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La ‘Telethon’ di Meloni, tra peso Draghi e ritorno Covid

(Adnkronos) – Quarantatré domande -tutte quelle che figuravano nella lunga lista stilata dall’ordine dei giornalisti e dalla stampa parlamentare- per quasi tre ore di botta e risposta. Una interminabile “Telethon”, scherza Giorgia Meloni, che affronta la sua prima conferenza stampa di fine anno a tre mesi dalla vittoria elettorale che l’ha condotta a Palazzo Chigi. Una manciata di minuti prima del suo arrivo nell’Auletta dei gruppi di Montecitorio -con lei, tra gli altri, i sottosegretari Alfredo Mantovano e Giovanbattista Fazzolari, il ministro Luca Ciriani, la sottosegretaria Eugenia Roccella- il Senato ha dato il via libera alla legge di bilancio, una manovra sofferta che lei, rispondendo alle domande dei cronisti, difende a spada tratta sia dalle accuse mosse dall’opposizione che dagli affondi del numero uno di Confindustria Carlo Bonomi, “portatore di interessi” di parte. 

Giustizia, Mes, Qatergate, spese per la difesa, reddito di cittadinanza, migranti, Pnrr, rapporti con la gli alleati, Iran, ‘salva-calcio’, decreto rave, guerra in Ucraina. Tre ore di risposte a 360 gradi, fino all’ultima domanda, -“buon pomeriggio? Tra un po’ buonasera…”, ironizza- un modo per replicare anche a chi, in questi primi mesi di governo, le ha rimproverato di sottrarsi agli interrogativi dei cronisti. Per lei, ora, la priorità “è il presidenzialismo”, per “fare bene all’Italia” garantendole “stabilità”; è “felice” per gli obiettivi centrati del Pnrr, anche se “ora si entra nella parte difficile”; il viaggio a Kiev è dietro l’angolo: “andrò prima del 24 febbraio”, annuncia, ribadendo la disponibilità di Roma a fare “da garante per un’iniziativa di pace”; la fiducia negli alleati c’è, così come è ferma la convinzione di tagliare il traguardo dei 5 anni al governo. “Sono donna e porto concretezza”.  

Sul fantasma del Covid che torna ad aleggiare, con la corsa dei contagi in Cina e l’introduzione dei tamponi nei nostri aeroporti per gli arrivi da Pechino, “la situazione oggi è sotto controllo”, rassicura, rivendicando la rapidità con cui il governo si è mosso nelle ultime ore. Meloni dimostra tuttavia di non voler cambiare le proprie idee ora che non siede più negli scranni dell’opposizione ma è al timone, alla guida del Paese. “Per come la vedo io – dice – credo che la soluzione siano sempre i controlli, continuano ad essere utili tamponi e mascherine, la privazione della libertà che abbiamo conosciuto in passato non credo sia efficace, lo dimostra quanto accaduto in Cina. Dobbiamo lavorare sulla responsabilità dei cittadini piuttosto che sulla coercizione”. 

Sorride quando le chiedano se senta il peso di Mario Draghi sulla sua testa, se si senta come un sostituto di un Leo Messi entrato al secondo tempo, sul più bello del match decisivo, con tutto il peso della partita ancora da giocare sulle spalle. “Lo sento chiaramente e mi fa piacere – ammette -. Misurarmi con persone capaci e autorevoli è stata la sfida di tutta la mia vita. A me non è mai piaciuto vincere facile, mi stimolano le persone capaci e autorevoli, e Draghi lo è a livello nazionale e internazionale. Mi rendo conto dell’eredità e anche dei paragoni che si possono fare, lo trovo affascinante”.  

Anche sulla dura polemica dell’opposizione contro il presidente del Senato Ignazio La Russa e la sottosegretaria Isabella Rauti sulle celebrazioni per la fondazione del Movimento sociale italiano, Meloni si mostra sicura, affatto imbarazzata. Tutt’altro. “Il Msi ha avuto un ruolo molto importante nella storia di questa nazione. Perché deve diventare ora impresentabile? -chiede – Non mi piace questo gioco al rilancio, per il quale si debba fare sempre di più. Msi è sempre stato chiaro sulla lotta all’antisemitismo”. 

Su un eventuale scostamento di bilancio non si pronuncia, semmai sarebbe comunque “una scelta sofferta”, mentre sul reddito di cittadinanza, come al solito, non indietreggia di un millimetro: “Il lavoro lo creano le aziende, lo Stato non può abbattere la povertà per decreto, come un tempo si era detto”, dice con un sorriso e una stoccata, non l’unica, destinata al M5S. 

Il premier si innervosisce visibilmente quando, tra le domande, qualcuno chiede dei ‘condoni’ fatti dal suo governo sin da inizio corsa. “Non ci sono – afferma -: abbiamo fatto una norma che chiede a tutti di pagare il dovuto, con una maggiorazione, consentendo una rateazione”. “Le uniche cartelle stralciate – puntualizza – sono quelle vecchie più di 7 anni e inferiori a 1.000 euro, banalmente perché conviene allo Stato di più la loro distruzione. Vogliamo sì immaginare un nuovo tipo di dialogo con i contribuenti, ma senza favorire assolutamente l’evasione fiscale”.  

E anche con il cosiddetto ‘salva-calcio’ “non si regala qualcosa, tutti pagano quello che devono pagare”. L’errore, “semmai” c’è stato, è a monte, “non si doveva votare la sospensione del pagamento di queste società”, una situazione “che noi abbiamo ereditato”. 

Riguardo alla riforma a cui sta lavorando il Guardasigilli Carlo Nordio, l’obiettivo del governo “non è privare la magistratura dello strumento delle intercettazioni”, ma “occorre evitare l’abuso ed evitare il cortocircuito nel rapporto tra media e intercettazioni senza alcuna rilevanza penale finite sui giornali solo per interessi politici o altro. Non credo sia giusto in uno stato di diritto. Abusi ci sono stati e vanno corretti”. Dura quando c’è da difendere il suo governo e la sua squadra, il premier si commuove quando parla di Sara Khadim al-Sharia, la campionessa di scacchi iraniana che ha sfidato gli ayatollah disputando i mondiali senza velo: “Mi ha colpito e fatto riflettere sul valore della libertà. Da noi la libertà è scontata, mentre per chi non l’ha vale qualsiasi rischio”. In Iran “è inaccettabile quel che accade”, e anche l’atteggiamento dell’Italia, “da sempre paese dialogante”, “dovrà cambiare”, passando “da un’interlocuzione con gli alleati per capire come rendere più incisiva la nostra azione” per fermare violenze e repressioni. 

Il tema dell’impegno di spesa al 2% del Prodotto interno lordo assunto in sede Nato “è un impegno al quale ovviamente in Europa e all’interno dell’Alleanza atlantica tutti quanto cercano di tenere fede il più possibile. Al di là della facile retorica che si può fare sul tema dei soldi spesi in armi – dice Meloni – il punto di questa materia è che la libertà delle nazioni ha un costo e se tu decidi di appaltare la tua difesa a qualcun altro, devi sapere che quel qualcun altro non lo fa gratis. E quindi il tema di quello che si investe in difesa è un tema che riguarda la capacità che una Nazione ha di difendere i suoi interessi: io l’ho sempre pensata così”. 

“L’Italia sta facendo la sua parte” e “andrà avanti, deve andare avanti. Ovviamente di quanto parliamo e in quanto tempo è dato dalle condizioni che ci circondano, non sono in grado di definire numeri e tempistiche precise ma posso confermare la volontà da parte dell’Italia di mantenere gli impegni presi, di farlo per essere credibile e di essere credibile per difendere i suoi interessi nazionali, come credo che questa nazione abbia diritto e dovere di fare”.  

Sullo scandalo del Qatargate, “una cosa mi ha molto innervosito”, spiega, è che “molti colleghi internazionali definiscono questi fatti con la locuzione ‘italian job’, come se fosse una macchia sulla nostra nazione. La vicenda non riguarda solo italiani, ma anche belgi, greci e esponenti di altre nazioni. Semmai è un tema di partito, un ‘socialist job’. Se avesse riguardato i conservatori sarebbe stato un ‘conservative job’. Riguarda una famiglia politica ma non l’Italia. Va difeso l’orgoglio e l’onore della nazione che rappresento dagli attacchi. Le responsabilità sono trasversali non fra i partiti ma fra le nazioni”. Il tema a lei caro dell”Italia prima’ resta il mood anche del suo esordio alla conferenza stampa di fine anno: “Vorrei lasciare il Paese orgoglioso e ottimista, tutte cose che ci mancano”. 

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