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  • Volano Lega e 5 Stelle. Ma non c’è la maggioranza

    Volano Lega e 5 Stelle. Ma non c’è la maggioranza

    Il Movimento guidato da Luigi Di Maio primo partito, il Carroccio sorpassa Forza Italia,  ma nessuno schieramento ottiene la maggioranza. Il Pd precipita sotto il 20%. Leu non arriva al 4%. Nelle Regionali in Lombardia avanti Attilio Fontana (centrodestra), nel Lazio in testa Nicola Zingaretti (centrosinistra)

    risultati-voto

    ROMA – Il 4 marzo 2018 resterà scolpito nella storia della Repubblica Italiana per la grande vittoria del Movimento Cinque Stelle e per la Lega, partito leader del centrodestra, coalizione con il maggior numero di voti. Il messaggio degli elettori è chiaro, ma difficilissimo (a oggi) vedere una maggioranza, che non c’è. Nessuna forza politica, né da sola né in coalizione, ha dunque la maggioranza  parlamentare e, quindi, l’autosufficienza per poter governare. A meno che non vi siano “innesti” esterni. Guardando i numeri, le alleanze possibili sono tra M5S-Pd o tra le due forze antisistema M5S-Lega, ma entrambi gli scenari appaiono politicamente difficili da concretizzare.

    I VOTI ALLA CAMERA E AL SENATO. Quando sono 61.374 su 61.401 le sezioni scrutinate e si è in attesa dell’attribuzione dei seggi, questi sono i dati, secondo il sito del Ministero dell’Interno, per la Camera dei deputati: Lega 17,37%, Forza Italia 14,01%, Fratelli d’Italia con Giorgia Meloni 4,35%, Noi con l’Italia-Udc 1,30%, Movimento 5 stelle 32,68%, Partito democratico 18,72%, +Europa 2,55%, Italia Europa insieme 0,60%, Civica Popolare Lorenzin 0,54%, Svp-Patt 0,41%, Liberi e uguali 3,38%, Potere al popolo 1,13%, Casapound Italia 0,94%. Al Senato, quando sono 61.381 su 61.401 le sezioni scrutinate, la Lega è al 17,62, Forza Italia 14,42%, Fratelli d’Italia 4,26%, Noi con l’Italia-Udc 1,29%, Movimento 5 Stelle 32,22%, Partito democratico 19,12%, +Europa 2,36%, Italia Europa Insieme 0,54%, Civica Popolare Lorenzin 0,52%, Svp-Patt 0,42%, Liberi e Uguali 3,27%, Potere al Popolo 1,05%, Casapound Italia 0,85%. Il verdetto è comunque netto: trionfa il Movimento 5 stelle, ma festeggia anche la Lega di Matteo Salvini, che supera il 17% e sorpassa Forza Italia, ferma intorno al 14%. Grande sconfitto è il Partito Democratico, che si attesta sotto la soglia del 20%, percentuale che esclude la fattibilità di una ‘larga intesa’ tra Renzi e Berlusconi per poter dare vita a una maggioranza. Un abisso da quel 40,8% conquistato alle elezioni europee del 2014, ma anche dalla “non vittoria” (29,5%) di Pier Luigi Bersani nel 2013.

    NORD VERDE E SUD GIALLO – È un’Italia di tre colori quella che esce dalle elezioni. Due però sono macchie molto più ampie dell’altra. Il Nord, esclusi Alto Adige e Valle d’Aosta, è blu, colore che rappresenta il centrodestra. Tutto il Sud, ma anche gran parte del centro, fino alle Marche, è del giallo attribuito al Movimento Cinque Stelle. È il rosso del centrosinistra che manca, in parte anche nelle regioni che votano tradizionalmente a sinistra come Emilia-Romagna e Toscana.

    L’AFFLUENZA – A votare, al contrario di quanto si temeva alla vigilia, sono stati in tanti: l’affluenza definitiva è stata di poco inferiore al 73%, contro il 75,27% del 2013, quando però si è votato in due giornate. I dati definitivi del Viminale sull’affluenza registrano il 72,92% per la Camera e il 72,99% per il Senato. Per quanto riguarda il dato suddiviso per regioni, si è votato di più in  Veneto (il 78,85% degli aventi diritto), poco più dell’Emilia-Romagna (78,29%) seguita dall’Umbria (77,96%). Si è votato di meno al Sud: fanalino di coda la Sicilia (63,00%), poi la Calabria (63,50%), Sardegna terz’ultima (65,76%). Infine, il dato su Lombardia e Lazio, dove si è votato anche per le regionali: in Lombardia è andato alle urne il 73,07% (il 72,04% a Milano), nel Lazio ha votato 66,46% (il 65,43% a Roma).degli elettori.

    LE STIME SUI SEGGI – L’esito delle elezioni politiche secondo gli ultimi dati, indicano che al centrodestra andrebbero, secondo le stime, 250-260 seggi alla Camera (con la Lega maggioritaria all’interno della coalizione rispetto a Forza Italia) e 130-140 seggi al Senato. Al M5s andrebbero, secondo le stime, 230-240 seggi alla Camera e 110-120 seggi al Senato. Staccatissimo il centrosinistra guidato dal Pd con circa 110-120 seggi alla Camera e 45-55 seggi al Senato. Le maggioranza politica necessaria alla Camera è 316 seggi, mentre al Senato e di 158 seggi. Nessuna forza politica raggiungerebbe il 40%, soglia indispensabile per formare un governo. E i numeri delle possibili coalizioni del futuro sono un rebus.

    ORA LA PALLA PASSA A MATTARELLA – Questo è il quadro che si presenterà davanti al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. È chiaro che Mattarella dovrà tener conto del fatto che il M5S ha vinto le elezioni, ma non potrà dare l’incarico a Di Maio, a meno che il leader di Pomigliano gli si presenti con i voti (almeno una proposta suffragata da qualche ragionevole certezza) che gli mancano per governare. In sostanza, Di Maio dovrebbe salire al Colle con in tasca il “sì” di qualcuno (partito o gruppo di parlamentari) disposto ad appoggiare il suo governo.

    RENZI: MI DIMETTO, MA NON SUBITO. SALVINI: TOCCA A NOI. DI MAIO: ECCO LA REPUBBLICA DEI CITTADINI. Dopo il trionfo del Movimento 5 Stelle, il candidato premier pentastellato Luigi Di Maio ha parlato chiaro: “Oggi comincia la terza Repubblica – ha detto -. E sarà la Repubblica dei cittadini italiani”. Anche la Lega rivendica il suo risultato storico. Dopo aver superato per la prima volta Forza Italia, alla conferenza stampa post-voto in via Bellerio, Matteo Salvini si è presentato come candidato premier in pectore del centrodestra. “È stata una vittoria straordinaria che ci carica di responsabilità – ha detto -. La Lega ha vinto nel centrodestra e rimarrà alla guida del centrodestra”. Discorso diverso per Matteo Renzi, che dopo la batosta del Pd, ha annunciato le sue dimissioni. Che, però, non saranno  immediate: arriveranno solo dopo l’insediamento del nuovo governo. Annuciando il congresso e facendo sapere che sarà lui a gestire la prossima fase politica fino a dopo le consultazioni. Oltre a chiudere a eventuali inciuci: “Siamo all’opposizione, non faremo la stampella agli estremisti”. Parole che hanno destato, però, polemiche all’interno del partito.  “La decisione di Renzi di dimettersi – ha detto il capogruppo Pd Luigi Zanda – e contemporaneamente rinviare la data delle dimissioni non è comprensibile. Serve solo a prendere ancora tempo”.

    COSA SUCCEDE ORA – Il primo passo in assoluto è quello, per i nuovi eletti, d i registrarsi in Parlamento. Questo avverrà tra l’8 ed il 9 di marzo. Per il prossimo 23 marzo è prevista la prima seduta con le nuove Camere. Questa sarà incentrata alla proclamazione degli  eletti e all’elezione dei presidenti nuovi. Entro il 25 marzo, i parlamentari devono aver comunicato a quale gruppo appartengono. Previste tra fine marzo ed inizio aprile le dimissioni di Paolo Gentiloni.

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  • Elezioni Politiche 2018Italia al voto il 4 marzo

    Elezioni Politiche 2018
    Italia al voto il 4 marzo

    Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha sciolto Camera e Senato: la XVII legislatura è finita, è iniziata formalmente la campagna elettorale

    Elezioni politiche 2018 all’estero

    Roma – Il 28 dicembre scorso, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha firmato il decreto per lo scioglimento delle Camere, che formalmente mette fine alla XVII legislatura. Il Presidente ha sciolto il Parlamento dopo essersi consultato al palazzo del Quirinale con il Presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, e successivamente con la Presidente della Camera, Laura Boldrini, e il presidente del Senato, Pietro Grasso. Nella successiva seduta del Consiglio dei ministri organizzata a Palazzo Chigi, il governo ha deciso la data delle elezioni per il nuovo Parlamento: domenica 4 marzo 2018, dalle ore 7 alle ore 23. Si è aperta, di fatto, la campagna elettorale che porterà alla formazione del prossimo Parlamento entro il 23 marzo.

    tappe

    3 GOVERNI – La XVII legislatura ha visto alternarsi, dal mese di marzo del 2013, tre diversi governi affidati prima a Enrico Letta (2013-2014) poi a Matteo Renzi (dal 2014 al 2016) e, durante l’ultimo anno, a Paolo Gentiloni. Ora il Premier continuerà il disbrigo della normale amministrazione e rappresenterà l’Italia nei consessi internazionali, continuando di fatto a governare anche in assenza di un Parlamento.

    RIPRESA ECONOMICA, MA NIENTE IUS SOLI – Paolo Gentiloni, nella consueta conferenza di fine anno, ha ricordato i punti salienti degli ultimi 5 anni di governo, mettendo in risalto la creazione di un milione di posti di lavoro e la ripresa economica. Non da ultimo l’accento è caduto sui diritti civili, con l’approvazione della legge sul fine vita, anche se manca all’appello lo ius soli, legge che non è stata discussa in Senato perché, si è giustificato Gentiloni, non avrebbe avuto i numeri sufficienti per essere approvata.

    LA LEGGE ELETTORALE SARÀ IL ROSATELLUM BIS – Alle prossime elezioni si andrà a votare con la nuova legge elettorale, il cosiddetto Rosatellum bis.  È un sistema misto maggioritario e proporzionale, che prevede 232 collegi uninominali per la Camera e 116 per il Senato, ciascuno dei quali avrà il proprio vincitore. A questi vanno aggiunti i collegi proporzionali – 63 per la Camera, 34 per il Senato – che eleggeranno i restanti parlamentari. Diciotto, infine, i deputati e senatori eletti nella circoscrizione Estero. Il Rosatellum prevede un candidato di coalizione e un listino bloccato legato a ciascuna lista, nessun voto disgiunto e una ripartizione dei seggi sul quale peseranno anche le cosiddette “quote rosa“. Sull‘unica scheda saranno riportati i nomi dei candidati per i collegi uninominali e plurinominali. Sotto al loro nome ci saranno i simboli della lista o delle liste collegate, corredate dei nomi dei candidati nel collegio plurinominale. Due le modalità a disposizione: mettendo un segno sulla lista il voto andrà alla lista stessa e al candidato sostenuto all’uninominale; mettendo un segno sul candidato all’uninominale il voto viene esteso automaticamente alla lista e, nel caso di coalizione, sarà distribuito tra le liste che lo sostengono proporzionalmente ai risultati delle liste stesse in quella circoscrizione elettorale. Ammesse le pluricandidature: ciascuna lista può presentare il suo candidato in un collegio uninominale e in massimo 5 plurimoninali. Nei collegi uninominali il seggio è assegnato al candidato che consegue il maggior numero dei voti. Per i seggi da assegnare alle liste nei collegi plurinominali, il riparto avviene a livello nazionale, con metodo proporzionale, tra le coalizioni di liste e le liste che abbiano superato le soglie di sbarramento. I partiti possono presentarsi da soli o in coalizione. La coalizione è unica a livello nazionale. I partiti in coalizione presentano candidati unitari nei collegi uninominali. Lo sbarramento è al 3% per le singole liste e al 10% per le coalizioni. Per le coalizioni non vengono comunque computati i voti dei partiti che non hanno superato la soglia dell’1%. Se una lista non raggiunge il 3% ed è parte di una coalizione i voti vengono, a quel punto, “dirottati” al partito prevalente all’interno dell’alleanza.

    AL VOTO ANCHE PER LE GIUNTE DI LAZIO E LOMBARDIA – Via libera all’Election day. Il 4 marzo, oltreché al voto per rinnovare la Camera dei deputati e il Senato, gli elettori di Lazio e Lombardia sceglieranno anche il nuovo presidente della Regione. Il Ministero dell’Interno ha reso noto, infatti, che “il presidente Zingaretti e il prefetto di Milano Lamorgese, sentito anche il presidente Maroni, hanno fissato per domenica 4 marzo 2018 la data di svolgimento delle elezioni regionali nel Lazio e in Lombardia”.

    Fi, Lega, Fdi e 4º polo: centrodestra di nuovo unito

    voto-2018-1

    Berlusconi, Salvini e Meloni finalmente insieme: intesa su vincolo di mandato,
    candidature, quarta gamba e riforma pensionistica. La coalizione già vola nei sondaggi

    MILANO – È terminato dopo circa 4 ore il vertice dei leader del centrodestra Matteo Salvini, Giorgia Meloni che, il 7 gennaio scorso, si sono incontrati ad Arcore, a casa di Silvio Berlusconi, per fare il punto sul programma da presentare agli elettori.

    IL PROGRAMMA – Meno tasse, meno burocrazia, meno vincoli dall’Europa, più aiuti a chi ha bisogno, più sicurezza per tutti, riforma della giustizia e giusto processo, realizzazione della flat tax, difesa delle aziende italiane e del Made in Italy, imponente piano di sostegno alla natalità, controllo dell’immigrazione: saranno questi – si legge nel comunicato congiunto diffuso al termine del vertice – i primi passi dell’azione di governo di Centrodestra che uscirà dalle politiche del prossimo 4 marzo.

    VIA LA LEGGE FORNERO – Salvini ha chiesto e ottenuto dagli alleati l’impegno ufficiale a rivedere “il sistema pensionistico cancellando gli effetti deleteri della Legge Fornero”. Tra le priorità anche l’adeguamento delle pensioni minime a mille euro, il codice di difesa dei diritti delle donne e la revisione del sistema istituzionale col principio del federalismo e presidenzialismo.

    COALIZIONE A QUATTRO – Ufficializzata la composizione della coalizione a quattro con Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia e quarto Polo. Tra le decisioni anche quella di costituire due delegazioni comuni, che si incontreranno per definire i dettagli del programma e dei collegi. Al vertice è stato dato il via libera alla cosiddetta ‘quarta gamba’ del centrodestra, ma escludendo dalle candidature quei nomi che non sono condivisi da tutti i leader dei tre principali partiti. Lo si è appreso da fonti qualificate. In particolare il ‘veto’ riguarderebbe figure come l’ex leghista Flavio Tosi e l’ex montiano Enrico Zanetti, sui quali il segretario leghista ha posto da tempo il suo veto. I tre leader si rivedranno “presto” e hanno espresso soddisfazione sulla “piattaforma programmatica”. A proposito del programma, i partecipanti si sono dichiarati soddisfatti a proposito della “piattaforma di lavoro ampia” e l’incontro è stato definito “lungo, proficuo e approfondito”.

    LA SCELTA DI MARONI – Sulle regionali la coalizione conferma che si presenterà con candidati comuni e condivisi. Per quanto riguarda la Lombardia, il presidente uscente, Roberto Maroni, non si candiderà per un secondo mandato “per motivi personali”. A succedergli nelle elezioni del 4 marzo dovrebbe essere l’ex sindaco di Varese, il leghista Attilio Fontana.

    SONDAGGI: CENTRODESTRA IN VANTAGGIO – I tre leader si sono presentati al primo vertice sull’onda dei sondaggi che vedono il centrodestra in nettissimo vantaggio. In base all’elaborazione Youtrend per il Senato (che La Stampa ha pubblicato in esclusiva), Forza Italia e Lega potrebbero portare a casa un bottino cospicuo: una settantina di seggi maggioritari a cui si aggiungerebbero 68 collegi conquistati con il proporzionale. La somma fa 137: significa che a Berlusconi, Salvini e Meloni basterebbero una ventina di senatori in più per avere la maggioranza assoluta a Palazzo Madama.

    Renzi (Pd): “Puntiamo al 25% di Bersani”

    Roma – “Sarò candidato a Firenze nel collegio uninominale e poi in Campania e Lombardia nel proporzionale”. Matteo Renzi, segretario Pd, ha annunciato in un’intervista in quali collegi si candiderà alle elezioni del prossimo 4 marzo. Sarà candidata anche Maria Elena Boschi, “in più posti come tutti i dirigenti del partito”, ha spiegato il segretario Pd. Abbassa l’asticella l’ex Premier. L’obiettivo è il 25% ottenuto da Bersani nelle scorse elezioni, quel risultato che lo stesso Renzi giudicò una sconfitta: sono lontani insomma i tempi del “popolo del 40%”, quello che lo votò alle elezioni europee, momento di maggiore consenso per lui e per il Pd.

    OTTIMISMO – Tuttavia non è pessimista: “La vittoria dipende dal nome del presidente del consiglio: se sarà un uomo del Pd sarà una vittoria per il Pd e per l’Italia: noi, con tutti i nostri limiti, abbiamo la squadra migliore”. Centrodestra in vantaggio? “Non credo, è una partita a tre, nel maggioritario sono in vantaggio loro, ma assegna solo un terzo dei seggi. La partita è aperta, e i due mesi finali sono decisivi per ribaltare i pronostici”.

    BERLUSCONI – “Berlusconi ha governato più di Andreotti, Moro e De Gasperi, e ha combinato molto poco: è un pericolo per l’economia”, ha detto, ricordando i dati dello spread e dei posti di lavoro dell’ultimo governo di centrodestra.

    M5S – Stoccate anche per i grillini: “Hanno incarnato una grande domanda di novità, ma ci sono contraddizioni che non si possono non vedere, come nel caso dei rifiuti di Roma: non si possono provare i 5 Stelle al governo, il Paese non è una macchina da provare in concessionaria”.

    GRASSO – Toni duri anche contro Liberi e Uguali: “Ogni voto dato a loro è un voto dato a Salvini, fa scattare il seggio a lui e non alla Boldrini”. Poi, sulla proposta di abolire le tasse universitarie: “Un favore ai ricchi e ai fuori corso, un norma proposta da Grasso ma pensata per Di Maio”, ha ironizzato.

    SALARIO MINIMO LEGALE – “Stiamo lavorando a una proposta per introdurre un salario minimo orario sotto il quale non si può scendere, come avviene in tutta Europa”. Ci sta lavorando – ha spiegato Renzi – Tommaso Nannicini, un economista della Bocconi: dovrebbe essere a nove o dieci euro.

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