, in Nigeria, nei prossimi mesi, per lavorare di concerto con le autorità locale sulle richieste di visto nigeriane valide per gli Stati Uniti. (V.G.)

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  • È ancora luna di miele, ma ora viene il difficile

    È ancora luna di miele, ma ora viene il difficile

    Il Punto di Vittorio Giordano

    Un anno di governo Trudeau

    Tutto secondo copione: ad un anno dalla sua elezione a Ottawa (era il 19 ottobre 2015), il governo presieduto da Justin Trudeau viaggia col vento in poppa. Addirittura il 65% dei canadesi lo sostiene a spada tratta. Continua la luna di miele con i cittadini-elettori. Impossibile negarlo: Justin ha restituito il sorriso e la speranza ad un Paese incupito da 9 anni di politica conservatrice, troppo sbilanciata sul controllo spasmodico dei conti. Eppure, la maggior parte dei provvedimenti, quelli più importanti, strategici e spinosi, sono stati annunciati ma non ancora approvati. Oppure rimandati. La gente gli crede sulla parola. Questo perché Justin gode di un credito enorme, che affonda le sue radici nella ‘belle epoque’ del padre Pierre Elliott, nel suo sguardo magnetico, nel suo sorriso  rassicurante, nella sua visione di un Canada verde, moderno, aperto e accogliente. In altri termini, in questi primi 12 mesi, la forma ha prevalso sulla sostanza. L’immagine di un Canada diverso, moderno, ‘cool&friendly’ e di nuovo protagonista sulla scena internazionale, per adesso basta e avanza. L’immagine, appunto. Quella di un leader vicino alla gente, che ama i bagni di folla (inclusi i selfies). Un “populista gentile” lo ha definito l’ex Premier italiano, Enrico Letta, contrapponendolo a Donald Trump. Intendiamoci: il governo canadese ha già tradotto molte promesse elettorali in provvedimenti legislativi (87 su 353 secondo ‘Polimètre Trudeau’; 95 su 219 secondo ‘Trudeaumetre’, due siti che misurano il “grado di fattualità” dell’esecutivo): ha accolto 31 mila rifugiati siriani, ratificato l’accordo di Parigi sul clima, messo a disposizione 600 soldati per le operazioni umanitarie sotto l’egida dell’ONU. E poi, sul fronte interno: sgravi fiscali per la classe media, detrazioni per i figli a carico, massicci investimenti per le infastrutture (a scapito di un deficit che già supera i 30 miliardi), stop al pedaggio sul ponte Champlain, dialogo con le popolazioni autoctone con tanto di inchiesta sulla violenza contro le donne, difesa dei diritti individuali (soprattutto per gay e trasngender), la legalizzazione del suicidio assistito (su ‘input’ della Corte Suprema). Secondo i più maligni, però, sarebbero tutte scelte che, seppur nette e degne di nota, riguardano temi non decisivi.

    Il difficile viene adesso: nei prossimi mesi Trudeau sarà chiamato ad esporsi su questioni ben più spinose e dibattute. Con risvolti anche economici (e si sa quanto conti l’economia in Nord America!). Come i trasferimenti alle Province in materia sanitaria: l’incremento sarà del 3, e non del 6%, con una perdita di 1 miliardo all’anno per i governi locali, già sul piede di guerra. E ancora: la costruzione, o meno, del controverso oleodotto Keystone XL in Alberta, su cui Trudeau continua a mostrarsi possibilista, nonostante le perplessità degli ambientalisti; la consegna della Posta a domicilio, che ha visto l’esecutivo esporsi sul suo mantenimento, salvo poi prendersi una ‘pausa di riflessione’; la nuova legge sulla cittadinanza, ferma in Parlamento dopo l’annuncio ‘urbi et orbi’ dello scorso febbraio; la legalizzazione della marijuana, che in campagna elettorale Trudeau aveva annunciato come provvedimento simbolico urgente; l’aiuto finanziario a Bombardier, che qualche giorno fa ha annunciato tagli ‘sanguinosi’ al personale; e la riforma del sistema elettorale, che ancora non ha l’unanimità nemmeno tra gli stessi liberali.

    Insomma, qualche gatta da pelare c’è e, al netto di un primo anno promettente e di una popolazione particolarmante clemente, sarà nei prossimi 12/24 mesi che Justin Trudeau sarà chiamato a mostrare la stoffa da leader, prendendo decisioni non facili, ma decisive per il futuro del Paese. Perché sognare è lecito, ma con i piedi sempre ben piantati per terra. In politica, così come nella vita.

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